Fifa, non pensate che Blatter sia l'unico problema
Svizzera, l'inchiesta sulla corruzione dei vertici della Fifa ha messo a repentaglio la rielezione di Sepp Blatter. Era diventato subito un caso politico. Putin e il Qatar, temendo di perdere i loro mondiali erano in fibrillazione. Platini era pronto a subentrare. Ma Blatter è stato riconfermato.
«Il calcio è un gioco semplice, ma è difficile da giocare in modo semplice» diceva l’ex calciatore, allenatore, dirigente sportivo olandese Johan Cruijff. È infatti in assoluto lo sport più diffuso al mondo, tiene incollati agli schermi (o alle tribune degli stradi) milioni di spettatori di ogni cultura e religione. Unisce e divide i popoli e può addirittura far cessare, almeno per breve tempo, le guerre - è accaduto nel Natale 1914 quando sul fronte occidentale soldati inglesi e tedeschi improvvisarono partite – ma in altri contesti può essere motivo di scontri e divisioni internazionali.
All’alba di tre giorni fa è scoppiato quello che i giornali hanno subito definito «il più grande scandalo del calcio»: sette fra i massimi esponenti Fifa – Jeffrey Webb, Eugenio Figueredo, Eduardo Li, Julio Rocha, Rafael Esquivel, José Maria Marin, Costas Takkas - sono stati arrestati in un hotel di lusso di Zurigo con l’accusa di corruzione. Il blitz è stato condotto dalla polizia svizzera, sulla base di un’inchiesta dell’Fbi americana su presunte irregolarità di gare per l’assegnazione dei mondiali, diritti tv e accordi di marketing. Nulla strano, ovvio, in un mondo dove girano tanti soldi. Per capire quanti basta dare due numeri: 5,7 miliardi il bilancio Fifa fra il 2011 e il 2014 e ben 150 milioni le tangenti che i dirigenti si sarebbero intascati sulle assegnazioni su diritti e marketing che da soli valgono quattro miliardi, il 70% degli introiti della federazione mondiale.
Eppure quella che sembrava una semplice messa in stato d’accusa di un sistema di potere incancrenito da trentaquattro anni di gestione targata Joseph “Sepp” Blatter (segretario dal 1981 al 1998 e poi presidente fino ad oggi) si è subito trasformata in qualcosa di più grande. L’arresto dei vertici Fifa ha infatti subito scatenato le reazioni della politica internazionale. Così se il premier britannico David Cameron ha dichiarato di «accogliere con favore l’indagine sulle accuse di corruzione e ruberie nella Fifa, e sostengo la richiesta dell’associazione inglese di un rinnovamento della leadership e di riforme», il presidente russo Vladimir Putin ha accolto la notizia in tutt’altro: ha accusato gli Stati Uniti di voler eliminare Blatter prima delle elezioni di ieri sera per il rinnovo dei vertici Fifa («l'indagine Usa sui dirigenti della Fifa è un chiaro tentativo di evitare la rielezione di Blatter […] è l'ultimo evidente tentativo da parte degli Usa di estendere la propria giurisdizione su altri Paesi») mettendo così in in discussione l’assegnazione alla Russia dei mondiali di calcio del 2018: un colpo politicamente mortale per chi, ormai da anni, gioca di giorno in giorno a una nuova guerra fredda con l’Occidente.
Ma ad essere preoccupati non erano solo i russi. Anche gli arabi apparivano a dir poco terrorizzati da una possibile capitolazione di Blatter nelle elezioni di ieri in favore dell’altro candidato, il principe Ali Bin Hussein di Giordania. Il cambio di dirigenza avrebbe infatti messo a repentaglio l’assegnazione dei mondiali di calcio al Qatar nel 2022. Competizioni che, insieme a Russia 2018 e all’ultima rielezione di Blatter del 2011, sono stati già al centro di un’inchiesta indipendente diretta dall’ex procuratore del Southern District di New York Michael Garcia: da 19 mesi di lavoro ne era uscito un rapporto di 350 pagine, ma a novembre 2014 il governo mondiale del calcio si era autoassolto, pubblicando un riassunto di appena 42 fogli privo delle accuse principali.
Alla fine Ali non ce l’ha fatta: alle sette Ali si è infatti ritirato dalla competizione dopo aver ottenuto, al primo turno, appena 73 voti contro i 133 di Blatter. Un numero appena insufficiente a garantire la riconferma al primo turno dove da statuto servono i due terzi dei consensi (gli mancavano appena sette voti) ma schiacciante per il secondo in cui basta la maggioranza. Blatter è stato così riconfermato presidente per i prossimi quattro anni. A conti fatti il principe giordano ha infatti potuto contare, oltre che su alcuni voti sparsi (e scarsi) in giro per il mondo, su una parte di quelli della federazione europea, la Uefa di Michel Platini.
L’ex calciatore francese infatti, cresciuto nella Fifa all’ombra del vecchio Blatter, non vedeva l’ora di sostituirsi a lui come padre nobile del calcio mondiale: ha così invitato a votare Ali, senza però ottenere i risultati previsti. Se il nome di Blatter è associato a una lista chilometrica di scandali (oltre a quelli citati ci sono dubbi e accuse sulle prima elezione del 1998 e sulla rielezione 2002) anche quello di Platini non è scevro di dubbi, anche se di spessore certamente minore: nel 2014 aveva liquidato come «le solite polemiche contro chi vince» le accuse alla Juventus di aver truccato una partita con la Roma (nonostante gli scandali di “Calciopoli”) e a marzo 2015 si è sbilanciato dicendo che questo potrebbe essere «l’anno buono» per la Juve in Champions League. Detto da uno storico calciatore in maglia bianconera suonava un po’ fazioso.
Ma al di là delle singole responsabilità, al di là di Blatter, Platini e dei dirigenti Uefa, ci sembra di poter dire che il problema sia un altro: nel calcio agonistico si formano spesso, troppo spesso, sistemi di gestione meno che trasparenti. Schemi che si ripetono in tutte le federazioni: locali, nazionali, continentali e in quella mondiale. Se si vuole davvero puntare a una “moralizzazione” complessiva del gioco del pallone non si può certo pensare che l’unico problema sia Blatter.