Exodus, che ci fa Mosè con la faccia di Batman?
Ormai gli effetti speciali nei film li usano tutti, e hanno pure stancato. Perché se non c’è una storia da raccontare, è inutile ogni fantasmagoria. Vale anche per il cinema. Un chiaro esempio di tutto ciò è il film Exodus. Dei e Re di Ridley Scott. Già distintosi per non aver nemmeno nominato i cristiani ne Il gladiatore.
Un tempo chi voleva sentire musica doveva suonarsela o farsela suonare. Poi sono arrivati i sistemi di registrazione e la musica è stata alla portata di tutti. L’elettronica, poi, ha permesso a chicchessia di avere a disposizione un’intera orchestra. Non devi imparare il pentagramma e nemmeno uno strumento perché ci pensa il mouse. Così, basta che ti compri il programma computerizzato adatto e puoi esprimerti: violini, cori, arpe, percussioni eccetera. La possibilità concessa a tutti di dirigere una filarmonica ha però riazzerato le cose: se la musica non l’hai in testa, a nulla varrà la tua orchestra elettronica. Cioè, se non hai fantasia creativa, c’è poco da fare; se sei Mozart, l’orchestra non ti serve, perché saranno gli altri a suonare, e volentieri, le tue creazioni.
La stessa cosa accade per il cinema. Ormai gli effetti speciali li usano tutti, ed è andata a finire, come prevedibile, che hanno stuccato. E anche qui, se non hai la storia, è inutile ogni fantasmagoria e pure il 3D. Nel caso della trilogia del Il Signore degli anelli, per esempio, la storia l’aveva scritta –scusate se è poco- nientemeno che J.R.R.Tolkien. Gli effetti speciali computerizzati l’hanno solo resa visibile (mentre prima non lo era), il regista Peter Jackson non ha dovuto fare altro che trasporla sullo schermo così com’era stata scritta. Anzi, più è stato fedele al testo e più i tre film sono riusciti. Infatti, la valanga di Oscar ricevuti l’ha confermato. Prova del nove: la trilogia de Lo Hobbit è meno efficace, perché il regista, per allungare il brodo, ci ha messo del suo, allontanandosi dall’originale di Tolkien. Risultato, niente premi e minori entrate al botteghino. Sì, perché, ripetiamo, se la storia non “tiene”, cercare di compensare quel che manca moltiplicando gli fx finisce per essere quasi fastidioso.
Detto questo, un chiaro esempio di tutto ciò è il film Exodus. Dei e Re di Ridley Scott, già distintosi per non aver nemmeno nominato i cristiani ne Il gladiatore e per l’esaltazione di Saladino ne Le crociate. Non a caso, nel primo le scene più belle sono quelle della battaglia iniziale tra romani e germani. Cioè, la storia così com’è effettivamente andata. Nel secondo, idem: l’assedio di Gerusalemme; il resto è da buttare, perché l’ossessione del regista di mostrare i cristiani cattivi e i musulmani buoni ha creato vere e proprie falle nel soggetto (per esempio: perché Ibelin rifiuta di sposare Sibilla, di cui è pur innamorato?). Insomma, grandi cast e grandi effetti speciali ma al servizio di quel che pensa Ridley Scott. Che è il più trito politically correct. E l’ultimo film lo conferma in pieno.
Già la scelta del protagonista è opinabile: dare a Mosè la faccia di Batman quando si ha a disposizione un budget illimitato è come minimo singolare. Erano tutti impegnati gli altri attori del mondo? Boh. Tanto per dire, quando gli italiani fecero la miniserie di Sandokan scelsero un attore sconosciuto, Kabir Bedi, ma che si rivelò azzeccatissimo. La trovata di rappresentare Dio come un bambino (o era un angelo che parlava al di Lui posto?) può essere interessante se però non trasformi quello stesso bambino in un essere crudele, prepotente e capriccioso con cui Mosè si scontra più volte, finendo con l’apparire –nientemeno- più buono e umano di Dio. Il Dio giudaico-cristiano è un essere di innocenza infinita: è l’Innocenza stessa. Perciò, un bambino andava benissimo, peccato che sia diventato l’opinione che Ridley Scott ha di Dio. Anche qui, come per Il Signore degli Anelli, sarebbe bastato prendere la storia così com’è scritta e sceneggiarla. Infatti, la vicenda di Mosè è spettacolare di suo.
Lo aveva ben compreso Cecil B. De Mille, il cui I Dieci Comandamenti non a caso rimane insuperato. Charlton Heston non era affatto famoso, all’epoca, e fu scelto perché –letteralmente- aveva un naso uguale a quello del Mosè di Michelangelo. Quel regista dovette ricorrere a una piscina piena d’acqua e svuotata al rallentatore, dopo aver proiettato la scena alla rovescia, per descrivere il passaggio del Mar Rosso. Ridley Scott, invece, ha evitato come la peste la verga di Mosè che separa le acque, ha mostrato una spiaggia che, poco spettacolarmente, via via si prosciuga e infine è ricorso allo tsunami per sommergere gli egiziani.
Morale della favola, ancora oggi I Dieci Comandamenti di Cecil B. De Mille, con Charlton Heston e Yul Brinner resta il miglior film sull’argomento. Con i suoi sessant’anni e pure i suoi effetti speciali “fatti in casa”. Invece, da quando la sinistra americana si è impadronita di Hollywood, i temi “biblici” sono scesi al livello del vegetariano Noah. Però il botteghino lo sfonda sempre il vecchio Clint, che è di destra (vedi il superbo American sniper).