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INFORMAZIONE E LIBERTA'

Fake news tra censura e tribunale del popolo

Il problema delle fake news esisteva prima di Facebook. Intervenire dall’esterno è una mossa dittatoriale che sa di censura. Ma anche Grillo sbaglia: non è un problema di giornalismo, ma di educazione e fiducia: la giuria popolare sarebbe fatta di persone senza una solida formazione. Così non ci sarà freno alle fake news.

Cronaca 06_01_2017
Beppe Grillo

Con questo intervento di Orlando Falena prosegue il dibattitto della Nuova BQ su fake news, controllo dell'informazione e libertà di espressione sollevato dalle recenti prese di posizione del presidente dell'Antitrust e dal leader dei Cinque Stelle Beppe Grillo. Dopo l'articolo di Ruben Razzante e Robi Ronza e i partecipati commenti dei lettori sui nostri social ecco un contributo visto da un'altra angolatura su un tema che resta spinoso, ma decisivo per chi ha a cuore i beni di libertà e verità. 

Ci si è accorti che su internet vi è un prolificare di false informazioni. O almeno se ne è accorto il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, che al Financial Times ha affermato che “contro la diffusione delle false notizie serve una rete di organismi nazionali indipendenti coordinata da Bruxelles e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico”.

Noi arriviamo in ritardo rispetto a quanto successo in America con Donald Trump, dove un proliferare di fake news avrebbe spostato voti favorendo il candidato repubblicano durante la campagna elettorale. Da noi c’è bisogno che un Beppe Grillo qualunque faccia qualche uscita sul fact-checking e sulla democratizzazione del giornalismo e si alza un polverone (anche qui siamo in campagna elettorale, ricordiamocelo) che andrà diradandosi nel tempo, senza lasciare nulla di fatto e ancora tutto da tentare.

Seguiamo però le due linee di pensiero che vanno delineandosi come le più discusse per sgominare il fenomeno delle fake news. Da una parte c’è chi vorrebbe la strutturazione di una corporation esterna che possa controllare e, in certi casi, censurare le bufale. Mark Zuckerberg - patron di Facebook - a Roma aveva già dichiarato che il social network - essendo una “tech” e non una “media company” - sarebbe intervenuto nel contenere false informazioni non tramite uno strumento di “censura”, ma attraverso il proprio algoritmo. Il criterio di selezione sarebbe, quindi, meccanizzato, non discusso da schieramenti (pur imparziali che siano).

Se un privato come Facebook decide di impiegare risorse in questa operazione - che gli pertiene, sì, per rendere la propria piattaforma più fruibile, non certo per ragioni moralistiche - tanto di cappello. Se il sistema di filtraggio ha delle pecche, l’utilizzatore potrà decidere se continuare a fruire da lì le informazioni o cercarne altrove. Ma che dall’esterno lo Stato (o qualsivoglia altro ente) si ponga come vagliante delle informazioni da fornire è una limitazione alla libertà di espressione. Anche perché il terreno della censura qui è pare abbastanza vicino.

Per la seconda posizione, riprendiamo la citazione di Beppe Grillo: “Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali”. Questa posizione è forse più assurda della prima, soprattutto se viene dalla mano di chi fa del click baiting (ovvero indurre con titoli ingannevoli a visitare un articolo o un contenuto) una delle sue frecce più appuntite. Siamo davanti a una vera e propria contraddizione (per non citare poi i contenuti che mediante la Casaleggio e Associati girano su siti come Tze-Tze ecc.).

Secondo uno studio del famoso linguista ed ex-ministro Tullio de Mauro circa un terzo dell’attuale popolazione italiana è analfabeta funzionale: riesce a fatica a leggere un testo, ed alla prova della comprensione non pare averne estratto il significato. Insomma, sa leggere e scrivere, ma non “capisce” ciò che legge e scrive. Secondo questi dati, la “giuria popolare” composta da Beppe Grillo si formerebbe per un terzo da persone che non capiscono ciò di cui hanno letto (e per intero composta da persone che non hanno competenze in ambito giornalistico, ma questa è un’altra storia). Senza una solida formazione culturale - che deve evidentemente passare attraverso il sistema di Istruzione del nostro paese, in qualunque tipologia di scuola e in qualunque "schieramento" essa sia - non ci sarà freno alle fake news, perché nessuno saprà valutare in maniera corretta e completa la notizia che leggerà.

Il problema delle fake news è sempre esistito. È esistito prima di Facebook, prima di Beppe Grillo e prima di tutti noi. Chi ha studiato filologia o storia sa bene cosa significa imbattersi in notizie non confermate o in testimonianze fasulle. Per uscire da questo circolo vizioso c’è bisogno di un passo di fiducia verso alcuni luoghi cui il fact checking è affidabile (sempre perfettibile, ma affidabile). La fiducia, d’altronde, è alla base di ogni comportamento umano: mi fido del fatto che il meccanico sappia ripararmi una macchina, o che il pilota che guida l’aeroplano ne sia in grado. Mi fido del fatto che un giornalista sappia fornire notizie autorevoli e verificate: qualora questa certezza venga meno, trovo altri giornalisti. Così come, se il meccanico non mi sistema la macchina “a puntino”, ne trovo uno che possa svolgere meglio il suo mestiere. Mi fido anche del mio insegnante che - presumibilmente - nell’insegnarmi qualcosa non ha intenzione di ingannarmi, ma il vero desiderio di condividere un sapere. Forse, prima ancora dell’educazione bisogna lavorare sull’educazione dei docenti.