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L’INCONTRO DELLA BUSSOLA

Fatti per la Verità, il significato di una missione

Il duplice significato del motto “Fatti per la Verità”, nella diretta streaming di martedì, con il professor Razzante e monsignor D’Ercole come ospiti e il direttore Cascioli a moderare. Tanti gli spunti emersi, dai condizionamenti del mainstream alla vera libertà, che discende dal servizio alla Verità, cioè a Cristo stesso.

Cultura 01_12_2022

Che cosa significa “Fatti per la Verità”? È su questa domanda che si è incentrato l’incontro - il primo di una serie di sei in programma il martedì alle 21 - trasmesso in diretta streaming dalla nostra testata il 29 novembre, giorno in cui è caduto il decennale della Nuova Bussola Quotidiana e che quest’anno segna anche l’inizio della campagna di raccolta fondi natalizia, intitolata proprio "Fatti per la Verità". L’incontro, moderato dal direttore Riccardo Cascioli, ha avuto come ospiti il professor Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione nonché storico collaboratore della Bussola, e monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo emerito di Ascoli Piceno e per 24 anni conduttore di programmi televisivi di approfondimento religioso, tra cui Sulla via di Damasco.

Tanti gli spunti offerti in una quarantina di minuti di dibattito, anche perché lo stesso tema da sviscerare - “Fatti per la Verità” - si presta a un doppio, complementare, significato: ossia, quello di «leggere i fatti alla luce della Verità», come ha ricordato Cascioli e, al tempo stesso, la constatazione che «noi siamo fatti per la Verità», in quanto creati per questo fine, che è Cristo.

Proprio a partire dagli insegnamenti di Gesù, monsignor D’Ercole ha offerto una sintesi del retto rapporto tra verità e libertà, oggi sempre più ignorato. «Il problema di fondo di questa nostra società è che ha perso il senso della libertà, ha sempre paura, viviamo in un clima di perenne paura. Solo la verità ti rende veramente libero. Libero anche di dare la tua vita, anche di pagare di persona», ha spiegato il vescovo. Il quale ha poi richiamato, nel solco di san Giovanni Paolo II, l’importanza che la fede diventi cultura ed espresso il proprio apprezzamento per il lavoro che la Bussola fa in questo senso e per la missione che svolge nella Chiesa e nella società.

In risposta a una domanda sul motto “Fatti per la Verità”, che peraltro campeggia sotto la nostra testata, mons. D’Ercole ha sviluppato una ricca argomentazione. In particolare, ha chiarito che «rivendicare l’esigenza di proclamare la verità» non equivale alla «pretesa di avere la verità in tasca», bensì di riconoscere che essa ci precede (perché appunto, in definitiva, è Cristo stesso) e che noi siamo fatti «perché questa Verità possa essere conosciuta e diffusa». Un’opera così diviene un servizio alla verità, che non ammette compromessi. «Quando si è in questa ottica - ha aggiunto D’Ercole - ci si sente liberi dentro. Non è la libertà che fabbrica la verità, è la verità che ti rende libero».

A proposito del delicato tema della verità nell’informazione, il professor Razzante ha osservato che «indubbiamente ci sono tanti esempi di verità manipolata, li abbiamo visti anche durante il Covid e probabilmente li stiamo vedendo in occasione del conflitto russo-ucraino». In questi e altri eventi di rilievo, secondo Razzante, si assiste di frequente a un’informazione che si piega a «interessi» di parte. I media mainstream, nello specifico, sono sempre più segnati da «grandi concentrazioni proprietarie», oltre che da «condizionamenti politici». In generale, aggiunge il docente di Diritto dell’informazione, «i giornalisti sono spesso venuti meno alla loro missione che è quella di raccontare - come dice la legge istitutiva della professione giornalistica - la verità sostanziale dei fatti, cioè quella verità che il giornalista cerca di scoprire con lealtà, buona fede e onestà intellettuale».

Cascioli ha notato al riguardo come la cultura dominante, negli anni, è sempre più passata dal «reclamare un’obiettività nel dare le notizie» al pretendere dai giornalisti di essere «agenti di cambiamento sociale», in senso politicamente corretto, come per i cosiddetti, ingannevoli, «diritti civili».

Riguardo a determinate dinamiche in atto, che cercano di condizionare l’annuncio della verità, D’Ercole ha detto che «non possiamo addolcire il Vangelo per far piacere agli altri. Il Vangelo è Vangelo». Il prelato si dice convinto che in una società, come quella odierna - «sempre più pluralista, interculturale, formata da culture e religioni diverse» - sia fondamentale il dialogo, ma che abbia delle direttrici ben precise. «Perché il dialogo possa essere proficuo per il bene comune, come ha sempre affermato la Dottrina sociale della Chiesa, bisogna tenere presenti due temi importanti: uno, l’apertura al dialogo è espressione di un’identità forte, non posso dialogare se non so chi sono e se non voglio essere quello che devo essere», spiega il vescovo, facendo l’esempio - a lui ben noto per esperienza - del dialogo con l’Islam, che acquista valore se si fonda sul rispetto reciproco e se «da una parte e dall’altra non si nasconde la propria identità». Collegato al tema dell’identità, c’è il secondo tema sottolineato da mons. D’Ercole, quello della responsabilità, rispetto a tutto ciò che si è, si dice, si fa. «Questa mi sembra la base perché ci possa essere un vero dialogo per una società dove regni la pace, la giustizia sia affermata e l’amore possa essere veramente conosciuto nella sua realtà».