Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
A REGGIO CHIUDE I BATTENTI

Festa dell'Unità, il rito rosso senza più nulla da dire

A Reggio la Festa dell'Unità chiude i battenti, a Bologna per tenerla viva devono chiamare il vescovo. E a Modena cambierà nome in Casa Emilia. Scomparsi i vecchi comunisti che facevano per "fede" le ferie al Campovolo e abbandonate le idealità, gli eredi del Pci hanno sposato ossessivamente l'ideologismo radical chic immigrazionista e lgbt. E a presidiare ci hanno messo i cattoprogressisti. Inevitabile chiudere i battenti. 

Editoriali 09_07_2019

La Festa dell’Unità di Reggio Emilia non si chiamava più così da molto tempo ormai. Si chiamava Festareggio e uno poteva essere portato a pensare che si trattasse di una festa per tutti i reggiani. Invece no. Era il frutto dell’operazione di maquillage post caduta del muro di Berlino degli ex comunisti per cancellare le proprie radici e la propria storia divenuta scomoda. Festareggio era un inganno: non era la festa di tutti i reggiani, ma una festa di un partito che non poteva più utilizzare la parola Unità perché il giornale che portava quel nome era morto da tempo e l’unità della Sinistra che sperava di conquistare non si era mai realizzata. 

Si chiamava allora Festareggio, ci si appropriava di un tutto per coprire le difficoltà di una parte: può accadere solo nelle terre rosse dove il regime si è fatto via via cappa impossibile da decifrare. E a Modena sarà così perché con la stessa logica la leggendaria Festa di Ponte Alto si chiamerà Casa Emilia. Come se tutti gli emiliani dovessero identificarsi lì. Un bel corno!

Ma che Festareggio negli ultimi 20 anni e la Festa dell’Unità prima fossero il cuore culturale di una città intera lo dimostra il fatto che fino all’anno scorso si teneva a ridosso del centro, nell’area cosiddetta del Campovolo. Qui, proprio di fronte alle leggendarie officine Reggiane sorgeva e sorge tutt’ora il Campovolo, troppo poco per definirlo aeroporto, ma molto più di un parco urbano, che si contenta di essere un punto di riferimento per i paracadutisti per hobby che qui fanno base tutti i weekend. Non divenne mai un aeroporto perché per un mese all’anno il Campovolo diventava teatro della festa dei rossi e per l’occasione tutto si fermava e tutto doveva ruotare attorno ad essa. Anche la viabilità cittadina che veniva modificata, con tassi elevati di bestemmie da parte di molti automobilisti, che si ritrovavano una città spaccata in due da attraversare. Anche i piani regolatori e lo sviluppo mancato di quell’area non sono mai stati fatti perché il partito che ha amministrato la città di Reggio per 70 anni ha sempre considerato quel luogo come suo: intoccabile perché lì doveva esserci la Festa che rappresentava l’entrata economica principale della potente federazione di via Toschi.  

L’anno scorso dal Campovolo ci si è trasferiti alle Fiere di Reggio, altro vuoto contenitore e quella fu la prima avvisaglia che qualche cosa stava cambiando. Oggi i giornali piangono il fatto che quest’anno Festareggio non si si farà (il buco della federazione ammonta a 2 milioni di euro) e ricordano di quando nel 1983 dal palco del Campovolo Enrico Berlinguer arringava oltre un milione di persone. Poco dopo la Festa dell’Unità avrebbe toccato il suo apice con un concerto storico degli U2 e forse, a voler vedere, la metamorfosi era tutta lì: spettacoli sopra tutto, gratuiti, per quanto riguarda la politica sempre più autoreferenzialità, sempre più sinistra a guardarsi l’ombelico, sempre più passerelle e sempre meno contenuti. 

