Fanini: così faccio pulizia del doping nel ciclismo
Dalle magliette anti-abortiste mostrate al Giro d'Italia alla collaborazione attiva con i Nas per sconffiggere il doping, fino alle liti con Marco Pantani. La storia del lucchese Ivano Fanini, Presidente della storica società ciclistica "Amore & Vita".
La storia del lucchese Ivano Fanini, Presidente di Amore & Vita, la società ciclistica più longeva al mondo, quanto a bellezza di ideali e audacia nel perseguirli è di quelle da romanzo. Dalle sue battaglie contro il doping costategli minacce ininterrotte, alle 25 udienze private, un record, concesse da Giovanni Paolo II a lui e alla sua squadra; dalle sue ardite collaborazioni con i Nas capaci di rivoluzionare la storia recente del ciclismo, fino a una lotta all’aborto tutta particolare condotta insieme all’amico Roberto Formigoni.
Ivano Fanini, dal 2000 Commendatore al merito della Repubblica Italiana, poteva tranquillamente fermarsi alle gare di ciclismo, visto che nella sua veste di Presidente di club ha tesserato ben 4000 atleti, scoperto fuoriclasse del calibro di Mario Cipollini, Bartoli, Tafi e Sorensen e rilanciato campioni quali Chioccioli, Gavazzi e Baronchelli. Ma da cattolico non gli bastava, e nel 1989, in occasione di una visita della sua squadra a Papa Wojtyla, decise di far conoscere a tutti il suo pensiero su quello che per ogni vero cattolico è tema drammatico, l’aborto, facendo così scrivere sulle maglie dei suoi corridori la sigla "NO ALL' ABORTO".
Commendatore Fanini, partiamo da qui. Qual era la reazione della gente vedendo sfilare la maglietta della prima squadra antiabortista italiana?
Le persone erano curiose, ma felici; giornali e femministe invece ci fecero neri. Pochi giorni dopo la presentazione della maglia “No all’aborto” i miei ciclisti erano in piazza del Duomo a Milano, alla partenza della classica Milano–Vignola. Ad aspettarli c’era mezza piazza piena di femministe urlanti, con cucchiai, prezzemolo e non so neanch’io quanto spry rosso: finirono per aggredire gli atleti, imbrattando completamente le loro le maglie e le scritte contrarie all’aborto incise sulle nostre ammiraglie. Intervenne poi l’Unione Ciclisti che vietò formalmente la scritta per paura che altri gruppi di femministe, visto il ritardo con cui era partita quella gara, ripetessero le loro prodezze.
Ma non vi siete persi d’animo, mi sembra.
Per niente, tanto che insieme all’Avv. Sergio Carpinelli, per anni Presidente Nazionale dell’Ordine Forense, e a Roberto Formigoni, da allora Presidente onorario della squadra, nel 1990 cambiammo il nome in “AMORE & VITA”: un messaggio universale tale da avvicinare tutte le persone, di qualsiasi cultura e credo. E forse non è un caso che la nostra è la squadra in attività più longeva della storia del ciclismo mondiale.
Veniamo al doping e alla stretta attualità. Nel salotto di Oprah Winfrey, regina dei talk show della CBS, Lance Armstrong ha confessato di essersi dopato. Lei lo ha da sempre sollecitato a farlo, ora come si sente?
Sì, sono anni che lo invito pubblicamente a confessare, a ripulire la sua coscienza. Gli ho sempre chiesto di dedicarsi al mondo del ciclismo e di contribuire a cambiarlo in profondità. Ogni volta però il ciclista americano finiva per irritarsi per le mie dichiarazioni, che non erano altro che dei consigli paterni, perché ai corridori io voglio bene, e tanto. Ora finalmente ha confessato, e ne sono molto felice. Ma se lo ha fatto, e se ora può davvero tornare a vivere - perché “la Verità vi farà liberi” dice la Scrittura - lo deve ai miei amici del Nas di Firenze.
In che senso? Ci faccia capire.
La storia mi obbliga a fare un passo indietro. Ho sempre fatto la lotta a questo mostro che è il doping, ma dopo che il mio Direttore sportivo, sfondando la porta d’albergo, trovò un ciclista della mia squadra in fin di vita e in un lago di sangue (se fossimo andati da lui la mattina seguente, neanche a dirlo, lo avremmo trovato morto), capii che dovevo fare qualcosa di più per questi ragazzi e per questo sport.
E organizzò la più grossa operazione antidoping della storia ciclistica, giusto? Ce la racconti.
Nel 1996 il Giro d’Italia partiva dalla Grecia per celebrare il centenario dei Giochi olimpici dell'era moderna. Dopo le prime tre tappe il Giro si sarebbe trasferito in Italia, e per farlo ci si sarebbe dovuti imbarcare su una nave capace di portare tutti al porto di Brindisi: ciclisti, personale vario, dirigenti, ammiraglie comprese. Mentre il Direttore Sportivo di Amore & Vita, la mia squadra, mi raccontava sconsolato dei soliti tristi e loschi giri di doping che vedeva, dissi tra me: bene, ora ci penso io. Parlai con i Nas, il Nucleo Antisofisticazioni e Sanità dell'Arma dei Carabinieri di Firenze, e questi disposero di bloccare la nave non appena avesse attraccato a Brindisi, in modo che i 200 carabinieri avessero la possibilità di accertare tutto e di fare ogni controllo del caso. Se qualcosa da trovare c’era (e ce n’era molto) doveva trovarsi tutto sulla nave, ovviamente. Lo facevo anche a mie spese, sapevo infatti di qualche mio corridore che non seguiva la nostra idee adeguandosi all’andazzo generale. Ma per combattere il doping questo ed altro.
