EXPO, uno spettacolo senza contenuti
Dopo una vigilia di festa (concerto in piazzo Duomo con Andrea Bocelli) e di tensione (soliti vandalismi dei gruppi antagonisti) si inaugura l'Expo di Milano dedicata a "Nutrire il Pianeta, energia per la vita". E la Carta di Milano, che dovrebbe incarnarne i valori, è un documento incapace di cogliere il sistema agricolo globale nella sua essenzialità.
Dopo una vigilia di festa (concerto in piazzo Duomo con Andrea Bocelli) e di tensione (soliti vandalismi dei gruppi antagonisti) si inaugura oggi ufficialmente l'Expo di Milano dedicata a "Nutrire il Pianeta, energia per la vita". Tema dell'alimentazione dunque in primo piano e nei giorni scorsi è stata presentata pubblicamente la "Carta di Milano", una iniziativa che in occasione dell'Expo vuole affermare «il diritto al cibo sano, sufficiente e nutriente quale diritto umano fondamentale» per tutti gli uomini e chiede a tutti coloro che la sottoscrivono di impegnarsi nel fare qualcosa per raggiungere l'obiettivo di eliminare la malnutrizione.
Sulla Carta di Milano e più in generale sui contenuti dell'Expo abbiamo chiesto il parere a un esperto di agraria e zootecnia.
Ho finalmente avuto modo di leggere la “Carta di Milano” (clicca qui), frutto dell'incontro tenutosi il 7 febbraio scorso all'hangar Bicocca e che aveva coinvolto ben 552 persone organizzate in 42 tavoli. Confesso di averla trovata confusa, zeppa di retorica ed incapace di cogliere il sistema agricolo globale nella sua essenzialità. Una Carta irta di “peccati di omissione” e scritta in gergo “politichese”, per cui ogni frase può voler dire tutto e il contrario di tutto. Proprio l’opposto della norma cristiana “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” che dovrebbe sempre ispirare il nostro argomentare.
Una Carta lontana anni luce dalle parole encomiastiche che gli ha dedicato il ministro Martina sulla Stampa del 28 aprile (clicca qui) ove ha scritto fra l’altro: «"I popoli, al pari degli individui, possono quello che sanno". Con questa ispirazione, a pochi giorni dall’apertura ufficiale di Expo, presentiamo oggi la «Carta di Milano» l’atto d’impegno che farà da guida ai sei mesi straordinari che abbiamo di fronte. Sentiamo forte la responsabilità di animare un dibattito profondo sui contenuti dirompenti che questa Esposizione ci propone. Perché «Nutrire il pianeta, energia per la vita» è un titolo importante e la sfida alimentare globale, con le sue contraddizioni e i suoi paradossi, è la madre di tutte le questioni geopolitiche cruciali del nostro tempo. E’ una sfida di equità e giustizia. Di sovranità».
Caro signor ministro, se come dice lei, «I popoli, al pari degli individui, possono quello che sanno», stando alla Carta di Milano viene spontaneo dedurre che nulla è per noi possibile. Ciò in quanto la Carta stessa manca di qualunque ancoraggio quantitativo o storico-evolutivo ai fenomeni di cui tratta.
Invito allora il lettore a confrontarsi con i dati che ho riassunto nella tabella 1 e che ritengo indispensabili per tentare di comprendere il sistema agricolo globale che abbiamo di fronte. Mi rendo conto che il confronto con tali dati possa risultare noioso ai più e tuttavia se non si prende atto degli aspetti quantitativi e storico-evolutivi della questione non è possibile offrire una risposta alla cruciale domanda, che rappresenta a tutti gli effetti il fondamento di Expo 2015: riuscirà il settore agricolo a soddisfare le esigenze alimentari e di beni di consumo globali di qui al 2050?
Una domanda per rispondere alla quale non si può prescindere dal fatto (del tutto trascurato dalla Carta) che l’agricoltura odierna sta nutrendo il mondo assai più e meglio di quanto non abbia mai fatto in passato. Non basta dunque strapparsi le vesti sugli 800mila sottonutriti se non si considera che tale cifra costituisce un minimo storico essendo pari al 12% della popolazione mondiale, contro il 37% del 1970 ed il 50% del 1947. Il rilevantissimo calo che si coglie analizzando la serie storica dei sottonutriti è frutto della rivoluzione verde, la quale ha innovato profondamente la tecnologia di produzione agricola, facendo del XX secolo non il secolo della catastrofe malthusiana ma viceversa un secolo di grande espansione della popolazione e del benessere, come attestano l’incremento della vita media che oggi a livello mondiale tocca i 70 anni (erano 45 nel 1950) e l’altrettanto sostanziale decremento nella mortalità infantile.
