Fioramonti che lascia mostra la polveriera a 5 stelle
Le dimissioni di Fioramonti potrebbero rientrare in una manovra per scomporre gli equilibri nel governo, in vista di un possibile scioglimento delle Camere e ridefinire i rapporti di forza dentro i 5 Stelle: una polveriera pronta ad esplodere.
Qualcuno ironicamente lo ha definito un regalo sotto l’albero di Natale. Le dimissioni del Ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti erano nell’aria, ma il fatto che siano arrivate proprio due giorni fa ha scatenato le battute più pungenti.
Le motivazioni ufficiali sono da ricercare nella crescente insofferenza dell’esponente del Movimento Cinque Stelle verso la penuria di risorse finanziarie da destinare alla scuola e all’università. Nella lettera con la quale comunica al Premier Giuseppe Conte la sua decisione, Fioramonti avrebbe spiegato che secondo lui bisognava rivedere l’IVA per incassare i 2-3 miliardi che chiedeva per il suo ministero. Di fronte al blocco dell’aumento dell’Iva ha capito che non c’era la volontà di accontentarlo e ha deciso di lasciare la poltrona.
Senza risultare offensivi, si può tranquillamente concludere che nessuno sentirà la sua mancanza. In pochi mesi di incarico, la sua presenza è stata pressoché impalpabile, contrassegnata da poche sbiadite uscite sulla trascuratezza della classe politica nei confronti del sistema dell’istruzione (che scoperta!) e su questioni come il Crocifisso nelle scuole, che gli hanno attirato le antipatie di gran parte del popolo italiano. Si ricorderanno le sue “memorabili” parole in quella occasione: «Credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi non esponendo un simbolo in particolare». Come se il Crocifisso fosse un elemento di arredo e non una testimonianza imprescindibile delle radici del nostro Paese. Come suo sostituto circola il nome di Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia.
A metà dicembre a Trieste, Fioramonti, aveva manifestato apertamente il suo malcontento: «La scuola in questo Paese avrebbe bisogno di 24 miliardi. I 3 miliardi che io ho individuato, non sono la sufficienza, ma rappresentano la linea di galleggiamento». Tredici giorni dopo quelle parole, e 48 ore dopo la definitiva approvazione della legge di bilancio con voto di fiducia, Fioramonti ha tirato le sue conclusioni.
Ma le sue dimissioni hanno anche un significato prettamente politico. Fioramonti è da tempo in rotta con il Movimento Cinque Stelle, e in particolare con il suo leader, Luigi Di Maio, che accusa di aver snaturato l’ispirazione grillina delle origini.
Nel Movimento c'è ora chi polemizza con lui, accusandolo, lui che chiede tre miliardi per la scuola e l’università, di non avere restituito nelle casse del Movimento alcune decine di migliaia di euro, come si evince peraltro dal sito tirendiconto.it. Da questo sito risulta che lui non verserebbe la quota da gennaio 2019 e il versamento minimo è di 2mila euro. Ma sono in tanti tra i parlamentari grillini a non aver adempiuto a quell’obbligo. Molti di loro, al secondo mandato, avendo la certezza di non poter essere più ricandidati, stanno iniziando a non pagare, anzi a valutare possibili trasmigrazioni in altri gruppi, non solo quello misto, ma anche quello della Lega o di Italia Viva, nei quali non sarebbero richiesti analoghi contributi economici e nei quali potrebbero coltivare la speranza di poter essere ricandidati.
Fioramonti costituirà un gruppo di una decina di deputati vicini al Presidente del Consiglio, che continueranno a sostenerlo ma in modo distinto dai Cinque Stelle. C’è chi sospetta si possa trattare di un embrione di una nuova formazione politica capitanata dallo stesso Conte, ma è ancora presto per dirlo. Anche perché dipenderà dall’andamento della legislatura e dalla data delle prossime elezioni politiche. Ad ogni buon conto, i movimenti tra i grillini testimoniano tensioni sempre più forti tra gruppi parlamentari e vertici.
Il Pd ha deciso di tacere, di fronte all’annuncio delle dimissioni di Fioramonti. Pentastellati e renziani, invece, commentano con preoccupazione:
Il ministro della pubblica amministrazione, Fabiana Dadone (M5S) prende le distanze dalla scelta del suo ormai ex collega: «Trovo stucchevole - ha postato su Facebook - che chi professa coraggio agli elettori poi scappi dalle responsabilità politiche».
Di tenore analoga la reazione di Gianfranco Librandi, di Italia Viva: «Chi lascia il campo di battaglia dimostra il livello del suo coraggio e la qualità del suo impegno. Siamo sicuri che sarà nominato un ministro preparato e coraggioso». E il leader dei Moderati Giacomo Portas, deputato indipendente di Italia Viva, rincara: «Questo governo perde i ministri come le foglie d'autunno di un albero. La sua credibilità è ridotta a zero, e ogni giorno sono sempre più convinto di aver fatto bene a non votare la fiducia».
Le opposizioni insorgono. Forza Italia chiede che il premier riferisca in Parlamento su un atto di dimissioni «grave e irresponsabile». Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia, invoca ora «un ministro indipendente e di alto profilo». Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, esulta perché «se ne va uno dei peggiori ministri che l'Italia repubblicana abbia avuto» e ricorda che «la sua eredità è un pessimo decreto scuola e la sciagurata invenzione di sugar e plastic tax, due folli tasse che mettono a rischio migliaia di posti di lavoro in Italia».
E il leghista Mario Pittone, Presidente della Commissione Cultura del Senato, giustamente rileva la contraddizione di Fioramonti di «dimettersi da ministro per i fondi negati all'istruzione», salvo poi «garantire massimo supporto al diretto responsabile di quel taglio di fondi: il premier Conte».
In effetti le dimissioni di Fioramonti potrebbero rientrare in una manovra di Palazzo per scomporre e ricomporre su nuove basi gli equilibri tra le forze dei governo, in vista di un possibile scioglimento delle Camere e di elezioni anticipate, oppure, semplicemente, per ridefinire i rapporti di forza dentro il governo e dentro il Movimento Cinque Stelle, con un leader sempre più in difficoltà, Luigi Di Maio, e una struttura che appare ormai una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro.