Finita la tregua, riprende il tiro alla porpora
L'intervista di Scalfari al Papa aveva suscitato dure reazioni di molti cardinali, circostanza che ha consigliato il portavoce vaticano di smentire in tempo reale. Ma ecco l'Espresso con una inchiesta sui porporati milionari.
Neanche i ritmi compassati dell'estate risparmiano i cardinali di Santa Romana Chiesa dal finire sbattuti sulle pagine di giornali e settimanali. Ha iniziato Repubblica domenica, con la pubblicazione del colloquio tra Eugenio Scalfari e il Papa, ricostruito ex post dal fondatore del quotidiano oggi diretto da Ezio Mauro con evidenti fantasiose aggiunte, come peraltro ha osservato padre Federico Lombardi nella nota in cui s'è anche domandato se si tratti di «dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui».
In quel colloquio, Francesco avrebbe parlato di «vescovi e cardinali pedofili» ancora attivi nella Chiesa, contro i quali si riprometteva di «usare il bastone come fece Cristo». Naturale che domenica, di primo mattino, in Vaticano, più d'un porporato abbia letto e riletto l'articolo di Scalfari domandandosi se davvero il Pontefice avesse pronunciato quelle parole. Qualche curiale di rango e di peso, poi, si sarebbe detto perfino "indignato", al punto da spingere Lombardi a smentire in poche ore la ricostruzione del fondatore di Repubblica, pur ammettendo che «si può ritenere che nell'insieme l'articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio». Due, in particolare, le questioni toccate nel colloquio che hanno lasciato perplessi gli inquilini dei palazzi vaticani: la frase sui «cardinali pedofili» e il modo in cui è stato trattato il problema del celibato sacerdotale. Non pochi prelati hanno alzato la cornetta chiedendo spiegazioni innanzitutto circa la veridicità di quanto riportato dal quotidiano di largo Fochetti.
Risolta la questione e calmati i curiali che già bussavano alla porta di Santa Marta per chiedere rassicurazioni – sarebbe stato loro rivelato che il Papa aveva chiesto al "Fondatore" di non divulgare il contenuto della conversazione –, ci ha pensato l'Espresso, recensendo il libro di Mario Guarino ("Vatica$h", edizioni Koiné), che snocciola uno dopo l'altro i conti dei cardinali, tanto da parlare di «club dei milionari». Si viene così a sapere che nel Sacro Collegio più d'uno è proprietario di «grandi fortune private, palazzi, appartamenti, monolocali, fabbricati rurali, capannoni, cantine, fattorie, agrumeti, oliveti, frutteti, boschi» e addirittura «pascoli sterminati». Elenco completo delle metrature degli appartamenti, dei vani in possesso dei cardinali (anche di quelli ereditati dai genitori defunti), degli ettari di campi agricoli. Ricchezze, però, «assolutamente lecite» e sulle quali la magistratura non ha nulla da dire. Ecco perché diversi prelati – al riparo di microfoni e taccuini – si sono domandati il motivo di tale inchiesta su vere o presunte «fortune immobiliari», per nulla convinti che di mezzo ci siano gli «appelli all'umiltà e alla modestia» lanciati e rilanciati da Francesco.
Ma il tiro alla porpora non è certo iniziato in questi giorni. Il primo a finire al centro dell'attenzione mediatica era stato il cardinale Tarcisio Bertone, con tanto di foto del suo nuovo appartamento (a due passi da Santa Marta) che avrebbero, dicevano i soliti bene informati, sconvolto il Papa. L'ex segretario di Stato, dopo aver atteso qualche giorno, precisò con una nota ai giornali che Bergoglio l'aveva chiamato per manifestargli solidarietà per gli attacchi ricevuti, sottolineando altresì che l'appartamento non era di 700 metri quadrati come riportato da diversi organi di stampa, «ma solo 350».
E la questione irrisolta della metratura della nuova casa di Bertone non è che l'ultimo – e meno grave – tra i problemi che assillano colui che governò la curia sotto il pontificato di Benedetto XVI. Sotto la lente di ingrandimento ci sono i legami con lo Ior, tanto che al più presto sarà svolta una “indagine trasparente”, hanno assicurato dal Vaticano il giorno della presentazione del nuovo board, presieduto dal francese Jean-Baptiste de Franssu. In particolare, sarà fatta luce sul finanziamento erogato dall’Istituto per le opere di religione alla Lux Vide di Ettore Bernabei per circa quindici milioni di euro. Operazione che, secondo il quotidiano tedesco Bild (mai smentita neppure dal direttore generale dell’Aif, lo svizzero René Bruelhart, in grande spolvero dopo le polemiche dimissioni del cardinale Nicora) sarebbe stata caldeggiata proprio dall’ex segretario di stato.
E prima ancora, a finire nell’occhio del ciclone erano stati i cardinali Giovanni Battista Re e Francesco Coccopalmerio, rei – stando a quanto scrisse Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera lo scorso maggio – d’aver partecipato a una cena organizzata dall’ex ministro Claudio Scajola, al quale avrebbero promesso il loro impegno in vista delle elezioni europee, garantendo i voti necessari all’elezione del politico ligure. «Sai, questi da soli, in quella circoscrizione lì, dove c'è il pieno di Chiesa, possono valere 15.000 voti eh! Un bel lavoro, ben fatto, lo portano avanti bene. Molto soddisfatto», disse Scajola alla moglie in una telefonata intercettata e finita sui giornali. Per la cronaca, Scajola poi non trovò posto in alcuna lista.