Ex terroristi non estradati, violata anche la dottrina Mitterrand
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Perché la Francia non concede l'estradizione in Italia di 10 ex terroristi rossi? Stavolta la "dottrina Mitterrand" non c'entra e il governo francese neppure. La dottrina dell'ex presidente socialista riguardava ex brigatisti che non fossero stati condannati per "fatti di sangue". E non è certo il caso dei 10 ex terroristi. Sentenza incredibile.
Arrestati nell’aprile 2021, non è stata concessa l’estradizione per dieci ex terroristi rossi italiani, prima a seguito della sentenza del 29 giugno scorso poi confermata dalla Corte di Cassazione francese tre giorni fa. Eppure la “dottrina Mitterrand” era già considerata scaduta dai tempi del presidente Chirac, dunque ventun anni fa, quando nel 2002 era stato estradato Paolo Persichetti. E la stessa dottrina non prevedeva di dare asilo a condannati pluri-omicidi. Perché non è stata concessa l’estradizione? E chi è il responsabile?
La dottrina Mitterrand non è stata concepita per proteggere terroristi ancora in attività. Quando il leader socialista divenne presidente, nel 1981, si era ancora nel pieno della stagione terroristica. Non si sapeva ancora che sarebbe finita nei due anni successivi. Mitterrand non confessò mai che non si fidava della magistratura italiana, delle nostre leggi speciali contro il terrorismo, delle condanne in contumacia. Però elaborò una dottrina che, di fatto, riconosceva l’asilo politico ai militanti delle varie sigle terroristiche comuniste che ancora operavano nel nostro territorio. Le condizioni erano abbandonare la clandestinità e inserirsi con un lavoro normale alla luce del sole in Francia, non avvicinarsi alla lotta armata francese e non essere stati condannati in via definitiva per fatti di sangue. Quindi in teoria non copriva terroristi che si fossero macchiati di omicidi.
Nel 1985, quando Mitterrand incontrò Craxi, a Parigi, ribadì la sua intenzione di combattere il terrorismo “senza compromessi” e dunque escludere dalla sua protezione i terroristi condannati per omicidio. Nel suo successivo discorso al Congresso della Lega per i Diritti Umani, tuttavia, Mitterrand enfatizzò un altro principio: gli ex terroristi dovevano essere veramente “ex”, dovevano aver rotto col passato della lotta armata, indipendentemente dall’esser stati condannati o meno per fatti di sangue. «Questi italiani in Francia hanno rotto i ponti con la macchina infernale in cui erano coinvolti, lo proclamano, hanno cominciato una seconda fase della loro vita, si sono inseriti nella società francese, spesso si sono sposati, hanno fondato una famiglia, trovato un lavoro. Ho detto al governo italiano che questi 300 italiani sono al riparo da qualsiasi estradizione».
La sentenza del tribunale francese del 29 giugno scorso, che non ha concesso l’estradizione ai dieci brigatisti arrestati nel 2021, ricalca questo principio mitterrandiano: molti degli arrestati erano stati giudicati in Italia in loro assenza, e non avrebbero avuto la possibilità di difendersi in un nuovo processo; inoltre, il tribunale faceva valere che i rifugiati vivevano da 25-40 anni in Francia, dove si sono costruiti una situazione famigliare stabile, si sono inseriti professionalmente e socialmente rompendo ogni legame con l’Italia, e quindi la loro estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare.
La politica francese non c’entra, questa è una sentenza dei giudici. Anzi, è stato semmai il governo francese a far ricorso alla Corte di Cassazione. Il presidente Emmanuel Macron, alla notizia della sentenza del 29 giugno aveva reagito con sdegno: «quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia». Ecco che torna il principio del non fornire alcuno scudo a chi si è macchiato di “fatti di sangue”, per i quali ha una condanna definitiva. La magistratura francese ha invece violato la stessa dottrina Mitterrand. Ed ha motivato la sua sentenza, implicitamente, con una piena sfiducia nel nostro sistema giudiziario ed esplicitamente con una prescrizione di fatto dei loro reati, per aver vissuto una vita lontana dalla violenza, riconoscendo una sorta di redenzione in terra francese.
La Cassazione, a Parigi, ha ribadito la sentenza del 29 giugno. Il giudizio sfavorevole all’estradizione è ormai definitivo. Eppure, gli ex terroristi rossi che non verranno più estradati sono responsabili di gravi fatti di sangue. Marina Petrella è condannata all’ergastolo al processo Moro Ter per omicidio del generale Galvaligi e per il sequestro del giudice Giovanni d’Urso e dell’assessore regionale della Dc Ciro Cirillo. Era già stata arrestata nel 2007 in Francia, ma il presidente Sarkozy bloccò l’estradizione, adducendo motivi di salute. Roberta Cappelli è condannata all’ergastolo per l’omicidio del generale Galvaligi, dell’agente di polizia Michele Granato e del vicequestore Sebastiano Vinci. Narciso Manenti è condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’appuntato Giuseppe Guerrieri. Sergio Tornaghi è condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della Ercole Marelli. Luigi Bergamin è condannato a 25 anni per concorso nell’omicidio del maresciallo di polizia penitenziaria Antonio Santoro. Giorgio Pietrostefani, cofondatore di Lotta Continua, è condannato a 22 anni per essere uno dei mandanti dell’omicidio Calabresi. Raffaele Ventura è condannato a 20 anni per concorso morale nell’omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra. Enzo Calvitti deve ancora scontare 18 anni e 7 mesi per associazione terroristica e banda armata. Giovanni Alimonti, ancora 11 anni da scontare per tentato omicidio del poliziotto Nicola Simone. Maurizio Di Marzio, ancora 5 anni per banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona e rapina.
Si saranno sicuramente reinseriti nella vita civile francese, ma non hanno scontato la pena. I parenti delle vittime e chi è sopravvissuto alla loro violenza politica, non ha mai avuto giustizia. Ad oggi non è neppure arrivato alcun segno di pentimento da parte loro.