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LIBERTA' RELIGIOSA/29

Filippine, la minaccia paralizza i cristiani

Il clima di impunità, i rapimenti, gli scontri fra esercito e gruppi estremisti islamici, la crisi economica hanno creato una miscela insostenibile.

Attualità 08_10_2011
Filippine
Asia News, nello scorso mese di settembre, ha lanciato l’allarme su quel che avviene a Mindanao, la seconda in isola in ordine di grandezza delle Filippine: a Jolo, Marawi, Basilan e in altre aree, la minoranza cristiana subisce soprusi e pressioni da parte della popolazione musulmana e le amministrazioni pubbliche costringono i cristiani a svendere i propri terreni per lasciare spazio alle industrie cinesi. Secondo le fonti di Asia News, il clima di impunità, i rapimenti, i continui scontri fra esercito e gruppi estremisti islamici e la crisi economica hanno creato una miscela ormai insopportabile per la popolazione cristiana che teme a manifestare la propria fede in pubblico. Le fonti raccontano che la stessa situazione si vive a Basilan e a Cotabato, dove nelle scorse settimane entrambe le Chiese sono state colpite con bombe carta che hanno danneggiato parte dei muri e delle vetrate.

La regione di Mindanao, a maggioranza musulmana, è da 40 anni teatro di un conflitto tra esercito filippino e gruppi estremisti islamici di Moro Islamic Liberation Front (Milf) e Abu Sayyaf, gruppo terroristico legato ad al-Qaeda. Si battono per istituire uno Stato islamico indipendente, compiendo attacchi contro i cristiani con lo scopo di cacciarli dai territori musulmani. Nel 1987, il governo centrale riconobbe l’autonomia a una vasta porzione dell’isola, creando la “Regione autonoma nel Mindanao musulmano”, ma questa decisione non si dimostrò sufficiente a far cessare gli attentati. Nel tentativo di sconfiggere i ribelli, nell’agosto 2008 l’allora presidente Gloria Arroyo decise di lanciare un’offensiva, impiegando anche l’artiglieria pesante. Il conflitto provocò in meno di nove mesi quasi 100 morti e oltre 750mila profughi, tra cristiani e musulmani.

Nel settembre 2009 a Kuala Lumpur (Malaysia) Milf e governo filippino hanno riaperto le trattative per la fine del conflitto. Nonostante gli accordi e la scelta dei quadri del Milf di collaborare con il governo, i terroristi di Abu Sayyaf e diversi esponenti di Moro, in contrasto con la linea dei capi, hanno continuato l’offensiva.  A fare le spese di questa situazione è la comunità cristiana, vittima di attentati e rapimenti. Altra problematica, che spesso si interseca con l’estremismo religioso, è lo strapotere dei clan musulmani e delle loro milizie private. Il clima di anarchia dell’isola e soprattutto il continuo traffico di armi, ha infatti permesso ai leader politici di assoldare eserciti privati, per mantenere il potere nelle province poste sotto il loro controllo.

Il 5 luglio 2009 – racconta il Rapporto dell’Istituto di Diritto Pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre - a Cotabato una bomba esplode all’esterno della cattedrale dell’Immacolata Concezione, durante una messa presieduta da mons. Orlando Quevedo. Lo scoppio dell’ordigno provoca 5 morti, tra cui un bambino di tre anni, e 45 feriti.

Intervistato dopo l’attentato mons. Quevedo definisce l’atto “non solo un crimine, ma un sacrilegio”, invitando tutti i cattolici a pregare per la conversione degli attentatori.

Il 27 ottobre, a Jolo, capoluogo della provincia di Sulu, il lancio di una granata danneggia la cattedrale di Nostra Signora del Monte Carmelo. L’attentato non fa vittime, ma per la paura di nuovi attacchi mons. Angelito Lampon, vicario apostolico della diocesi, cancella le messe per le festività dei Santi e dei Morti, in programma l’1 e il 2 novembre. Anche in questo caso non vi sono rivendicazioni ufficiali, ma i sospetti cadono sul gruppo terrorista di Abbu Sayyaf, molto attivo nell’arcipelago di Sulu.

Oltre agli attacchi dinamitardi, il 2009 ha visto il susseguirsi di una serie di rapimenti compiuti da bande criminali a scopo di estorsione, che hanno utilizzato la paura dell’estremismo islamico per aumentare la quota del riscatto.

