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LA VITA È SEMPLICE

Fare spazio a una vita

Olga, 19enne di origine russa, vive in automobile e con Marco non sanno dove vivrà il loro bimbo. Poi, al Cav...

Multimedia 07_04_2012
Paola Bonzi

 

La prima situazione incontrata al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli è stata quella di Maria Grazia che viveva in una automobile, essendo stata rifiutata da tutta la sua famiglia, perché aspettava un bambino che, forse, non voleva abortire. Si trattava di un caso così assurdo che non avrei mai pensato di ritrovarne uno analogo dopo tanti anni, e invece...

Un bussare alla porta e un “Avanti” mi fanno incontrare con una giovane coppia:
Olga di diciannove anni e Marco di ventidue.
Siamo tutti seduti, ci sorridiamo un po’ imbarazzati ed ecco la mia domanda di rito:
“Che cosa vi porta qui?”
Si tengono per mano come a farsi coraggio; Olga è una giovane ragazza dall’aria timida con un bel visino dai lineamenti sfumati mentre Marco appare più determinato.
“Ci hanno detto che da voi si può ricevere aiuto e siamo venuti.”
Spiego brevemente chi siamo e domando:
“Olga è gravida?”

Con qualche difficoltà mi raccontano:
“Ci siamo conosciuti circa sette mesi fa; Olga è di origine russa anche se si è ben inserita in Italia mentre io – è Marco che parla – sono italiano.
Mi è piaciuta subito per il suo buon modo di essere acuta e brillante, senza darsi tante arie.
Ci siamo frequentati per un po’ e abbiamo iniziato a fare progetti futuri di vita insieme.
Così, l’ho presentata alla mia famiglia, sperando che ci avrebbero anche dato una mano, visto che Olga veniva ospitata a turno da qualche amica e io lavoro solo per metà giornata e, con seicento euro di stipendio, nessuno mi fa un contratto di affitto.”

Vengo così a sapere che la famiglia di Marco non accetta la sua relazione con Olga al punto di metterlo fuori di casa, visto che lui non vuole lasciarla.
Mi viene spontanea la domanda:
“E dove vivete attualmente?”
Con molta fatica, Olga prende la parola per dire:
“Viviamo in macchina e adesso sono incinta.
Questo modo di vivere mi provoca malesseri anche fisici e sono stata più volte al pronto soccorso dove, però, mi hanno detto che la gravidanza va bene ma che avrei bisogno di stare un po’ sdraiata anche durante il giorno.
Come posso fare in questa situazione?
Marco non vuole nemmeno sentirne parlare, ma io avrei deciso di interrompere la gravidanza.”
Dice tutto ciò quasi sottovoce mentre io penso alle future madri della nostra società borghese a cui si riconosce anche il diritto di avere le voglie più impensate e impensabili che tutti ci premuriamo di soddisfare.

Le note musicali del brano che si stanno diffondendo in questo momento nella stanza,
è come se sottolineassero la tristezza di quel tono di voce e del sentimento di impotenza che sto provando.
La nostra situazione finanziaria, in questo momento, è più tragica del solito anche perché tante hanno bussato alla porta (insieme ad Olga, solo questo mese, sono state più di centotrenta le madri incerte sul futuro della propria gravidanza) e, a tutte loro, è stato detto “avanti”, facendocene carico in modo un po’ sconsiderato.

Ma quanto vale la vita di un bambino?
È possibile che un bimbo non possa nascere per qualche migliaio di euro?
Da tanti anni, più di ventisette, proviamo ad accogliere la vita nascente che verrebbe negata per motivi economici; le abbiamo provate tutte facendo scommesse che sembravano già perse in partenza ma è come se ora avessimo scaricato tutte le batterie.
Mi prende un grande momento di sconforto e poi provo a buttar lì:
“Olga, e la sua famiglia?”
“Non ho più famiglia; mio padre se n’è andato quando io ero piccola e la mamma è morta circa un anno fa.  Mi sono ritrovata da sola e ho deciso di venire in Italia dove ho conosciuto Marco che mi regala tanto affetto.”

Faccio un veloce ripasso delle nostre possibilità di accoglienza:
il nostro Centro ha in affitto due appartamenti abbastanza grandi dove quattro più quattro future madri possono trovare ospitalità cercando di autogestirsi.
Sappiamo che la convivenza non è sempre facile; una educatrice fa loro visita settimanalmente aiutandole a programmare la spesa, a organizzarsi per i vari turni di pulizia della casa e affrontando i nodi problematici che di volta in volta si presentano.
Sono quasi sicura che in uno di questi appartamenti c’è ancora un posto e, allora, mi butto:
“Olga, che cosa ne pensa di una specie di famiglia costruita in Italia?”
Le racconto delle nostre case per le mamme; lei, un po’ sorpresa, guarda Marco in modo interrogativo.
“Io sarei felice che Olga avesse per sé un posto confortevole.
Per me non ci sarebbero problemi di sistemazione, ho tanti amici...”
Olga non sembra così entusiasta:
“Ma, in questo caso, dovrei separarmi da Marco!” esclama convinta sgranando gli occhi guardandolo.

Dentro di me condivido la sua fatica nell’affrontare questa scelta
e mi sento una vecchia brontolona quando le dico sorridendole: “È faticoso, lo so, ma si tratta di salvaguardare la sua salute e quella del vostro bimbo.
E, poi, non sarà in prigione, di giorno potrà incontrare Marco in qualunque momento; si tratterà di tornare a casa a una certa ora e di non riceverlo nell’appartamento.
Non mi piace mai fare questa parte, ma so che è necessaria.
Infatti nella casa possono esserci altre madri che non hanno più alcuna relazione e non vogliamo aumentare il loro dispiacere.
Insisto:
“Questa potrebbe essere una sistemazione per un anno, durante il quale Marco avrebbe l’opportunità di trovare anche un altro impiego che vi darebbe la possibilità di un contratto
d’affitto.”

Trascorsi un paio di giorni, vengo a sapere che abbiamo raggiunto lo scopo: Olga, la settimana scorsa è entrata a casa nostra.

Con l’occasione, abbiamo fatto una riunione insieme alle nostre mamme accolte, per ribadire la necessità di osservare il piccolo regolamento che vuole rendere possibile la vita all’interno degli appartamenti.

Erano allegre, sembravano compagne di studi che condividono l’alloggio.
E di compagne si trattava: compagne di vita per prepararsi insieme a diventare madre, sviluppando anche la solidarietà tra loro, lasciandosi un po’ accarezzare dal nostro affetto che ha il sapore della gratitudine per aver accettato di far nascere il loro bambino.