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IL RAPPORTO

Fame nel mondo. Il Covid peggiora il problema, ma sono i governi a non risolverlo

L'edizione 2022 del rapporto SOFI sulla fame nel mondo, redatto da cinque agenzie Onu, delinea un quadro drammatico. Circa 2,3 miliardi di persone nel 2021 hanno sofferto in maniera moderata o grave di insicurezza alimentare, 350 milioni in più rispetto al periodo antecedente alla pandemia di COVID-19. A patire la fame sono state 828 milioni di persone. L'Onu mancherà quasi certamente i suoi obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia le Nazioni Unite non sono in grado di sostenere a tempo indeterminato dei governi nazionali che rifiutano di farsi carico del problema della fame o non ne sono capaci.

Economia 18_07_2022
Aiuti alimentari Usa in Etiopia

È stata presentata al pubblico il 5 luglio l’edizione 2022 del rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e dell’alimentazione nel mondo (SOFI, The State of Food Security and Nutrition in the World), redatta a cura di cinque agenzie delle Nazioni Unite: Fao, Unicef, Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo), Pam (Programma alimentare mondiale) e Oms. Il rapporto contiene dati aggiornati al 2021 sul numero di persone che patiscono fame e carenze nutrizionali: in totale e divise per aree geografiche, sesso, età. Riporta inoltre le più recenti stime sul costo di una dieta sana e sulla sua accessibilità e indicazioni sui modi in cui i governi possono rivedere e riallocare  il loro attuale sostegno all’agricoltura al fine di ridurre il costo delle diete sane, nella consapevolezza dei limiti delle risorse pubbliche disponibili in molte parti del mondo. 

I numeri delineano un quadro drammatico. Circa 2,3 miliardi di persone nel 2021 hanno sofferto in maniera moderata o grave di insicurezza alimentare, 350 milioni in più rispetto al periodo antecedente alla pandemia di COVID-19. Quasi 924 milioni, pari all’11,7% della popolazione mondiale, ne hanno sofferto in forma grave, con un incremento di 207 milioni in due anni. Quasi 3,1 miliardi di persone inoltre (il dato si riferisce al 2020) non hanno potuto permettersi una dieta sana, equilibrata: 112 milioni in più del 2019.  

A patire la fame sono state 828 milioni di persone, 46 milioni in più del 2020; in termini relativi, il 9,8% degli abitanti del pianeta. Considerando che nel frattempo la popolazione è aumentata complessivamente di 80 milioni, si è registrato quindi un lieve miglioramento, in termini percentuali, che tuttavia rende assai remoto il traguardo di sconfiggere, del tutto e in tempi rapidi, la fame, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione: l’obiettivo  che le Nazioni Unite, assai irrealisticamente in verità, si sono poste. Hanno fallito con gli Obiettivi del Millennio, il progetto globale di lotta a tutti i problemi che affliggono l’umanità annunciato nel 2000 e terminato nel 2015, anno conclusosi con 670 milioni di persone affamate; e non ci riusciranno neanche con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, il programma successivo, avviato nel 2016 e in scadenza nel 2030. Tenuto conto dei dati rilevati e della situazione generale del pianeta – sotto il profilo politico, economico, sociale, ambientale – si ritengono infatti verosimili le proiezioni in base alle quali nel 2030 ancora quasi 670 milioni di persone – lo stesso numero che nel 2015 – continueranno a patire la fame: questo anche ammettendo che nel frattempo si assista a una ripresa economica globale.

Nel 2021 è anche aumentato, di un punto percentuale, il divario tra uomini e donne in fatto di accesso al cibo: risultano in stato di insicurezza alimentare moderata o grave il 31,9% delle donne e il 27,6% degli uomini. Ma i dati più preoccupanti riguardano l’infanzia. 45 milioni di bambini sotto i cinque anni nel 2021 sono risultati sottopeso rispetto all’altezza (per perdita di peso o per effetto di un rallentamento nella crescita) a causa di una alimentazione insufficiente. Questa condizione è la più pericolosa perché  aumenta anche di 12 volte il rischio di morte nei bambini. Inoltre si sono registrati ben 149 milioni di bambini sotto i cinque anni sotto peso o meno sviluppati rispetto all’età come conseguenza di una carenza cronica di elementi nutritivi essenziali. Infine due bambini su tre, benché non denutriti, presentano una dieta non abbastanza varia da garantirne il pieno sviluppo. Per contro nel mondo ci sono almeno 39 milioni di bambini sovrappeso, anche questa una minaccia per lo loro salute e per il loro futuro di adulti.

I dati per area geografica indicano che l’Asia è il continente con il maggior numero di persone denutrite, in valori assoluti: 425 milioni, oltre la metà del totale, 330 milioni delle quali concentrate nell’Asia del Sud. L’Africa però si conferma il continente in cui l’insicurezza alimentare è più diffusa. Oltre il 20% degli africani sono denutriti e la fame nel 2021 ne ha colpito 278 milioni.

Ognuna delle cinque agenzie Onu garantisce il proprio impegno nella lotta contro la fame: per aumentare la produttività agricola, la resa dei terreni, la cura nei confronti dell’infanzia, la disponibilità di generi alimentari a integrazione delle diete carenti, la diffusione di una alimentazione più sana per evitare che milioni di persone continuino ogni anno a morire. «Questo rapporto», si legge nella presentazione del testo, «evidenzia a più riprese il ruolo crescente di alcuni fattori nel determinare insicurezza alimentare e malnutrizione: conflitti, eventi atmosferici estremi, crisi economiche, tutti elementi che si combinano con gli effetti negativi di crescenti disuguaglianze. La questione non è se continueranno a verificarsi delle crisi, ma come sapremo rafforzare la nostra resilienza alle prossime crisi».

Per tanta capacità di resilienza sviluppino, tuttavia le Nazioni Unite non sono in grado di sostenere a tempo indeterminato dei governi nazionali che rifiutano di farsi carico del problema della fame o non ne sono capaci. Tanto meno possono sostituirsi ad essi, soprattutto quando si tratta di affrontare crisi alimentari che quegli stessi governi hanno generato. La fame nel 2022 è diventata carestia in alcuni Paesi dell’Africa Orientale: in Somalia e in Etiopia, a causa della siccità protratta, e, poco lontano, nel Sudan del Sud, in seguito a quattro stagioni delle piogge caratterizzate da precipitazioni atmosferiche troppo abbondanti. Ma prima di tutto si tratta di tre Paesi in guerra: l’Etiopia dal 2020, il Sudan del Sud dal 2013, la Somalia dal 1991.