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DOPO IL VOTO

Fiducia, Letta ha un nuovo paracadute: il Pdl

Il Pdl/Forza Italia si spacca e Berlusconi perde il suo potere di veto sul governo Letta, dovendo votare la fiducia. Ora i riflettori sono puntati sulla seduta della Giunta delle elezioni del Senato, che dovrà esprimersi per la decadenza del Cavaliere.

Politica 03_10_2013
Governo Letta

La giornata di ieri segna un punto di non ritorno nella storia del governo Letta. Numericamente è cambiato poco, visto l’ampio sostegno che l’esecutivo ha raccolto al Senato. Dal punto di vista politico, però, il premier ha ora la sicurezza di un “paracadute”, rappresentato da un nuovo gruppo di “dissidenti” pidiellini pronti a sostenerlo anche senza l’approvazione di Berlusconi.

Il dietrofront (clamoroso ma non troppo) del Cavaliere la dice lunga sulle difficoltà interne al centro-destra, ormai spaccato in due tra colombe filo-governative e falchi. La resa dei conti tra le due anime è solo all’inizio e questa spaccatura nel Pdl/Forza Italia appare destinata a rafforzare il premier. Il potere di interdizione di Berlusconi non è più decisivo per la sopravvivenza del governo e i ministri berlusconiani (o “diversamente berlusconiani”) saranno le sentinelle dell’equilibrio politico delle larghe intese.

Lo spettacolo per il Paese è indecoroso. Mentre la "casa Italia" brucia, i partiti, per puro tornaconto elettorale, si accapigliano per scaricare sull'avversario politico le colpe della crisi. L’atteggiamento ondivago del leader del centro-destra rischia di provocare scissioni definitive nel Pdl, ma è indubbio che anche nel Pd si stia giocando una partita molto cruenta per la leadership.

Se si andasse a votare nei prossimi mesi, come ha già chiarito Massimo D'Alema, il centro-sinistra avrebbe solo il tempo di organizzare primarie di coalizione per la scelta del candidato premier e quindi nel partito non si toccherebbe nulla. Resterebbero gli attuali equilibri, che vedono i renziani soccombere di gran lunga e i bersaniani e gli esponenti della vecchia guardia rimanere saldamente nelle posizioni di maggior potere. Candidato a Palazzo Chigi a quel punto non potrebbe non essere Enrico Letta, attorno al quale lo stato maggiore del Pd si è stretto in segno di solidarietà. E Renzi sarebbe fuori gioco. Il “patto” che Renzi e Letta avrebbero siglato nelle ultime ore sembra già vacillare, perché il sindaco di Firenze non potrà contare più di tanto sull’appoggio del premier nella corsa alla segreteria. Il premier può assicurare che non si candiderà per non sbarrargli la strada, ma non potrà spendersi più di tanto per il sindaco di Firenze, considerato che la tenuta in vita del suo governo dipende soprattutto dai voti dei parlamentari bersaniani e dalemiani, sostenitori di Cuperlo.

Stucchevole anche la commedia delle finzioni rispetto alla volontà (solo dichiarata) di cambiare la legge elettorale: nessuno ha interesse ad abbandonare il Porcellum, che garantirebbe alla vecchia nomenclatura diessina, a Berlusconi e a Grillo di nominare i propri fedelissimi come parlamentari, posizionandoli ai primi posti nelle rispettive liste. E se poi la Corte Costituzionale dovesse dichiarare incostituzionale quella norma per quanto attiene al premio di maggioranza, si tornerebbe di fatto a un sistema proporzionale, che accentuerebbe i rischi di ingovernabilità e spingerebbe in ogni caso verso nuove ammucchiate o larghe intese.

Nel centro-destra, l’offuscamento della leadership di Berlusconi è innegabile. Le voci insistenti di una discesa in campo della figlia Marina non sembrano infondate, anzi.

I riflettori sono puntati comunque sulla seduta della Giunta delle elezioni del Senato che domani dovrà pronunciarsi sulla decadenza da senatore dell’ex premier. Le fibrillazioni di questi giorni non sono bastate a rinviare la riunione della Giunta e probabilmente non basteranno a evitare che il voto (ormai scontato) in favore della decadenza arrivi già venerdì sera. A quel punto la parola passerà all’aula e, nel segreto dell’urna, potrebbe anche accadere l’imponderabile e cioè che il Senato respinga l’ipotesi di decadenza.

La messa in onda, durante la trasmissione "Piazza pulita", alcune sere fa, di una telefonata nella quale Berlusconi, parlando con uno dei suoi, accusava il Presidente Napolitano di essere intervenuto sui magistrati del processo Mondadori per favorire De Benedetti, ha certamente messo la "pietra tombale" su ogni ipotesi di clemenza del Quirinale nei confronti del Cavaliere. Già l'idea della grazia appariva impraticabile, ma dopo quell'episodio si può affermare che i rapporti tra il capo dello Stato e l'ex premier hanno toccato il punto di maggior frizione.

Quanto, infine, al "metodo Boffo", espressione fin troppo abusata soprattutto a sinistra (e a dire il vero impropria, anche per quanto riguarda il caso che l'ha originata), un chiarimento s’impone. Se per "metodo Boffo" si intende l'attivazione della cosiddetta "macchina del fango" a senso unico per screditare gli antiberlusconiani, non si riscontrano grandi differenze tra l'atteggiamento dei giornali filo-Cavaliere e quelli anti-cavaliere, che sembrano vivere da vent'anni per attaccarlo. Il "metodo Serra" non appare molto diverso dal "metodo Boffo" o dal "metodo Borghezio": gli estremismi non hanno colore e sono figli della stessa matrice culturale e dello stesso atteggiamento di chiusura preconcetta verso chi non la pensa allo stesso modo. È una forma di khomeinismo a volte di destra a volte di sinistra che ispira gran parte dell'informazione italiana e che si nutre di giudizi preconcetti non supportati da dati di realtà. Ci auguriamo che il clima di pacificazione ripristinato con il voto di ieri al Senato allunghi le sue propaggini anche sul mondo dell’informazione, rendendolo più credibile, trasparente e meno manicheo.