La rivoluzione verde ha tratto linfa dal fatto che l’agricoltura (contrariamente a quanto sostengono molti incalliti tradizionalisti come Ermanno Olmi e Carlo Petrini, che di questo Expo saranno “giustamente” protagonisti) è stata fin dalle sue origini fra i settori che più hanno goduto delle innovazioni tecnologiche frutto della civiltà umana: dalla rivoluzione dell’aratro a quella del ferro a quella dell’introduzione delle piante dal nuovo mondo a quella della grande chimica ottocentesca, a tante altre che l’hanno pervasa lungo i millenni, ivi comprese le rivoluzioni genetiche che ci hanno portato a coltivare specie non presenti in natura come il grano duro, che vanta 28 cromosomi contro i 14 dei frumenti selvatici ed il grano tenero, che di cromosomi ne vanta addirittura 42.
RITORNO ALLA REALTA'
Ragionare oggi di sicurezza alimentare significa anzitutto acquisire una visione realistica dei fenomeni, la sola dalla quale possa discendere una concreta definizione delle priorità. In tal senso occorre acquisire piena coscienza del valore dell’innovazione tecnologica in settori quali la genetica vegetale ed animale, le tecniche colturali, la conservazione e trasformazione dei prodotti, ecc. Significa anche prendere coscienza del ruolo chiave che gioca e giocherà in futuro la zootecnia come produttrice di alimenti nobili (non solo carne ma anche latte, uova, ecc.), zootecnia sulla quale la carta di Milano dice poco o nulla, salvo un estemporaneo cenno al tema del benessere animale.
È in una logica di “ritorno alla realtà” che propongo al lettore alcuni temi di riflessione che prendono spunto dalla carta e dalle sue più rilevanti omissioni.
Il primo tema riguarda il ruolo della chimica in agricoltura, oggi ingiustamente vilipesa e demonizzata. Al riguardo mi preme affermare che in agricoltura senza la chimica non si va da nessuna parte. Dalla chimica dipende infatti oltre il 50% del fabbisogno di azoto per le colture agrarie che altrimenti verrebbero a trovarsi in condizioni di carenza azotata che si tradurrebbero in “fame di proteine” per gli esseri umani. Dalla chimica vengono anche i principi attivi che ci consentono di contrastare terribili nemici delle piante coltivate come gli insetti (immani distruttori di colture e derrate alimentari), i funghi (che non solo distruggono le produzioni ma sono in grado di produrre tossine a volte assai dannose anche per l’uomo) e le malerbe (competitori temibili delle piante coltivate in grado di distruggere interi raccolti). È oggi possibile un’agricoltura con meno chimica? La risposta e sì, ma meno chimica significa più genetica, per cui se non siamo interessati (vero, ministro Martina?) ad investire in innovazione genetica, OGM inclusi, ce lo scordiamo di ridurre l’impiego di mezzi chimici.
Circa poi lo spreco di cibo, uno dei cavalli di battaglia della Carta, ricordo che trattasi di elemento importante ma da non enfatizzare oltre misura, in quanto il cibo non consumato dagli umani trova molto spesso impiego in zootecnia e dunque non viene sprecato perché da esso derivano latte, carne, uova, ecc.
Circa il rapporto fra agricolture di sussistenza e agricoltura di mercato voglio ricordare che l’agricoltura che dà da mangiare al mondo è l’agricoltura evoluta ed imprenditoriale che lavora per il mercato. Per quanto concerne invece le agricolture di sussistenza bisognerebbe (ma la Carta si guarda bene dal farlo) porsi il problema di farle evolvere verso il mercato perché siano di ausilio agli agricoltori ed agli altri abitanti del mondo. E farle evolvere verso il mercato significa ragionare di dimensioni aziendali, investimenti, innovazione tecnologica, forme associative, reti territoriali, ecc.
Si tenga peraltro conto che qualora tali agricolture non evolvano verso il mercato sono purtroppo destinate a scomparire, così come in passato è accaduto in Occidente con l’abbandono delle forme di agricoltura più arretrate poste soprattutto in aree montane o marginali, fenomeno questo che per inciso ha avuto indubbi vantaggi per lo meno sul piano ecologico (in Italia la superficie a bosco è passata dai 4.5 milioni di ettari del 1910 ai 6.9 milioni di ettari attuali). Il documento di Milano dal canto suo compie una curiosa operazione di cerchiobottismo incarnata dalla frase secondo cui «la conoscenza e la pratica dei modi di produrre, sia tradizionali sia avanzati, è essenziale per l’efficienza dei sistemi agricoli, dall’agricoltura familiare fino a quella industriale».
