Fine dei vecchi partiti. De Benedetti liquida il Pd
Due partiti sono usciti da queste elezioni con le ossa rotte: il Pd e Forza Italia. Nella sua intervista rilasciata al Corriere della Sera, la tessera numero 1 del Pd, Carlo De Benedetti, di fatto suggerisce di liquidare il partito. E per la Lombardia dichiara di preferire la candidatura di Letizia Moratti. Forza Italia, invece, si spacca in Sicilia.
Con l’attuale sistema elettorale il bipolarismo - si sa - rimane una chimera. Non per niente, alle ultime elezioni politiche abbiamo visto prevalere la coalizione di centrodestra su quella di centrosinistra, ma abbiamo altresì registrato l’avanzata dei 5 Stelle e l’esordio del Terzo polo. Almeno 4 blocchi, quindi. Senza contare i cespugli e i partitini che non hanno raggiunto il quorum per entrare in Parlamento ma che hanno comunque corso per conto proprio.
Al di là dello sfarinamento della rappresentanza parlamentare, il dato che è emerso in questi due mesi dopo il voto del 25 settembre è la deflagrazione delle due forze che hanno alimentato per anni la dialettica destra-sinistra: il Pd e Forza Italia. Subito dopo la clamorosa sconfitta nelle urne, i dem hanno messo sotto processo Enrico Letta per le scelte sbagliate in ambito alleanze. Dentro Forza Italia è invece scoppiata la faida tra falchi e colombe per la conquista delle spoglie di un partito senza più alcuna identità. E’ un segno inequivocabile dei tempi: i perni del sistema politico non sono più Berlusconi e i post-comunisti. Ed è singolare che a decretarlo siano i cosiddetti padri fondatori di quelle due forze politiche, dichiaratamente o con le proprie azioni.
Ha fatto molto rumore ieri un’intervista pubblicata in prima pagina sul Corriere della Sera, nella quale l’editore Carlo De Benedetti, tessera n.1 del Pd, ne ha di fatto decretato la fine. «Le democrazie moderne sono minate da due mali che le divorano da dentro: le crescenti disuguaglianze e la distruzione del Pianeta - ha dichiarato De Benedetti - Un partito progressista che non mette in cima al suo programma questi due punti non serve a niente, e infatti fa la fine del Pd; che ha conquistato la borghesia e ha perso il popolo». E ha rincarato: «Il Pd è un partito di baroni imbullonati da dieci anni al governo senza aver mai vinto un’elezione».
L’editore ne ha per tutti, in particolare per Enrico Letta, che forse si dimetterà nelle prossime ore, senza attendere il congresso: «L’attuale segreteria è stata un disastro perché in campagna elettorale Letta non ha saputo indicare una sola ragione per cui si dovesse votare il Pd, ma solo ragioni per non votare gli altri. Per la sua arroganza e supponenza il Pd ha corso da solo e ha determinato la vittoria della destra, che alla luce dei risultati non era affatto scontata».
De Benedetti indica poi la strada di un pronto riscatto: sostenere Letizia Moratti, che si candida alla guida della Regione Lombardia, dopo essere stata fino a dieci giorni fa vicepresidente della giunta lombarda di centrodestra. Quindi, da una parte il Pd avrebbe perso la sua identità, secondo De Benedetti, rinunciando colpevolmente a dire e fare cose di sinistra; dall’altra, per risorgere dovrebbe candidare gente di centrodestra. Davvero surreale il sermone di De Benedetti, che evidentemente ha il chiaro intento di destabilizzare ancora di più il fronte progressista, facendo di fatto il gioco del centrodestra. Oppure davvero è il sermone di una persona poco lucida e che si illude, arrivando a dire che «se il Pd appoggiasse la Moratti, secondo me ce la farebbe. La Lombardia è una partita decisiva. Se Salvini perde la Lombardia, cade. E se cade Salvini, cade il governo». Viene da pensare che De Benedetti viva su Marte, anche se probabilmente non sbaglia nell’intonare il “de profundis” al Pd.
Sull’altro versante, la coalizione che attualmente è maggioranza nel Paese, sia pure con alcuni distinguo, rimane unita nel portare avanti il programma di governo. Unica pietra d’inciampo è rappresentata dal lento dissolvimento dell’altra forza politica che era stata dominante fino a cinque anni fa e che ora risulta subalterna a Fratelli d’Italia e Lega: Forza Italia. Da quando la coordinatrice lombarda del partito, la senatrice Licia Ronzulli è stata esclusa dalla compagine dei ministri del governo Meloni, nelle file degli azzurri è partita la resa dei conti tra falchi ronzulliani e colombe vicine all’attuale Ministro degli esteri, Antonio Tajani. La posta in palio è il controllo di ciò che resta di Forza Italia. Per ottenerlo, i falchi come Giorgio Mulè (vicepresidente della Camera) sono disposti anche a far “ballare” l’esecutivo al Senato, facendo mancare i voti su provvedimenti decisivi e costringendo il governo ad andare sotto in qualche votazione o a cercare stampelle nel Terzo Polo.
La spaccatura dentro Forza Italia rischia di far cadere in tempi brevi anche la giunta della Regione Sicilia guidata dall’ex Presidente del Senato, Renato Schifani. A fare la guerra al neogovernatore siciliano non sono il Pd o i Cinque Stelle, ma il coordinatore regionale forzista, Gianfranco Miccichè. I due non si sono mai amati, ma ora la loro rivalità è definitivamente esplosa. Sull’Isola si parla ormai chiaramente di Forza Italia 1 e Forza Italia 2, come se si trattasse di due partiti distinti e separati. Il che fa il gioco delle opposizioni, che infatti sono riuscite ad eleggere come vicepresidente dell’Assemblea siciliana il grillino Nuccio Di Paola.
Da una parte il Pd e dall’altra Forza Italia sono ormai al capolinea. Chi erediterà i loro voti? Come si riassesterà il quadro politico nei prossimi mesi? Sarà questa una delle partite più complesse e incerte alle quali assisteremo già in occasione delle elezioni regionali del 2023 nel Lazio e in Lombardia.