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IL LIBRO

Fame d’aria, un romanzo sul dono della vita

L’amore genitoriale, nella quotidiana fatica di educare un figlio con disabilità. Le persone incontrate che, come un raggio di luce, sostengono il cammino dei protagonisti, con piccoli, semplici ma decisivi gesti di amore. Ecco il romanzo Fame d’aria, scritto da Daniele Mencarelli.

Cultura 04_02_2023

«Ha l’andatura da sonnambulo e le dita della mano sinistra che non smettono mai di passare e ripassare sulla coscia, al punto che a fine giornata gli diventa del colore dei pantaloni». È Jacopo, un diciottenne con sindrome dello spettro autistico a basso funzionamento, protagonista insieme al papà Pietro Borzacchi di Fame d’aria (Mondadori 2023, pp. 180), la nuova storia raccontata dallo scrittore romano Daniele Mencarelli, reduce dal grande successo della serie televisiva Tutto chiede salvezza, tratta dall’omonimo romanzo.

A far da sfondo alla vicenda c’è Sant’Anna del Sannio, un paesino molisano dove il tempo sembra essersi fermato. Pietro lavora come grafico con partita Iva ed è in viaggio insieme al figlio con disabilità verso Marina di Ginosa dove l’attende sua moglie per festeggiare il loro anniversario di matrimonio, ma la vecchia Golf ha un problema alla frizione per cui si ferma in mezzo al nulla.

Jacopo non parla, emette «un suono, uno solo, valido per tutto, una richiesta informe», la cui interpretazione lascia sempre il beneficio del dubbio; è ossessionato dal particolare sin da bambino, in specie dal moto circolare della ruota del suo triciclo, ma ride divertito dinanzi ai capitomboli di Sid de L’era glaciale. Pietro, che deve cambiargli i pannoloni anche in circostanze difficili perché il figlio non riesce purtroppo a controllare e gestire i propri bisogni fisiologici, manifesta sentimenti di sconforto e scoraggiamento. Quando la croce sulle sue spalle si fa più pesante, se la prende con la vita e inveisce contro la neuropsichiatria pubblica fortemente carente che lo costringe a spendere la metà del suo stipendio per rivolgersi a professionisti privati e star dietro a terapie che comunque non sortiscono i benefici attesi.

Tuttavia, proprio nella fatica della quotidianità, Pietro incontra lungo il cammino persone che, quali raggi di luce, sono in grado di squarciare il buio del suo cuore. Tra queste Oliviero che, pur essendo in pensione, si adopera per riparare l’auto; Agata, titolare di una vecchia pensione che accoglie padre e figlio premurandosi di cucinare le patatine fritte per sorprendere Jacopo; e Gaia, la quale rammenta a Pietro: «Anche un figlio che ha dei problemi rimane un dono, troverai cose belle che solo lui sa darti, sono sicura che ce ne sono!». Proprio quest’ultima realizza la vocazione iscritta nel suo nome ridestando in un padre affranto la bellezza e la gioia di vivere.

Il chiodo fisso nella mente di Pietro e sua moglie Bianca, al quale egli si sforza invano di non pensare, rimane «a chi lo avremmo lasciato o chi lo avrebbe difeso quando non ci saremmo stati più. Arrabbiato con Dio, avrebbe voluto trovarsi faccia a faccia col Padre per chiedergli qual sia la spiegazione per la malattia del figlio non avendone trovata una». Poi però, al di là delle fantasie mentali, si sorprende nello scorgere sul corpo di Jacopo la sua stessa voglia di caffè, un segno che «Jacopo era suo. Era sangue del suo sangue. Era la vita a questo mondo oltre la sua morte».

 Nonostante la fatica di supportare costantemente il figlio nella routine delle comuni attività di tutti i giorni con grande attenzione e pazienza - dal lavarsi, vestirsi e mangiare alle crisi dinanzi ai rumori troppo forti - Pietro ritrova nella carità ordinaria di persone comuni la forza per reagire e la sua “fame d’aria” si rivela in fondo come la sete che accomuna ogni uomo, ossia quella sete inestinguibile di amare e di essere amati che dà senso a tutto il resto e rende lieve anche il giogo più grave.