Si tratta di un concetto che brilla per vuota retorica e che viene ribadito con la frase «valorizzare i piccoli produttori locali come protagonisti di una forma avanzata di sviluppo e promuovere le relazioni dirette tra produttori, consumatori e territori di origine». I modi di produrre tradizionali brillano infatti per inefficienza e per incapacità di rispondere alle esigenze della collettività. Nutrire il mondo significa dunque far evolvere in fretta tali sistemi. In nessun settore industriale ci si è mai posti il problema di tutelare modi di produzione vecchi, irrazionali e perciò sommamente inefficienti e non in grado di soddisfare il consumatore. Si pensi all’industria dell’automobile: chi potrebbe oggi ipotizzare un ritorno ai modi di produrre auto dell’inizio del XX secolo? Un conto è pensare a raffinatissime produzioni di nicchia che nelle società opulente sono una realtà significativa (es: le Ferrari e le Rolls Royce), altro conto è accarezzare l’idea che tale nicchia possa sopperire ai fabbisogni di beni di consumo dell’intera umanità.
Circa le agricolture periurbane mi preme rammentare che, con il 54% delle popolazione mondiale ormai inurbata, spesso in orribili megalopoli, è ridicolo puntare su agricolture di prossimità (a chilometro 0) ma bisogna viceversa mirare ad una logistica efficiente che consenta di attingere al cibo anche da aree relativamente remote. Non so davvero se la carta di Milano si riferisca a questo quando parla di «promuovere patti globali riguardo le strategie alimentari urbane e rurali in relazione alla sostenibilità e all’accesso al cibo sano e nutriente, che coinvolgano sia le principali aree metropolitane del pianeta sia le campagne».
In un altro passo della carta di Milano si afferma che «Siamo consapevoli che per far fronte in modo sostenibile alle sfide alimentari future è indispensabile adottare un approccio sistemico attento ai problemi sociali, culturali, economici e ambientali e che coinvolga tutti gli attori sociali e istituzionali». Lodevole proposito che tuttavia non coglie il fatto che non si può fare agricoltura limitandosi ad adottare logiche di tipo sociologico a base assembleare. Viceversa occorre conoscere il sistema agricolo ed i suoi meccanismi di funzionamento in modo da mirare in modo pragmatico al risultato che è quello di produrre cibo e beni di consumo.
Vi sono poi tutta una serie di punti della carta di Milano che mi sentirei anch’io di sottoscrivere in quanto norme di ordinario buon senso e frutto di una logica coscienziosa. Fra questi ricadono ad esempio gli appelli ad un vivere morigerato e ad evitare gli eccessi e gli sprechi delle risorse. Ma da qui poi a tradurre in pratiche di governo tali affermazioni c’è di mezzo un mare. Altrettanto dicasi per i punti che ricadono nel paragrafo In quanto membri della società civile, noi ci impegniamo a…». Si tratta infatti di principi ispirati ad una logica partecipativa che non si possono non condividere almeno in termini generali. Anche qui però il diavolo sta nei dettagli, per cui ad esempio la clausola «promuovere strumenti che difendano e sostengano il reddito di agricoltori, allevatori e pescatori» io non lo sottoscriverei mai senza l’aggiunta di un «compatibilmente con gli interessi dei consumatori». Questi ultimi infatti non possono pagare il pane a peso d’oro per sostenere i redditi di chicchessia.
Circa poi la ricerca, essenziale per far progredire l’agricoltura, mi domando che senso abbia parlare di «aumentare le risorse destinate alla ricerca, al trasferimento dei suoi esiti, alla formazione e alla comunicazione» se nel documento non si esplicita in modo chiaro la direzione che tale ricerca dovrà assumere.
Mi preme altresì ricordare che la Carta di Milano non si esprime in modo netto su quelli che nei Paesi ad agricoltura avanzata sono oggi i nemici più insidiosi del progresso tecnologico in agricoltura e cioè le agricolture a base magica, termine con il quale mi riferisco all'agricoltura biologica (in inglese organic farming) e a quella biodinamica. Per l'agricoltura biologica si può parlare di base magica in quanto essa si fonda sul preconcetto, indimostrabile e dunque non scientifico, secondo cui una molecola d’urea o di ammoniaca prodotta da un essere vivente sarebbe incommensurabilmente migliore di quella ottenuta per sintesi, il che ci riporta alle vecchie teorie vitalistiche imperanti fino al XVIII secolo e sconfitte da Lavoisier e dai grandi chimici ottocenteschi.
