Finanziamento dei partiti, ma non solo
È doveroso cancellare il finanziamento pubblico ai partiti, ma la soluzione vera sarebbe il sistema americano, con il finanziamento privato volontario, e trasparente. E questo andrebbe esteso a tutte le attività senza fini di lucro di rilievo pubblico.
Varando un cauto disegno di legge che prevede l’abolizione graduale del finanziamento pubblico dei partiti nell’arco di tre anni dalla sua eventuale entrata in vigore, il governo Letta ha offerto un contributo nel suo stile alla soluzione dello scandalo di un meccanismo che perdura malgrado sia stato abrogato da ben due referendum popolari. La questione va però a nostro avviso considerata in un quadro più ampio, in primo luogo liberandola dalla crosta di moralismo e di ipocrisia da cui continua a essere avvolta.
E’ ovvio che l’attività dei partiti e le campagne elettorali hanno un loro costo. Il negarlo o l’ignorarlo ha come unico effetto quello di spingere il loro finanziamento fuori della legalità, con le enormi conseguenze negative che già si sperimentarono ai tempi della “Prima Repubblica”. Non ammettere o non fare qualcosa di giustificato e di positivo per timore delle sue eventuali degenerazioni, insomma non fare il bene per timore del male, è uno delle più nefaste malattie sociali del nostro tempo. Vale nel caso del finanziamento dei costi della democrazia come anche nei più diversi altri settori; ad esempio in quello cruciale della produzione industriale dove in pratica per timore dell’inquinamento c’è chi vorrebbe che non si producesse più nulla. Così per timore della corruzione si pretende di negare ai partiti e ai candidati la possibilità di finanziarsi legittimamente.
La via maestra non può essere tuttavia quella del finanziamento pubblico che non solo, come si diceva, viola l’esito ad esso contrario di ben due referendum popolari, ma si è anche dimostrato troppo vulnerabile a distorsioni e ruberie. Si deve piuttosto puntare al finanziamento privato volontario e trasparente come tipicamente accade negli Stati Uniti, ma in modi che lo rendano tanto sufficiente quanto sostenibile.
Non ha molto senso tuttavia prevedere meccanismi del genere solo nel caso specifico della politica. Andando molto al di là gli esigui spazi dell’ 8 per mille e del 5 per mille, si tratta piuttosto finalmente di creare anche nel nostro ordinamento un quadro giuridico che consenta in generale il finanziamento di attività senza fini di lucro di rilievo pubblico che fanno capo a soggetti di diritto privato: dalla scuola al sindacato, dai partiti agli enti di ricerca, dagli ospedali alle case di riposo e così via. In tale prospettiva andrebbe introdotto nell’ordinamento un nuovo tipo di società senza fini di lucro, che si potrebbe definire “società privata di pubblica utilità” o simili, fissandone con rigore i lineamenti giuridici nonché gli organi e i meccanismi di sorveglianza; e stabilendo la detassazione senza limiti delle donazioni (beninteso non anonime bensì visibili e riconoscibili) fatte a società del genere da persone sia fisiche che giuridiche. Qualunque soggetto privato che eserciti funzioni di pubblica utilità (quindi anche partiti e comitati per l’elezione di questo o quel candidato) potrebbe divenire così beneficiario di donazioni detassate purché assumesse, avendone titolo, la specifica veste giuridica di cui si diceva con tutti i vantaggi ma anche con tutti gli obblighi conseguenti.
Non si deve temere che partiti e candidati restino in tal caso privi di adeguato finanziamento. Nel momento in cui fosse chiaro a tutti che il finanziamento pubblico è davvero venuto meno, ossia non continua surrettiziamente in qualche altro modo, e purché la detassazione delle donazioni fosse effettiva, il finanziamento privato volontario arriverebbe. Certo, tutto ciò implica mutamenti di mentalità nonché lo sviluppo anche in campo politico di tecniche e di iniziative in tema di raccolta fondi (fund raising) analoghe a quelle che si sono già sviluppate in altri settori. Per questo potrebbe essere concretamente utile una riduzione graduale del finanziamento pubblico dei partiti come l’attuale governo propone, purché però fosse al riparo dal vizio delle proroghe.