Il 15 gennaio 2009, un gruppo di uomini armati rapisce a Jolo (Sulu) tre operatori della Croce Rossa Internazionale: essi sono l’italiano Eugenio Vagni (39 anni), lo svizzero Andreas Notter (39) e la filippina Jean Lacaba (37). Per tre mesi i sequestratori, legati ad Abu Sayyaf secondo fonti dell’esercito, minacciano di decapitare gli ostaggi, intimando il ritiro delle truppe inviate da Manila per individuare il covo dei rapitori. Notter e la Lacaba vengono liberati in aprile, mentre l’Italiano Vagni deve attendere l’11 luglio per il rilascio. Fonti ufficiali negano il pagamento di un riscatto.

Padre Michael Sinnott, anziano missionario irlandese della fraternità di S. Colombano, è invece rapito l’11 ottobre 2009, nella sua casa di Pagadian (Zamboanga city), da un gruppo di sette uomini armati non identificati. Per sfuggire all’esercito filippino, che prende in mano le indagini pochi giorni dopo il rapimento, i sequestratori costringono Padre Sinnott a vagare per un mese nella giungla della provincia di Lanao del Norte, distante 150 km da Zamboanga.

Nei giorni del sequestro la popolazione di Pagadian e di Zamboanga, cattolica e musulmana, organizza una serie di veglie di preghiera per la liberazione del sacerdote. Anche la Conferenza degli Ulema filippini si mobilita per il sacerdote, condannando il rapimento definito “contrario ai principi di Islam, Cristianesimo e altre religioni”. Padre Sinnott viene liberato il 12 novembre, dopo un’operazione congiunta tra esercito filippino e membri del Milf, considerati in un primo momento autori del rapimento.

Durante gli anni del governo della presidente Gloria Arroyo, nelle Filippine si è assistito a un incremento degli omicidi sommari. Le vittime sono spesso attivisti per i diritti umani e sacerdoti, che si battono a favore dei contadini. I crimini si concentrano soprattutto nell’aree di conflitto tra esercito filippino e New People Army (Npa), braccio armato del Partito comunista filippino. Con la scusa di contrastare i ribelli, l’esercito compie soprusi a danno della popolazione civile e uccide
o imprigiona coloro che criticano i militari. La maggior parte degli omicidi resta impunita.

Il 7 settembre 2009, nella regione di Samar del Nord (Isola a Sud est di Manila), un commando di 30 uomini armati ha ucciso Padre Cecilio Lucero, responsabile del centro per i diritti umani Social Action Center (Sac). Poco prima della sua morte, egli aveva ricevuto minacce da parte dei militari, accusati di compiere continui soprusi ai danni della popolazione. La morte del sacerdote segue la serie di omicidi ancora non risolti dalla polizia, che nel 2009 hanno coinvolto ben 18 persone.
La popolazione civile di Mindanao, cristiana e musulmana, ha dato vita in questi ultimi anni a una serie di iniziative che hanno l’obiettivo di portare la pace nelle regione, attraverso il dialogo interreligioso. Esempio di questo lavoro è la Conferenza dei Vescovi e degli Ulema (Buc), nata nel 1996 su iniziativa della Conferenza episcopale filippina. Composta di 24 vescovi cattolici, 18 protestanti e 24 ulema, essa organizza ogni anno “La settimana per la pace a Mindanao”, per chiedere “in nome di Dio” la fine della guerra.

In un recente colloquio con l'agenzia Fides, padre Sebastiano D'Ambra, del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME), missionario di lungo corso nelle Filippine e fortemente impegnato in un'opera di dialogo islamocristiano nelle Filippine Sud: "La minaccia per i cristiani è reale e il governo sta offrendo protezione e scorte ai leader e ai luoghi cristiani. Vi sono diversi elementi che contribuiscono a questa condizione di instabilità. Da un lato vi sono gruppi criminali, come 'Abu Sayyaf', in cerca di visibilità e che vogliono ribadire la loro presenza. L'attuale fase di stallo nel processo di pace e il rinvio delle elezioni nella Regione Autonoma Musulmana di Mindanao ha ingenerato malcontento".

Le componenti della società civile e dei gruppi tribali (i lumad) restano escluse e rivendicano i loro diritti. Sono favorevole a un approccio maggiormente inclusivo nelle trattative di pace, dato che attualmente il governo sta trattando solo con il Moro Islamic Liberation Front". Sulle ragioni per colpire obiettivi cristiani, padre D'Ambra ha spiegato che "essi garantiscono pubblicità". Inoltre non va dimenticata "la diffusione di una visione integralista e restrittiva dell'islam, alimentata da stati esteri attraverso fondi, programmi culturali, predicatori e moschee, che hanno un approccio non certo favorevole al dialogo con i cristiani".