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EDITORIALE

Far finta di essere uno sport normale

Quello che è accaduto per la partita di Lega Pro Salernitana-Nocerina è solo la punta di un iceberg in un mondo di scommesse, ultras e dirigenze ambigue. Per non parlare del pesante clima di intimidazione su cui non si può chiudere gli occhi.

Editoriali 12_11_2013
Uno dei finti infortunati

Mentre la Procura di Cremona fa sapere - nel senso che viene detto ai giornali, che lo riportano - che nell’ambito dell’inchiesta sul “calcioscommesse”, ci sono nuovi indagati, "con dirigenti e tecnici di prima fascia in contatto con criminali che in cambio di risultati esatti sulle gare pretendono somme dell'ordine delle centinaia di migliaia di euro a partita” e che “si indaga sulla manipolazione di circa 110 partite e gli indagati sono più di 150”, nello stadio Arechi di Salerno si gioca la farsa del derby di Lega Pro (la ex serie C) tra Salernitana e Nocerina. 

Sappiamo com’è andata: 3 sostituzioni nei primi 50 secondi di gioco e 5 infortuni in 21 minuti. La Nocerina rimane con sei uomini a disposizione e l’arbitro - in base al regolamento - sospende la barzelletta. Il questore di Salerno, ha ricostruito i fatti così: "I dirigenti della Nocerina si sono impegnati per convincere i propri giocatori a scendere comunque in campo, dopo le intimidazioni ricevute davanti al quartier generale della squadra da circa duecento presunti ultras. La parte malata della tifoseria rossonera, una parte minoritaria, ha inscenato forme di minacce che prefigurano reati penali". Le squadre entrano in campo ed inizia la messa in scena, che si conclude con le dichiarazioni del questore: "La società rossonera era intenzionata a disputare la partita mentre erano proprio i giocatori che si rifiutavano di scendere sul terreno di gioco. Nel frattempo, abbiamo acquisito filmati e testimonianze di quanto accaduto  ed avvieremo le opportune indagini". La  Lega Pro, dal canto suo, con un comunicato conferma: “Non arretreremo di un centimetro nel conquistare un calcio normale".

Auguri! Il calcio “normale” al quale assistiamo è quello delle inchieste giudiziarie sul calcio scommesse, che rafforzano sempre più i dubbi che quello che si vede sia una colossale finzione. Quello degli ultras, che condizionano fortemente, in tutt’Italia, la gestione degli stadi e nel sud, in particolare, hanno da sempre dimostrato di saper ben interpretare l’arte dell’intimidazione. Quello dei dirigenti (a vita), che coltivano rapporti di contiguità con i facinorosi, con l’obiettivo di preservare il loro giocattolo industriale. Quello dei giocatori - nel caso di quelli della Nocerina da radiare a vita - che vivono nel mondo dorato e costruito ad arte, che dovrebbero andare a ripassare non solo la grammatica, ma anche i principi di lealtà, pronti come sono sempre a simulare.

A tutto questo fa da cornice la politica e il territorio geografico dove si è svolta questa vicenda, che è stata così commentata dal Sindaco di Nocera Inferiore, Manlio Torquato: “Esaminiamo i fatti, prima di dare colpe. Non si può scaricare solo sulla tifoseria l'esito di questa vicenda. Questa protesta simbolica tocca il primo vulnus che si è creato allo sport. Che non è il risultato della partita in sé. È l'impossibilità di vedere da vicino i propri colori dopo venticinque anni all'interno di una competizione, che è la competizione calcistica per definizione per la provincia di Salerno. Salerno e Nocera sono per tradizione i due epicentri della provincia salernitana. Non voglio entrare nella vicenda di quanto accaduto allo stadio, perché non conosco a fondo i particolari. Non è stata scritta una bella pagina, ma non possiamo dire che la non bella pagina sia stata scritta solo durante l'orario della partita. Perché già da prima si poteva agire e ragionare diversamente. I nocerini non accettano lezioni di civiltà da altre città o da esponenti politici di altre comunità, come purtroppo è accaduto”.

Di fronte a queste parole in libertà, s’impone una domanda: non è compito del Sindaco di una città che ha al suo interno un gruppo di persone che si comporta in spregio a tutte le regole del vivere civile, dire chiaro e tondo che questi atti sono inammissibili? Le sue parole sostanzialmente a difesa di questi atti, sono il prodotto di una cultura o rispondono solo al problema di non inimicarsi i bellimbusti che spadroneggiano nella sua città? E’ più probabile che tengano conto di entrambe le esigenze.

E’ la mancanza di cultura dei ceti dirigenti meridionali, che per decenni hanno rivolto solo pavidi lamenti nei confronti dello Stato - disinteressandosi del loro dovere di formare ed educare - a produrre la situazione attuale del Sud, dove l’arroganza, la protervia, le minacce, le intimidazioni, sono all’ordine del giorno e sono elementi penetrati nel tessuto sociale in modo irreparabile, ormai. In larghi territori del Sud, si è ormai abituati a giustificare tutto, in nome della “pace sociale”, anche perché spesso chi ricopre responsabilità è connivente con chi lede la dignità delle persone. Perfino la delinquenza, l’uso della droga e dell’alcol, trovano le loro giustificazioni nella povertà e nella disoccupazione. Con il dissolvimento degli istituti che una volta presidiavano la società - la famiglia, la parrocchia, la scuola - esiste un’intera generazione di giovani che non viene più educata alla vita civile, che si fa regole per conto suo, si riunisce in “bande” e non risponde a nulla e a nessuno. 

Molte città meridionali sono assediate da questi comportamenti. Recentemente, a Bari è stata emanata un’ordinanza che ha fatto l’elenco di una serie innumerevole di comportamenti che hanno leso da tempo l’ordine pubblico e il decoro urbano, calpestando quello che una volta si chiamava bene comune e ha riguardato la “sosta prolungata in gruppo superiore a cinque persone, con atteggiamento di sfida, presidio o di vedetta o comunque in modo tale da impedire la piena fruibilità della piazza agli altri cittadini ed ai turisti”. Hanno sorriso in molti. L’hanno chiamata “l’ordinanza che vieta gli sguardi di sfida”. Un provvedimento di fatto irricevibile, perché occorrerebbe un esercito intero per farlo rispettare, ma che coglie una problematica reale, diffusa nel Mezzogiorno, che non solo è in mano alle mafie, ma quel che è più grave, non è più in grado culturalmente di affrancarsi e rigenerarsi.