Altrettanto magico è il preconcetto secondo cui i metodi di difesa dalle malattie delle piante debbano prescindere dalla chimica evoluta, per cui il solfato di rame va bene (e poco importa se il rame è un metallo pesante con ricadute ambientali negative) ed un antiperonosporico sistemico no. L’ideologia che sta alla base dell’agricoltura biodinamica è ancora peggiore, in quanto impone ai propri adepti di sopperire al fabbisogno di nutrienti delle piante coltivate sfruttando i positivi influssi astrali.
Contro questi rischi la carta di Milano avrebbe dovuto prendere una posizione netta anche perché le agricolture a base magica hanno l’enorme difetto di garantire bassissime rese, del tutto inadeguate alle esigenze dell’umanità. In altri termini le agricolture a base magica possono andar bene per risolvere il problema del singolo imprenditore che venda i propri prodotti a prezzi esorbitanti a cittadini creduloni vantando requisiti indimostrabili, ma non possono certo risolvere il problema alimentare globale. A fonte di tali legittimi dubbi la carta di Milano recita ineffabile che occorre «introdurre o rafforzare nelle scuole e nelle mense scolastiche i programmi di educazione alimentare, fisica e ambientale come strumenti di salute e prevenzione, valorizzando in particolare la conoscenza e lo scambio di culture alimentari diverse, a partire dai prodotti tipici, biologici e locali».
CONCLUSIONI
Il cibo di cui ci nutriamo è frutto dell'agricoltura, attività biologica e primaria per eccellenza, che si realizza per lo più all'aperto, in pieno campo, fondandosi su un meraviglioso processo biochimico, la fotosintesi, alimentato energeticamente dalla radiazione solare e che sfrutta l’anidride carbonica atmosferica e l’acqua per produrre cibo e beni di consumo per tutta l’umanità. Attorno a questo “cuore biologico” del processo produttivo agricolo si dipanano le filiere a monte del campo (produzione e commercializzazione dei macchinari e dei mezzi tecnici) e le filiere a valle (stoccaggio, agro-industria, commercio all'ingrosso ed al dettaglio). Che bell’incipit che sarebbe stato per la Carta di Milano, documento che ho trovato invece povero nei contenuti e superficiale nelle argomentazioni. Abbiamo comunque davanti sei mesi di Expo per cui ci si augura che il documento possa essere emendato, spero non in peggio. In ogni caso, come avrà ben inteso chi ha avuto la pazienza di leggermi, la carta di Milano così com’è non la firmo.
Qualcuno potrebbe allora domandarmi quale alternativa sussista rispetto alla carta di Milano. In proposito riporto qui sotto il decalogo proposto il 24 novembre scorso dall'Associazione milanese laureati in scienze agrarie (Amsaf), secondo la quale per garantire nei prossimi 50 anni la sicurezza alimentare globale occorrerà in particolare garantire:
• la promozione dell’innovazione nelle produzioni vegetali livello di genetica (OGM inclusi) e di agrotecniche (tecniche di lavorazione dei suoli, difesa fitosanitaria, diserbo, concimazione, ecc.)
• la promozione dell’innovazione tecnologica nel settore zootecnico (genetica, tecniche di allevamento, ecc.)
• la promozione dell'innovazione nelle filiere agro-alimentari a monte (macchinari, fitofarmaci, concimi, ecc.) e a valle (trasformazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti agro-alimentari fino al consumatore finale) della produzione agricola
• la promozione a livello globale dell’agricoltura tecnologicamente evoluta
• la valorizzazione dello scopo fondante dell'agricoltura che è quello di gestire il ciclo del carbonio e dunque anche di regolare i livelli atmosferici di CO2
• la tutela dei suoli agricoli dall’urbanizzazione o dall’erosione o ancora dall’espansione del bosco in aree vocate all'agricoltura intensiva
• la valorizzazione delle risorse idriche anche ai fini della produzione agricola
• la promozione di strutture aziendali e reti territoriali di dimensioni compatibili con l’agricoltura di mercato ed adeguate a garantire la sostenibilità economica ed ambientale dell’agricoltura.
Ognuno di questi punti sarebbe ovviamente meritevole di un’analisi più approfondita che rinvio ad una prossima occasione.
