SCENARI
Finmeccanica e l'Italia svenduta all'estero
Il governo tecnico di Monti sembra piegato ai diktat degli Stati europei. E così rischiamo di perdere il controllo delle nostre aziende di punta.
Attualità
30_11_2011
A giudicare dall’atteggiamento prono nei confronti di ogni pressione proveniente da oltre confine quello italiano più che di governo tecnico sembra un “governo d’occupazione” come quello che abbiamo avuto nell’immediato dopoguerra o come quello che ha governato l’Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein.
Appena nominato il premier Mario Monti è andato di corsa (o per meglio dire, in ginocchio) dal presidente della commissione europea Josè Manuel Barros a farsi indicare le priorità della sua agenda, poi dal presidente del consiglio Europeo Herman van Romupuy, da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy a promettere che “farà i compiti a casa” e a “impressionare” la cancelliera tedesca per le misure che adotterà delle quali finora non ha però informato né il Parlamento né l’opinione pubblica. Il governo non ha ancora fatto nulla di concreto a parte i soliti annunciati aumenti di tasse e accise che non erano più una novità già ai tempi dei governi Andreotti, eppure la Merkel e Sarkozy hanno espresso a Monti “fiducia e sostegno”, forse perché il professore non ha esitato a impegnarsi ad abrogare la “golden share”, il meccanismo che ha finora permesso allo Stato di conservare il controllo di aziende strategiche nei settori energetici di energia, comunicazioni e difesa: Eni, Snam rete gas, Enel, Telecom e Finmeccanica.
Una questione di libertà di mercato sottolineano alla Ue e alla Bce, dove le pressioni sull’Italia in tal senso sono fortissime ma dove nessuno sembra aver fretta di demolire meccanismi simili presenti in Germania, Francia e altri Paesi dell’area euro per impedire “scalate” agli “asset strategici nazionali” come si dice negli ambienti economico-finanziari. Ma possibile che con l’euro che rischia di andare a fondo l’asse franco-tedesco che domina Ue e Bce non abbiano di meglio a cui pensare che alla “golden share” italiana? Possibile che tutte le misure urgenti per le quali il governo Berlusconi era inadeguato e che dovevano essere adottate immediatamente (pena la catastrofe) non se ne sia vista nemmeno una ma si parli di “golden share”? Il motivo pare evidente e lascia aperti molti sospetti circa il perché all’Italia, ottava potenza economica mondiale con i conti per molti versi più in ordine di quelli francesi (che possono rifiutare il controllo di Bruxelles sul loro bilancio) o britannici (ma gli inglesi hanno avuto la scaltrezza di restare fuori dalla truffa dell’euro), non sia stato concesso il privilegio di andare al voto come la Spagna.
Prima di tornare ad essere un Paese democratico dobbiamo vendere, anzi svendere considerati i chiari di luna borsistici, le nostre aziende di punta agli stranieri. Pardon ai “partner”. Perché è evidente che nell’attuale situazione, con Finmeccanica che dopo il recente (casuale?) mega crollo borsistico ha una capitalizzazione di appena due miliardi (pur solo i suoi beni immobili valgono il doppio), abrogare entro un mese la “golden share” significa consentire al colosso franco-tedesco della Difesa EADS di inglobare il gruppo italiano o le sue aziende più competitive grazie a una disponibilità di ben 9 miliardi cash. Proprio in questi giorni è alla firma un accordo di militare tra Italia e Germania che dovrebbe bilanciare l’asse franco-britannico nel campo della Difesa (a proposito di Europa unita) e che prevede una stretta cooperazione industriale in diversi settori che potrebbe trasformarsi in sudditanza tecnologica se svendessimo le nostre aziende del settore.
Vedremo il consiglio d’amministrazione di Finmeccanica del primo dicembre quali sorprese ci riserverà e se il ventilato ricambio di tutti i vertici dell’azienda aprirà la strada alla cessione ai suoi diretti concorrenti del gruppo hi-tech in questi anni protagonista sui mercati internazionali. Dopo Finmeccanica toccherà a Eni, Enel e Telecom, e ci diranno che vanno sacrificate sull’altare della riduzione del deficit e nel nome di un liberismo che è ufficialmente un dogma per tutti ma che i forti non applicano e i deboli subiscono. Il governo sembra quindi “tecnicamente” pronto a regalare i nostri “asset strategici” ai “partners” europei anche se ai saldi italiani potrebbero partecipare pure statunitensi e britannici. Chissà, magari dopo aver fatto man bassa al “discount Italia” le potenze occupanti potrebbero anche farci tornare a votare, come un lander tedesco o un dipartimento d’oltremare francese.