Famiglia e scuola, c'è già il primo tradimento
Passa il decreto al Senato sulla Buona scuola con l'emendamento che introduce l'educazione di genere nelle scuole di ogni ordine e grado. Vota a favore anche Area Popolare (unica eccezione Giovanardi) in cambio di promesse (non mantenute) del ministro Giannini sull'impegno a non fare entrare la teoria del gender nella scuola. «Una pagliacciata»
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Non è passata neanche una settimana dalla grandiosa manifestazione del 20 giugno e il primo tradimento è già stato consumato. Ieri sera il Senato ha votato la fiducia al governo sul decreto della “Buona scuola” in cui era stato inserito un emendamento che apre all’introduzione dell’ideologia di genere nell’insegnamento curricolare di ogni ordine e grado. E a votare a favore sono stati anche gran parte di quei senatori che sabato scorso erano in Piazza San Giovanni e che, facendo parte della maggioranza di governo, dopo un lungo tira e molla hanno votato sì. Unica eccezione Carlo Giovanardi, che è uscito dall’aula. Ora il decreto arriva alla Camera il 7 luglio per l’approvazione definitiva.
A giustificare l’atteggiamento dei senatori di Area Popolare (NCD + UDC) sono delle presunte garanzie offerte dal governo per l’esclusione dei programmi sull’identità di genere, ma è evidente – come sottolinea un duro commento del Comitato Famiglia Educazione Libertà – che si tratta di una «pagliacciata». Più possibilista è il Comitato Difendiamo i nostri figli, organizzatore della manifestazione di sabato scorso, che auspica un intervento chiarificatore del governo prima del voto alla Camera; ma al suo interno c’è anche chi la vede in modo diverso, visto che la Manif pour Tous parla invece di «buco nero» creatosi nel patto tra scuola e famiglia.
Ma cerchiamo di spiegare con ordine cosa è successo, perché la differenza di posizioni si spiega anche con un pasticcio di cui si è reso responsabile il governo. La questione riguarda non già i famigerati tre disegni di legge chiaramente indirizzati a promuovere il gender sia nella scuola (Fedeli), sia con la legittimazione delle unioni civili (Cirinnà), sia con l’introduzione del reato di omofobia (Scalfarotto); bensì la riforma della scuola, sui cui contenuti generali ci siamo già soffermati più volte (clicca qui e qui). Ebbene, all’inizio di maggio nel progetto di riforma i parlamentari PD hanno inserito un emendamento, l’articolo 16 – proposto dall’on. Giovanna Martelli, consulente del Presidente del Consiglio in materia di pari opportunità –, che oggi recita così:
«Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all'articolo 5-bis comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013».
Dove sta il problema? Essenzialmente nel riferimento al decreto 93/2013 e alla legge 119/2013, finalizzate a prevenire e contrastare le violenze di genere (la famosa legge sul femminicidio), perché all’articolo 5 si fa riferimento a un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” da predisporre successivamente e valido per il periodo 2014-2020. Questo Piano, poi effettivamente adottato, prevede tra le altre cose la promozione «nell’ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado» della formazione degli studenti per «prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso la valorizzazione di questi temi nei libri di testo».
Per capire meglio la gravità dell’art 16 dell’emendamento votato ieri con la riforma della Buona scuola, sarà anche utile riferirsi al comunicato diffuso dal senatore Lucio Malan (Forza Italia), che – riprendendo il suo bell’intervento svolto in Aula - ha spiegato la pericolosità dell’espressione «prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». «Confrontando queste parole – ha detto Malan - con la Strategia Nazionale LGBT 2013/15 del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, c'è da rabbrividire. La Strategia prevede esplicitamente, proprio in nome della "rimozione di ogni forma di discriminazione", "l'integrazione e aggiornamento sulle tematiche LGBT" nei programmi scolastici, la "valorizzazione" dell'expertise delle associazioni LGBT, l'accreditamento delle associazioni LGBT presso il MIUR in qualità di enti di formazione e altro ancora.
Intanto, l'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), operante presso il Dipartimento Pari Opportunità, ha istituito un gruppo nazionale di lavoro con 29 associazioni LGBT (evidentemente quelle che si vogliono accreditare) tra le quali spicca il Circolo Culturale Omosessuale intitolato a Mario Mieli - intellettuale suicidatosi trentunenne nel'83, sostenitore di varie pratiche sessuali estreme - di cui ho letto in Aula alcune frasi, tra le quali questa: "Noi sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro"».
In ogni caso a fronte di questo subdolo inserimento dell’educazione di genere nella riforma della scuola i senatori di Area Popolare – formazione che fa parte della maggioranza di governo - hanno protestato minacciando un voto contrario e ieri mattina sono stati ricevuti dai ministri dell’Istruzione, Giannini, e delle Riforme, Boschi. La richiesta iniziale dei senatori era la cancellazione dall’articolo 16 del riferimento alla legge 119/2013, che se non altro avrebbe attenuato di molto la pericolosità dell’emendamento. Parandosi dietro l’impossibilità di intervenire su un testo su cui doveva essere votata la fiducia, i ministri Giannini e Boschi proponevano un compromesso in due punti: la Giannini avrebbe fatto una dichiarazione di impegno del governo nell’impedire l’insegnamento del gender nelle scuole, e il governo avrebbe varato un decreto per rendere obbligatorio il consenso informato dei genitori per ogni tipo di attività extracurricolare.
Chiunque abbia minima consapevolezza di quanto sta accadendo nelle scuole italiane sa che, anche se l’impegno fosse sincero, sarebbe praticamente impossibile realizzarlo vista la fortissima spinta ideologica dei movimenti LGBT.
Eppure i senatori di Area Popolare hanno accettato: due promesse aleatorie in cambio di un voto certo. Un compromesso già inaccettabile, permesso soltanto dalla precedenza data dai senatori AP alla volontà di non mettere in difficoltà il governo. Ma non basta: nel corso della giornata il compromesso non è mai stato confermato dai due ministri. Si attendeva una dichiarazione pubblica della Giannini, ma non è mai arrivata. Malgrado ciò soltanto il senatore Giovanardi ne ha tratto le conclusioni e si è allontanato dall’aula prima del voto. Gli altri invece si sono tutti accodati a difesa del governo. E tralasciamo gli assurdi tweet di soddisfazione del leader del Nuovo Centro Destra, Angiolino Alfano, per la fiducia conquistata.
Ora il progetto di riforma passa alla Camera e Area Popolare chiede che prima del voto finale sul ddl scuola venga emanata «la circolare per l’applicazione del diritto dei genitori a dare o negare il proprio consenso», e inoltre che venga avviato l’iter per una legge che ribadisca la responsabilità dei genitori nell’educazione dei figli.
Salvando la buona fede dei parlamentari, è evidente che non è per questi compromessi al ribasso che un milione di italiani hanno sopportato grossi sacrifici per essere sabato scorso in piazza San Giovanni a Roma.
Il tentativo di salvare sempre capra e cavoli (la propria faccia con gli elettori e un posto comodo in Parlamento e al governo) ormai non regge più. L’aggressione nei confronti della famiglia è tale che la scelta non è più rinviabile: salvare la famiglia o salvare il governo. Ieri è apparso chiaro che i più optano per la seconda. Ci sono solo pochi giorni per dimostrare il contrario e recuperare la faccia.
- Venezia: Il neo-sindaco caccia il gender dalle scuole, di A. Zambrano