Falce e anello. La sinistra riscopre le nozze (quelle gay)
Milano, Bologna, Roma, Napoli. In tutte le città governate dal Pd fioccanno i registri per i matrimoni gay celebrati all'estero. Per i sindaci di sinistra questa è la nuova frontiera: i diritti non sono più quelli al lavoro, alla casa e al welfare, ma alle nozze omosex e alla fecondazione artificiale.
Un matrimonio e un funerale. Il primo è quello omosessuale che le lobby gay e Lgbt stanno imponendo a tutti i sindaci piddini d’Italia. Il secondo, appunto, è quella della sinistra, cui gran parte di questi borgomastri deve l’elezione, quella che si batteva per le classe più umili e ora si accontenta di celebrare le nozze con i fichi secchi, delle unioni sterili e senza figli. I compagni dopo aver perso tute blu e proletariato (quel che resta della classe operaia oggi vota Lega), oggi rinnegano neppure la prole, frutto naturale e ricchezza sociale dell’unione uomo-donna. E non c’è bisogno di svegliare Marx o il suo interprete caraibico, quell’Ernesto Che Guevara, tanto amato dagli odierni antagonisti della differenza sessuale, che i maricones dell’Avana li chiudeva tutti nei lager.
Bandiera arcobaleno la trionferà, falce e anello (quello delle nozze unisex) con l’orecchino nel pugno (al posto della mitica rosa) come insegna il Vendola way of life. Se il Sessantotto aveva liberato i gauchiste dal giogo delle coppia unica e per sempre, la sinistra post- comunista torna all’antico, all’intangibilità del matrimonio, purché sia gay, lesbo e transessuale. Pannella non ha più ragione di fare casino in Tv, raccogliere firme, organizzare referendum né immolare corpi e anime a devastanti digiuni o gandhiani satihagraha: oggi il suo Pr ha numeri omeopatici e neppure l’ombra di un deputato in Parlamento. Ma che importa? Quello che Marco voleva, fin dalla battaglia sul divorzio, adesso l’ha ottenuto e pure con gli interessi: oggi c’è un solo e grande partito radicale di massa e porta le insegne del Pd.
Fa uno strano effetto (o senso) sentire l’arancione Giuliano Pisapia, un tempo Perry Mason d’ufficio dei centri sociali e oggi primo cittadino della civilissima Milano, tuonare indignato contro il governatore lombardo Roberto Maroni. Che, guarda un po’, si rifiuta di finanziare la fecondazione eterologa a tutti i cittadini e preferisce impiegare quei soldi per aiutare anziani, disabili a altri poveri cristi ad arrivare alla fine del mese. Con il suo look da rispettabile senatore repubblicano (camicia bianca e pantaloni blu), Pisapia è diventato borgomastro grazie ai voti dei salotti rosso chic, da tempo è sceso dalle barricate per cause più griffate e meno scomode. Oggi preferisce fare scudo alle sciorette dell’upper class meneghina e le coppie che non hanno (o non hanno voluto) figli e ne vorrebbero adesso scegliere qualcuno dal catalogo del professor Antinori o del club ristretto dei dottori Frankenstein. «Una decisione oscurantista e ideologica quella della Lombardia che certo non posso condividere: da parte nostra faremo quanto è possibile, nei limiti delle nostre competenze, per aiutare chi sarà costretto a scegliere questa strada». Beh, la classe non è acqua e Pisapia non sa nemmeno nuotare. Ma per le coppie da fecondare la giunta arancione è pronta a “fare il possibile”, magari anche una colletta e una raccolta firme popolare. Lo slogan c’è già: “Fuori gli ovuli, dentro i Maroni”.
In tempi di crisi, anche alle pulci viene la tosse. Così a Virginio Merola, sindaco di Bologna, è toccato fare subito qualcosa di sinistra: avvolto dalla bandiera arcobaleno ha addirittura dichiarato guerra al governo e al suo rappresentante in città, il prefetto Ennio Mario Sodano. Il sindaco si è messo in testa di iscrivere nel registro comunale le coppie gay sposatesi all’estero, resistendo al prefetto deciso a impedire l’illegale iniziativa. «Non mi piego e vado avanti», ha risposto il Merola, cresta in alto e petto in fuori. Una volta i sindaci rossi picchettavano le fabbriche, sfidavano la polizia allo scontro per poi chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno. Le cose oggi sono più facili e al sindaco di Bologna basta agitare un certificato per sentirsi come un Robin Hood alla rovescia e in versione gay: togliere ai poveri per dare ai ricchi(oni). Senza neppure chiedere la testa dello sceriffo di Nottingham, alias Alfano: un amico, in fondo.
Nell’album dei Comuny “gay friendly” e iscritti all’Internazionale delle unioni omo, non poteva certo mancare il sindaco di Roma, il cattolicissimo Ignazio Marino. Perché? Ma che domanda, perché «chi è contrario appartiene al secolo scorso. La registrazione è invece una normale procedura di civiltà». Beh, qui più che alla lotta di gender siamo allo “scontro di civiltà”. Altro che articolo 18, tagli al Welfare e scure sulle pensioni: bazzeccole vetrosindacali, in gioco c’è ben altro. Come a Napoli dove il pulcinella Luigi De Magistris fa il sindaco nel tempo libero per occuparsi innanzitutto di Gay Pride alla mediterranea e celebrazioni di matrimoni lesbo-gay. Il minimo per uno che si fa fotografare con tanto di orecchini, per “testimoniare la vicinanza del Comune alle lotte degli omossessuali”, che Giggino preferisce chiamare “diversamente uguali”. Del resto, pure lui è un “diversamente sindaco.
Compagni che sbagliano, questi sindaci passati troppo velocemente dal rosso al verde, dal fucsia all’arcobaleno dei nuovi diritti, contro l’oscurantismo cattolico e il ritorno ai secoli bui. Ma forse, neppure più compagni. Lo scrive un insospettabile sinistro come Dino Manetta, vignettista e rubrichista sulla scomparsa Unità.Nell’ultimo numero del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e affondato da tutti gli altri direttori, ha voluto togliersi un macigno che da tempo portava nelle scarpe con un articolo che suona come un solenne de profundis all’intera sinistra italiana, quella “ geneticamente modificata” dal mainstream gender e Lgbt. «In questa sinistra», scrive il compagno Manetta, «non mi ci riconosco più… Silenziosamente sono scomparse dalle sezioni le mani callose, le tute sporche, ed hanno preso definitivamente il sopravvento gli ‘acculturati’, cioè quelli con la Repubblica sotto il braccio e la convinzione di rappresentare il buono e il giusto per il popolo, che è sì composto di brava gente, ma un po’ rozzo ed a volte, anzi quasi sempre, va guidato con superiore saggezza. E allora, vai con le cazzate dei matrimoni gay che, chissà quale capitolo decisivo del Manifesto di Marx ed Engels mi sono perso, sono di sinistra!… No, questi per me sono concetti marziani, più che Marxiani, e trovo incredibile il silenzio di tanti, sono convinto la maggioranza, militanti che accettano tutto per soggezione culturale nei confronti del Verbo che viene dall’alto delle colonne repubblicanti, in nome di una cultura dei diritti che, come un virus micidiale, ci è venuta dall’America che nulla ci azzecca con la natura popolare di una base di sinistra operaia.»