Tabella: Alcuni dati sull'agricoltura globale
Grandezza |
Anno di riferimento |
Valore globale |
Note |
Popolazione mondiale |
2014 |
7.3 miliardi |
Saranno 9,5 miliardi nel 2050 |
Quota della popolazione mondiale dedita all’agricoltura |
2013 |
Oltre il 40% |
|
Aziende agricole attive a livello globale |
2013 |
590 milioni |
|
Percentuale della popolazione mondiale al di sotto della soglia di sufficienza alimentare secondo FAO |
2013 |
13 % |
Era il 50% della popolazione mondiale nel 1948 ed il 37% nel 1970. |
Superficie globale ad arativi |
2015 |
1.4 miliardi di ettari |
Circa 0.25 ettari per abitante del pianeta. Purtroppo tale superficie non pare destinata ad aumentare sensibilmente nei prossimi 50 anni, per cui per garantire cibo ad una popolazione globale in costante aumento non si potrà far altro che incrementare le rese ettariali delle colture e della zootecnia, il che non potrà essere fatto che innovando profondamente le tecnologie |
Superficie globale a pascolo |
2015 |
3.2 miliardi di ettari |
Circa 0.50 ettari per abitante del pianeta. Unica attività umana in grado di sfruttare tali superfici è la zootecnia da pascolo |
Aumento della biomassa globale (global greening) |
1999 su 1982 |
+6% |
Fenomeno dovuto soprattutto all’effetto fertilizzante degli accresciuti livelli di CO2 in atmosfera. |
Calo annuo delle produzioni agricole globali che avrebbe luogo se la CO2 scendesse dai livelli attuali di 400 ppmv ai livelli pre-industriali di 280 ppmv. |
2014 |
-30% |
Da ciò discende che la CO2 atmosferica dovrebbe essere vista come una preziosa risorsa e non come un pericoloso inquinante. |
Percentuale della popolazione mondiale inurbata |
2013 |
54% |
E’ un fenomeno globale che non può essere trascurato perché allontana le popolazioni dalle fonti di cibo. |
Produzione media di un ettaro di grano tenero in Italia |
1910 |
1,1 t/ha |
Basse produzioni, frumenti di taglia altissima (fino a 180 cm contro i 90 cm odierni) che allettavano raggiungendo tenori elevatissimi di micotossine dannose per l’uomo. |
Produzione media di un ettaro di grano tenero in Italia |
2000 |
6,0 t/ha |
La produzione attuale è dunque pari a 6 volte quella del 1910 ed offre prodotti di qualità di gran lunga superiore rispetto a quelli di inizio ‘900 (tenore proteico elevato, micotossine al di sotto dei limiti di legge, ecc.) |
Percentuale dell’azoto presente nelle proteine umane che proviene da concimi minerali di sintesi
|
2013 |
50% |
Rinunciare a tale forma di nutrimento azotato delle colture porterebbe ad una catastrofe alimentare globale senza precedenti. |
Incremento medio annuo delle produzioni dei cereali base per la dieta umana (dati FAO) |
2013 su 1960 |
+3.8% per frumento; +2.9% per mais; +2.2% per riso. |
Le tendenze in atto sono di tale portata da farci ritenere che per la prima volta nella storia sussista la possibilità concreta di liberare l’intera umanità dall’insicurezza alimentare. |
Aumento della vita media a livello globale.
|
2013 su 1950 |
+ 55% (dai 45 anni del 1950 ai 70 anni del 2013)
|
Il merito non è da attribuire alla sola rivoluzione verde ed alla conseguente migliore alimentazione. Da non trascurare è il ruolo delle migliori cure mediche e delle migliori condizioni di vita. |
Decrescita della mortalità infantile a livello globale |
2013 su 1950 |
dai 140 morti per ogni 1000 nati vivi del 1950 ai 40 odierni |
Anche in questo caso il merito non è da attribuire alla sola rivoluzione verde ed alla conseguente migliore alimentazione. Da non trascurare è il ruolo delle migliori cure mediche e delle migliori condizioni di vita. |
New entries fra i primi cinque produttori mondiali di mais, riso e frumento.
|
2013 |
Cina (per mais, frumento e riso), India (per frumento e riso), Brasile (per mais) e Argentina (per mais) |
Si noti che i due giganti asiatici (India e Cina) sono finalmente usciti dalla morsa della penuria di generi alimentari che li aveva attanagliati per decenni |
* Condirettore Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura