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RIVOLUZIONE E CENSURA ONLINE

Facebook, boicottato, deve mettere il bavaglio a Trump

Si boicotta per timore di essere boicottati. È questa la catena di vero e proprio terrore che si sta scatenando negli Stati Uniti, all’inizio della campagna elettorale presidenziale e nel bel mezzo della bufera Black Lives Matter. Facebook, boicottata da Unilever e altre multinazionali, costretto a etichettare come bufalari i post di Trump

Esteri 29_06_2020
Mark Zuckerberg

Si boicotta per timore di essere boicottati. È questa la catena di vero e proprio terrore che si sta scatenando negli Stati Uniti, all’inizio della campagna elettorale presidenziale e nel bel mezzo della bufera Black Lives Matter, che, come Me Too negli anni scorsi sta obbligando finanza, politica e imprenditoria a rivedere tutto il proprio linguaggio. Vittima del boicottaggio e costretto a boicottare a propria volta, questa settimana è stato Mark Zuckerberg, che ha promesso di applicare regole più restrittive sul controllo dei messaggi, a scapito della libertà di espressione, dopo che Unilever e altre multinazionali hanno ritirato la propria pubblicità dal social network.

Secondo i comunicati ufficiali di Facebook, la decisione di cambiare politica sul controllo del linguaggio dei post sulla sua piattaforma non dipenderebbe affatto dal boicottaggio pubblicitario delle multinazionali. Però, per una strana coincidenza, il cambio di rotta è stato annunciato venerdì, il giorno stesso in cui era uscita, sul Wall Street Journal, la notizia che anche Unilever (dopo molte altre aziende di prestigio) aveva fermato le sue campagne pubblicitarie su Facebook in territorio statunitense. Il boicottaggio, dunque, riguarda i soli Stati Uniti, per motivi politici americani, non tutto il mondo in cui è diffuso il social network: “Data l’attuale polarizzazione politiche e le elezioni in arrivo negli Stati Uniti, occorre molto più impegno contro il linguaggio di odio”, ha dichiarato Luis Di Como, vicepresidente della comunicazione di Unilever. Non appena si è diffusa la notizia, le due vittime del boicottaggio, sia Facebook che Twitter hanno registrato gravi perdite in Borsa: venerdì, Facebook ha perso l’8% e Twitter il 7%.

Nel bel mezzo delle contestazioni di Black Lives Matter, ci sono agenzie stampa come Associated Press che cambiano il loro stile editoriale mettendo la B maiuscola alla parola Black quando si riferisce alle persone di colore, aziende di cosmetici come L’Oréal che bandiscono la parola “sbiancante” dal loro linguaggio e anche Unilever ha fatto la sua parte nella costruzione della neolingua: ha abolito il marchio “Fair & Lovely” per la sua crema sbiancante, perché la pelle bianca non è necessariamente più Fair o più Lovely di quella nera. In questo contesto, vuole assicurarsi che anche tutti gli utenti di Facebook usino un linguaggio appropriato, specie se i loro commenti appaiono vicino alle sue pubblicità.

Unilever non è la prima multinazionale che annuncia il boicottaggio del social network di Zuckerberg. Ci sono anche altre grandi aziende quali Verizon Communications, Patagonia, VF, North Face, Eddie Bauer e Recreational Equipmen. La Coca Cola è poi andata oltre, annunciando uno stop alla sua pubblicità su tutti i social network americani per almeno un mese: niente più spot della bibita più famosa del mondo su Facebook, Twitter, YouTube, Snap, perché “Non c’è spazio per il razzismo nel mondo e non c'è spazio per il razzismo sui social media”, come ha dichiarato James Quincey, presidente di Coca Cola.

Come mai tutte queste multinazionali agiscono assieme, proprio adesso? Perché c’è una campagna organizzata, partita da importanti organizzazioni per la difesa dei diritti umani, fra cui la Naacp (National Association for the Advancement of Colored People) una delle maggiori associazioni per la difesa dei diritti degli afro-americani e la Anti-Defamation League, la maggior associazione contro l’antisemitismo in America. Le associazioni per i diritti umani, sull’onda di Black Lives Matter hanno chiesto a tutte le aziende americane di fermare per un mese la loro pubblicità su Facebook per almeno un mese, per sensibilizzare Zuckerberg. Pur rischiando di perdere profitti e preziosi dati degli utenti, ma per paura di subire un boicottaggio devastante in un periodo caldissimo che ricorda la Rivoluzione Culturale, sono molte le multinazionali che hanno deciso di aderire al boicottaggio. 

Ma perché proprio Facebook? Anche se poi ci sono alter “vittime collaterali” (anche Twitter è stata coinvolta dal boicottaggio Unilever, alla fine), è il social network di Zuckerberg quello più preso di mira esplicitamente dal boicottaggio. Il gruppo di associazioni per di diritti umani ha sottoposto all’azienda californiana una lista di 10 riforme da effettuare per interrompere il boicottaggio, fra cui anche il rimborso delle aziende che fanno pubblicità di fianco a commenti sgraditi che ne possano rovinare l’immagine. Ma fra le riforme annunciate venerdì da Zuckerberg ce n’è una che permette di capire meglio il vero obiettivo di questa campagna: si potranno etichettare i commenti mandati online da Donald Trump.

Già Twitter lo sta facendo: su più di un messaggio del presidente appare l’avvertenza “notizia discutibile” e l’invito ai lettori di andare a cercare informazioni in merito. Di fatto, il presidente non viene direttamente censurato, ma, ancora peggio, viene bollato come diffusore di bufale. Finora Facebook aveva rifiutato di etichettare le dichiarazioni del presidente, dando la priorità alla libertà di espressione. Aveva dovuto fronteggiare critiche sia dei media, che del suo stesso personale che aveva scioperato il 1 giugno dopo che il social network non aveva censurato un post di Trump (quello in cui invocava l'intervento della Guardia Nazionale all’inizio delle proteste di Black Lives Matter).

Ora la pressione è stata talmente forte che anche Zuckerberg, nonostante la sua forza sul mercato ha dovuto allinearsi. Ora sotto i post di Trump, anche su Facebook, dovremmo leggere che il presidente spara notizie false o discutibili. E questo è solo l’inizio della campagna elettorale.