Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Felice di Como a cura di Ermes Dovico
IN MEMORIAM

Faith Whittlesey, ricordo di un'ambasciatrice della fede

Faith Whittlesey, morta lo scorso 21 maggio all'età di 79 anni, ai tempi di Reagan era la figura di raccordo fra la Casa Bianca e il mondo del cristianesimo americano. Sua l'iniziativa, nel 1985, di far vedere ai membri del Congresso il documentario L'urlo silenzioso, per mostrare cosa fosse l'aborto.

Cultura 18_06_2018
Faith Whittlesey con il presidente Reagan

In un saggio dedicato agli sforzi della Casa Bianca per catturare l’attenzione politica dei cattolici, White House Outreach to Catholics, pubblicato nella raccolta Catholics and Politics: The Dynamic Tension Between Faith and Power (a cura di Kristin E. Heyer, Mark J. Rozell e Michael A. Genovese, Georgetown Univeristy Press, Washington 2008), Thomas J. Carty, docente di Studi americani allo Spingfield College, nel Massachusetts, e già autore di un studio dal titolo provocatorio e rivelatore, A Catholic in the White House? Religion, Politics, and John F. Kennedy’s Presidential Campaign (Palgrave Macmillan, New York 2004), definisce Ronald Reagan (1911-2004), protestante, come uno dei presidenti americani più legati al cattolicesimo. Per motivi politici, certo, ma non solo, visto che, se c’è stato un uomo convinto (con il pensatore cattolico spagnolo Juan Donoso Cortés [1809-1853]) che le questioni politiche siano al fondo questioni teologiche, quello era proprio Reagan.

La grande mobilitazione nei confronti dei cattolici l’aveva iniziata Richard M. Nixon (1913-1994), ovvero l’uomo a cui si deve la trasformazione, durata tre lustri, della sconfitta subita dai conservatori nel 1964 con Barry M. Goldwater (1909-1998) nel trionfo ottenuto da Reagan nel 1980 attraverso due grandi mezzi: la conquista (difficile, difficilissima, ma irreversibile) dei bastioni Democratici del Sud al Partito Repubblicano e il primo smottamento nella medesima direzione appunto dei cattolici. Una volta alla guida del Paese più potente del mondo, però, è stato proprio Reagan a continuare intelligentemente quel percorso. Uno dei modi che Reagan escogitò per farlo fu creare strutture di coordinamento permanente fra Casa Bianca e mondo conservatore, e a lato e dentro questo, luoghi di raccordo fra protestanti e cattolici. Per farlo ci volevano le persone giuste, e una di queste è stata una protestante, Faith Whittlesey, scomparsa il 21 maggio a 79 anni.

Faith Amy Ryan era nata il 21 febbraio 1939 nel New Jersey, è cresciuta nello Stato di New York, dove si è laureata in Storia, e poi ha proseguito in Pennsylvania, dove si è addottorata in Giurisprudenza e ha cominciato l’attività politica. Fino al fatidico 1964 era una Democratica (come era stato lo stesso Reagan), poi si è trasformata in una Repubblicana senza pentimenti. Nel 1967 ha sposato Roger Whittlesey, da cui ha avuto tre figli, ma la sua vita personale e famigliare è stata una tragedia. Il marito si è suicidato nel 1974 e così anche il loro primogenito, Henry, nel 2012, a 47 anni, entrambi divorati dalla depressione. Nel 1994 lei ha perso l’occhio destro a causa di un cancro e parte di un polmone nel 2001 per un secondo tumore. Il terzo, al fegato, è quello che l’ha portata via qualche settimana fa.

Né amici né avversari hanno dubbi: è stata una combattente, una grandissima combattente. Reagan la nominò dapprima ambasciatrice in Svizzera, dal 1981 al 1983, e poi la volle nel proprio staff come Assistente per le relazioni pubbliche. Ed è quindi stata lei, in questa veste, a tenere a battesimo i primi incontri fra leader protestanti e cattolici, e fra questi e altri gruppi di ispirazione religiosa e di orientamento conservatore, affinché la famosa “Reagan Coalition” che ha cambiato il corso della storia potesse incidere sempre più nel vissuto. Scopo dichiarato della Whittlesey era proprio quello di far entrare quanto più possibile il mondo religioso dentro la Casa Bianca, schierando quest’ultima apertamente a favore dei princìpi non negoziabili. Si batté per la riduzione delle tasse e per gli sgravi a favore delle famiglie, per esempio, quindi contro il femminismo e la distruzione della famiglia, e ancora strenuamente contro l’aborto. Quando serviva, forzava pure la mano alla Casa Bianca.