Come finì?
I Carabinieri del Nas parlarono con il Coni, e lo fecero esclusivamente per organizzare al meglio l’operazione antidoping. Invece dal Coni partì una soffiata al Direttore del Giro d’Italia, che avvertì per tempo tutti i direttori sportivi i quali fecero sparire ogni prodotto sospetto.
Non ancora paghi, il caporedattore della Gazzetta dello Sport scrisse il giorno prima un breve e ben nascosto articolo, un trafiletto: doveva essere poco visibile, in cui veniva annunciato che il giorno dopo i Carabinieri avrebbero fatto irruzione sulla nave. Per cui chi non aveva saputo della retata dal Direttore del Giro lo seppe dal quotidiano più letto. Praticamente una sorta di “pizzino rosa” visto che proveniva dalla Gazzetta.
E i 200 Nas pronti a intervenire cosa fecero?
Non vollero passare da bischeri e non salirono sulla nave. Ma pare però di capire che se la legarono al dito, visto quanto iniziarono a fare da quel momento in poi. In effetti da quell’operazione del ‘96, sia pur saltata, i Nas e la Guardia di Finanza entrarono di petto nel mondo del ciclismo. Prima di quell’episodio della presenza di forze dell’ordine non c’era traccia, né al Giro, né al Tour. Da lì scoppiò il famoso “caso doping” che purtroppo non ha mai più abbandonato le cronache ciclistiche, e da lì iniziò quella rivoluzione che oggi, con l’ammissione di Armstrong, tocca una momento importante.
Senza la loro autorevole azione il mondo del ciclismo avrebbe continuato a vita con la prassi del doping, senza nessun controllo, e senza curarsi di tutti i ciclisti morti – tantissimi giovani! - di cui si continua, vuoi per l’immagine della persona, vuoi per le assicurazioni che non coprirebbero, a parlare di infarti o altre cause più o meno improbabili. Coprendo tutto.
Ma con Armstrong cosa c’entrano i Nas fiorentini?
C’entrano, perché l’Agenzia Antidoping americana, l’USADA, avendo visto che in Italia si era svolto un serissimo lavoro di indagine - e non parlo solo dei Nas di Firenze, ma anche quelli di Brescia e della Guardia di Finanza di Padova - si sono fatti passare tutto, intercettazioni comprese. Tramite queste, poi, hanno indotto tanti corridori intercettati a parlare e a confermare ciò che sapevano e vedevano, cioè il costante uso di doping da parte di Lance Armstrong. Per cui la sua confessione è obbligata.
Ecco perché posso dire con assoluta libertà che se Armstrong ha confessato è a causa dei miei amici fiorentini del NAS, a cui da tanti anni ho dato informazioni “da dentro” e di cui sono stato il referente.
Fanini, quanto ha dovuto pagare per questa sua battaglia contro il doping condotta quasi in solitaria?
Ho pagato carissimo, con umiliazioni indicibili e un ostracismo sfacciato. Pensi che la mia squadra correva il Giro d’Italia, per ben 16 edizioni consecutive. Per sbarazzarci di noi hanno poi cambiato le regole e il Giro è diventato a invito. Per cui per gli organizzatori escluderci dalle gare era diventato un gioco da ragazzi, per di più formalmente ineccepibile: bastava non invitarci più. Al giro del ’98, poi, Pantani dichiarò: “Dove correrà Amore & Vita io non parteciperò alle corse”. Figuriamoci, ero diventato un appestato.
Perché? Cosa successe con Pantani?
Ci fu uno scambio di provette che salvò Pantani in rosa a danno del gregario Riccardo Forconi, che quell’anno correva nella sua squadra ma che aveva sempre corso con la mia Amore & Vita. Fecero passare Forconi per colpevole e lo esclusero dal Giro, me lo confessò in lacrime lui stesso il giorno dopo, venendo a sfogarsi nel mio ufficio alla presenza dell'allora nostro d.s. Salvestrini e di altre persone. A seguito della mia denuncia del fatto, la squadra di Pantani sistemò il gregario Forconi con un “risarcimento danni” talmente sostanzioso da trasformare un suo vecchio casolare in una villa con parchi e uliveti. Fui però contento delle minacce che in quei giorni mi piovvero addosso da parte di tutti coloro che ora fanno i moralisti: ho sempre pensato che le indagini, se servono a fare pulizia, sono le benvenute. A coloro che mi hanno sempre minacciato rispondevo: fareste correre i vostri figli nel ciclismo di questi ultimi 20 anni sapendo che negli ultimi 10 sono già morti oltre 100 ragazzi tra i 20 ai 35 anni? Se invece di gettarmi fango mi avessero ascoltato, forse Marco Pantani non avrebbe fatto quella fine...