Filippine, altra chiesa profanata dallo Stato Islamico
Mindanao, l’isola più meridionale delle Filippine, autonoma e con una popolazione mista cristiana e musulmana, da fine maggio è diventata teatro di una feroce guerriglia metropolitana scatenata da gruppi jihadisti affiliati allo Stato Islamico. Il 21 la chiesa di Malagakit (provincia di Cotabato), è stata attaccata e profanata. E' l'ennesimo episodio di attacco ai cristiani.
Mindanao, l’isola più meridionale delle Filippine, autonoma e con una popolazione mista cristiana e musulmana, da fine maggio è diventata teatro di una feroce guerriglia metropolitana scatenata da gruppi jihadisti affiliati allo Stato Islamico. Il 21 giugno, uno di questi gruppi, il Biff (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters), ha attaccato la città di Pigcawayan (provincia di Cotabato), provocando la fuga di almeno 1700 abitanti. Nel corso dell’attacco, nel villaggio vicino di Malagakit, la locale cappella cattolica è stata attaccata e profanata.
Il Biff nasce da una scissione di jihadisti dal Moro Islamic Liberation Front, il tradizionale movimento armato indipendentista musulmano di Mindanao. Sulla grande isola equatoriale la popolazione è al 70% cristiana e al 20% musulmana. Il Moro ha firmato un accordo di pace con il governo di Manila e i più estremisti dei suoi gruppi si sono staccati per continuare la lotta sotto le insegne dello Stato Islamico (per un approfondimenti, vedi qui). Il Biff, attaccando specificamente una cappella cristiana, intende caratterizzarsi come parte dello Stato Islamico, il cui “marchio di fabbrica” è proprio l’esplicita volontà di perseguitare le religioni non islamiche, oltre che l’islam non aderente alla loro versione ultra-fondamentalista del sunnismo. Secondo l’ispettore di polizia Reylan Mamon, i terroristi hanno distrutto tutte le immagini religiose nella cappella, secondo il solito copione della furia iconoclasta che caratterizza la distruzione di chiese, templi e altri luoghi di culto anche in Medio Oriente. Il crocefisso e le immagini della Vergine Maria sono stati distrutti, il tabernacolo danneggiato, le ostie sparse per terra.
Mujiv Hataman, governatore liberale della Regione Autonoma Musulmana di Mindanao, ha subito stigmatizzato la profanazione, definendola “non islamica”. E il cardinale Quevedo, della diocesi locale di Cotabato, ha invitato anche i leader del Biff a condannare l’atto blasfemo dei loro uomini: “Il Biff vuole dare di sé un’immagine di gruppo che rispetta tutte le religioni, dunque deve punire i suoi membri che hanno commesso l’odiosa profanazione, educare i suoi membri a rispettare rigorosamente le altre religioni”. Il vescovo ha ricordato ai profanatori che: “Questi atti contro la religione gridano vendetta al Cielo” e “Sono analoghi alla profanazione di una moschea o alla distruzione di copie del Corano da parte di non musulmani”. Eppure questi atti sacrileghi e la persecuzione dei cristiani, da parte dei gruppi affiliati all’Isis, stanno aumentando nella regione.
Basti pensare a quel che è successo il mese scorso a Marawi, dove tuttora è in corso (da fine maggio) una dura battaglia contro gruppi di terroristi che hanno occupato la città. La cattedrale di Marawi, città quasi interamente musulmana che ospita anche una piccola comunità cristiana, è stata attaccata e data alle fiamme. I terroristi, oltre alla distruzione materiale, hanno anche rapito 15 fedeli che hanno trovato al suo interno e il vicario episcopale Terestito Suganob. Il vescovo, Edwin de la Pena, che guida la Prelatura cattolica di Marawi, poteva essere fra gli ostaggi. Si è salvato solo perché, nel corso dell’assalto, era fuori città in visita a una parrocchia.
Nel corso dell’attacco a Marawi, i cristiani sono stati vittime di persecuzioni analoghe a quelle subite dai cristiani iracheni e siriani nelle città occupate dall’Isis. I terroristi sono passati casa per casa, a chiedere la religione degli abitanti e a verificare la loro conoscenza dei versetti del Corano. Hanno ucciso tutti coloro che hanno dato la risposta sbagliata. Non si conosce ancora il numero dei cristiani uccisi. Abbiamo comunque la testimonianza di tre lavoratori cristiani, intervistati dal New York Times dopo che sono riusciti a sfuggire al massacro. Nascosti nella cantina del loro posto di lavoro, protetti dal loro datore di lavoro musulmani, dicono al quotidiano americano: “Li sentivamo urlare Allahu Akbar! E chiedevano ai vicini di casa di che religione fossero. Se non rispondevano alle domande sui versetti del Corano, subito dopo sentivamo colpi di arma da fuoco”. In un video di propaganda dello Stato Islamico, di cui le autorità filippine non confermano l’autenticità, si vedono sei cristiani fucilati dai jihadisti a Marawi.
Secondo monsignor Edwin de la Pena, comunque: “La gente comune ha difeso e messo in salvo i nostri fedeli. E tra gli sfollati di Marawi non si fa distinzione di religione: soffrono tutti”. “La nostra risposta è solo la preghiera, la fratellanza e la solidarietà interreligiosa, che molti amici musulmani ci hanno mostrato in queste ore, anche aiutando e difendendo i cristiani di Marawi – aggiunge il vescovo filippino - In questo frangente verso i terroristi sperimentiamo e testimoniamo lo spirito evangelico dell’amore al nemico”.