Conservatori e leader religiosi l’hanno adorata per il suo coraggio e la sua risolutezza. Lei, la protestante, prediligeva in particolare i cattolici, tanto che tutti la ritenevano cattolica anche se non lo era. Cattolico, di ascendenza irlandese, era suo padre, motivo per cui tutti hanno sempre creduto che tale fosse anche lei. Invece, a causa della madre, protestante, ostile al cattolicesimo del marito, Faith fu cresciuta metodista come suo fratello Tom. Solo che non si vedeva la differenza. Robert R. Reilly, uno degli altri grandi protagonisti cattolici di quel momento storico, suo amico e stretto collaboratore (un “supercattolico”, come lo chiamano celiando gli amici), ricorda che Faith fu per questo nominata “cattolica onoraria”. Lei comunque ci ha messo del proprio, convertendosi finalmente nell’anno giubilare 2000.

Un episodio l’ha resa famosa quando ancora era protestante. Correva il 1985. Per la festa nazionale del Lincoln Birthday, il 12 febbraio, Faith pensò fosse bene che la Casa Bianca inviasse a tutti i membri del Congresso una copia del famoso e angosciante documentario, L’urlo silenzioso. Lo aveva realizzato l’anno prima Bernard Nathanson (1926-2011), uno dei più carogneschi medici abortisti della storia che aveva cambiato vita dopo avere visto l’ecografia di un bimbo nel ventre della propria mamma e che poi, nel 1996, si è convertito al cattolicesimo. Nel documentario veniva mostrato un aborto in diretta, e per questo Faith voleva che tutti i parlamentari vedessero. Ad aiutarla nell’operazione c’era proprio Reilly. Tecnicamente, era illegale che la Casa Bianca chiedesse una fornitura così massiccia, centinaia di copie, del film. Allora tutto era in videocassetta. La produzione mangiò subito la foglia e fece una donazione liberale in natura, ma per ottenere lo scopo, con soli pochi giorni di preavviso, fece fare gli straordinari ai suoi. Faith andò oltre: programmò una proiezione del documentario alla Casa Bianca in quella data speciale, con introduzione di Nathanson e discorso di Reagan. Ma s’infranse contro la burocrazia. Quando le dissero che la cosa era controversa, lei rispose «No, non lo è. È la politica del presidente». Nulla da fare. Sostituì lei il presidente. Nel frattempo preparò una lettera di Reagan che avrebbe dovuto accompagnare le videocassette ai membri del Congresso. La censura la bloccò perché mancava la ricevuta della donazione di quei VHS. Aggirò l’ostacolo grazie al deputato cattolico Repubblicano Henry J. Hyde (1924-2007), il cui nome è legato a importantissime leggi per la vita, che firmò la lettera di proprio pugno. La stampa non se ne accorse, il mondo nemmeno: e così tutti pensarono che fosse stata la Casa Bianca in persona a mandare al Congresso quel pugno nello stomaco contro l’aborto. A momenti pure la proiezione saltò per i soliti intralci dei pavidi, ma alla fine la spuntò Faith, che - ricorda Reilly - «[...] mi disse d’impilare a ogni lato del palco le videocassette formando due piramidi giganti. Le telecamere della stampa hanno bisogno di effetti visivi, mi disse». L’evento bucò il video e tutti i giornali ne parlarono. Per tutti, era stata “colpa” del presidente in persona. Era questo che Faith intendeva per “patriottismo”.

La Whittlesey ebbe fino a 38 persone alle proprie dipendenze per unire quanto più possibile il mondo “là fuori” attorno a un’idea di Paese nobile, pura e persino nuova. Anche i Democratici delusi, anche gli ebrei tradizionalmente di sinistra, insomma tutti. Spese parecchi sforzi sull’America Centrale, in particolare documentando l’orientamento comunista del governo sandinista del Nicaragua. Per questo creò un coordinamento ad hoc in cui coinvolse pure il sindacato AFL-CIO, di sinistra ma anticomunista. Lo “scandalo Iran-Contra”, qualunque cosa sia stato davvero, è successo dopo che lei se n’era andata nel 1985. Lavorò con il colonnello Oliver L. North, la “pecora nera” dello “scandalo”, ma ha preso le distanze da ogni eventuale suo torbido, e North l’ha sempre ricordata con affetto.

Dopo la Casa Bianca, è tornata ambasciatrice in Svizzera fino al 1988. Quindi ha lavorato in ambito giuridico, nel 2001 il presidente George W. Bush Jr. l’ha voluta nella delegazione statunitense alla conferenza dell’ONU sul traffico illecito di armi leggere e ha pure fatto parte della dirigenza della Christian Freedom International, che si occupa dei cristiani perseguitati nel mondo. Da subito, è stata una sostenitrice di Trump. «Era una piantagrane», la saluta Reilly, «per degli ottimi motivi»