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L'ANTIDOTO

FEDE E NEVROSI

Le patologie odierne, come anoressia e depressione. sono diventate un vero problema pastorale. E la Chiesa per ora ha scarsità di personale. Nell'attesa che il Signore come ha sempre fatto susciti il Santo che fondi una congregazione apposita è bene rimboccarsi le maniche.

L'antidoto 16_07_2011
depressione
Un problema “pastorale” che vorrei segnalare qui è quello delle malattie moderne. Queste dilagano ch’è un piacere. Dunque, colpiscono anche i cattolici credenti e praticanti. Negarlo sarebbe mentire. Tra queste malattie moderne le più imbarazzanti sono quelle mentali, come anoressia e depressione. Chi ne soffre se ne vergogna e cerca, per quanto gli è possibile, di tenersi defilato. Infatti, se facesse “outing” si creerebbe immediatamente il vuoto attorno. Anche per i credenti vale la regola: gli allegri e i simpaticoni tutti li cercano; i musi lunghi o problematici tutti li scansano. I più volenterosi, al massimo ci provano, ma dopo qualche frustrante tentativo, mollano. Con i depressi non serve dire «Dài, tirati su». Non possono. Né serve spronare gli anoressici a mangiare. Ora, queste persone sono di mente lucidissima, non di rado di intelligenza superiore. Ma, in quanto credenti, soffrono ancor di più per la “testimonianza” negativa che sono costretti a dare.

Tutti, infatti, sono convinti che il credente debba essere nella gioia, come dice il Vangelo nella parabola della dracma ritrovata, e come addirittura ordina s. Paolo («…siate lieti; ripeto, siate lieti!»). I convertiti, poi, secondo l’immaginario comune dovrebbero saltellare e ballare attorno al tavolo continuamente, dal momento che hanno rinvenuto l’evangelico «tesoro nel campo». Il non credente, al cospetto di un depresso o di un anoressico (per indicare solo un paio tra le più diffuse affezioni della mente), si allarma, perché ragiona così: a) la fede può fare questo effetto, meglio starne alla larga; b) non è vero che la fede genera gioia, anzi. D’altra parte, lasciare il compito di testimonial ai soli euforici sarebbe ipocrita. Questo sì che sarebbe «proselitismo» di bassa lega. Non solo. Contravverrebbe al dovere della testimonianza (una volta si chiamava «apostolato») di tutti i cattolici credenti e praticanti. Anche un malato terminale (di un male fisico) può dare testimonianza di fede, anche un inguaribile, anche un tetraplegico gravissimo.

Ma se il male colpisce la mente, ecco il problema. Che la fede, da sola, basti a risolvere nevrosi, personalmente non credo. Che il problema esista e, anzi, sia molto diffuso, lo vedo. E lo leggo in alcune, timide, lettere che mi arrivano. Penso sia inutile, a questo riguardo, rivolgersi alla Chiesa per due motivi. Uno è che ha drammatica scarsità di personale. L’altro è che la psichiatria non so fino a che punto sia una scienza esatta e temo non lo sappia nemmeno la Chiesa. Anche spulciando i miracoli da essa riconosciuti, quasi mai (anzi, mai) si trova qualcosa che faccia al nostro caso. Per forza: uno che si alza e cammina lo si vede, un tumore sparito rimane nella cartella clinica, un cieco che recupera la vista pure. Queste sono «prove» che gridano. Ma un disturbo mentale, del genere che ci interessa, risolto a Lourdes, a Medjugorje, a San Giovanni Rotondo, come lo dimostri?

Ecco perché le testimonianze, se ci sono, latitano. Ed è un motivo in più, per chi ne soffre, di sentirsi abbandonato pure da Dio. Premetto che, ovviamente, non ho soluzioni. Né pretendo che questo mio scritto sia esaustivo. Esso vuole solo gettare un sasso nello stagno, chissà che non ne esca qualche ranocchio. In attesa che il Signore susciti il Santo che fondi una congregazione apposita, come ha sempre fatto. Un tempo si usava pregare il Signore affinché potessimo «perpetua mentis et corporis sanitate gaudere». Ma, com’è noto, il latino non si usa più.