Anche la ristorazione non poteva più dare il suo apporto: una volta alla Festa dell’Unità potevi trovare le specialità italiane: dal Piemonte (ristorante Le Langhe) alla Sardegna (Ristorante il Nuraghe) passando per il cacciucco alla livornese cucinato dalla sezione rossissima del Pci toscano al pesce del Ciao Mare che ricordava l’allegria adriatica. Insomma: anche per chi non votava a Sinistra, andare alla Festa dell’Unità era comunque un viaggetto tra i sapori del Bel Paese. 

Oggi tutto questo è cestinato. Sparite le idealità, sparite le attrattive, sparite le convenienze musicali e soprattutto spariti i voti con i quali il Pci si era costruito il suo piccolo esercito, a Festareggio non restava nient’altro da fare che ammainare bandiera. Allora c’era una fede da sostenere, una fede in una "Chiesa" e si esibivano rituali e liturgie. Dietro gli stand, andando verso i parcheggi, si potevano vedere le file di camper e roulotte: erano i militanti che si prendevano le ferie tra agosto e settembre per lavorare come volontari. Erano animati da ideali: diritti dei lavoratori, giustizia sociale. Utopie, ma ideali, in ogni caso.

Oggi quegli ideali sono stati traditi dalle cause più discutibili e ossessive della Sinistra: i diritti Lgbt e l’immigrazionismo, praticamente il diktat a rischio totalitarismo e l'apice dello sfruttamento umano nascosto dietro il buonismo di facciata. Basti guardare gli ospiti dell’anno scorso per rendersi conto che l’orizzonte culturale era già particolarmente povero: Melloni, Kyenge, Monica Cirinnà, Gianrico Carofiglio, più una passerella di leader dem locali e nazionali. Il risultato è che ormai l’appeal della gente era calato. 

Coi vecchi comunisti morti e sepolti, quelli nuovi oggi che salgono sulle navi delle Ong, a presidiare le Feste dell’Unità oggi rimangono solo i cattoprogressisti, che hanno preso il controllo di uno scatolone ormai vuoto, privo di idealità. Il vescovo di Bologna Zuppi è stato l’ospite incontrastato di una festa dell’Unità del bolognese, l'unico che facesse un po' di richiamo mediatico. Argomento? I cattolici in politica. Figurarsi…alla festa dell’Unità. Il prelato ha dialogato con tre esponenti politici: del Pd - ovviamente - di Forza Italia e dei 5 Stelle. Assente la Lega e Fratelli d’Italia. Il motivo? «Francamente non abbiamo trovato esponenti molto cattolici tra le fila del Carroccio bolognese», si è giustificata la conduttrice dell’evento dimenticando che la maggior parte dei cattolici oggi vota lì.

Il solito vizio radical chic di dare patenti. Prima lo facevano sulla democrazia, oggi danno anche patenti di cattolicità. E parlano di un argomento, quello dei cattolici in politica, che potrebbe aprire a una vastità di tematiche oppure chiudersi in un mare di banalità. Hanno scelto la seconda strada: tabù i temi dell’eutanasia, dell’aborto, della vita, della difesa della famiglia naturale, dell’educazione gender, della rivoluzione arcobaleno, ci si è concentrati in un guazzabuglio di giustificazioni e ammonimenti “salomonici" del tipo: «Anche un non cattolico può essere un buon politico».

"La verità è che nun c'avete più "gnente" da dì", avrebbe detto il Marchese del Grillo. Una ideologia è sempre perdente e alla lunga porta all’anonimato e al guardarsi l’ombelico, strizzando l’occhio soltanto al tema - indovinate un po’ - dei migranti: unico comune denominatore tra gli ex comunisti e i cattoprogressisti chiamati a rianimare le esanimi speranze rosse alla ricerca del Sol dell’Avvenire. Come quando due anziani vedovi si trovano ai giardinetti e - così, tanto per farsi compagnia - iniziano a frequentarsi. Più per paura della solitudine che per avere qualche cosa in comune da condividere. L’orizzonte però porta alla chiusura del sipario.