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AZIENDE AL COLLASSO

Evviva Genova, ma dietro c'è un altro baratro

Mentre si celebra l'apertura del ponte San Giorgio a due anni dal crollo del Morandi, il modello Genova non viene applicato per nessuna impresa: 830.000 posti di lavoro a rischio, nuove povertà all'orizzonte, aziende costrette all'inefficienza. Sta morendo la libertà di iniziativa economica, sancita all’articolo 41 della Costituzione. 

Attualità 04_08_2020

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Stupisce vedere Ministri che litigano per accaparrarsi i fondi del Recovery Fund, che arriveranno fra un anno, senza preoccuparsi di quello che ci attende a fine estate. Tutti gli indicatori economici segnano livelli ben più allarmanti di quelli della crisi di dieci anni fa e l’atteggiamento fin troppo attendista del Governo rischia di provocare guai ancora peggiori.

Secondo un recentissimo focus Censis-Confcooperative dedicato agli effetti socio-economici del Covid-19, sono 830.000 i posti di lavoro a rischio a causa della pandemia e a occuparli sono persone con redditi bassi (intorno ai 900 euro mensili). Cifre arrotondate per difetto e che potrebbero essere anche superiori, considerato il crollo di oltre 12 punti di Pil. Non bastasse, si conferma il flop del reddito di cittadinanza. Stando a un’indagine dei Centri per l’impiego, oltre sei disoccupati su dieci, quasi tutti percettori di quel sussidio, hanno possibilità quasi nulle di trovare lavoro. Nuove povertà si profilano, dunque, all’orizzonte.

In tutto questo, però, le imprese hanno le ali tarpate e non possono muoversi con strategie mirate per rilanciare la produzione, dovendo rispettare il vincolo del divieto di licenziare. Non possono dunque ristrutturare e rendere più efficienti i meccanismi di produzione e così facendo i loro livelli di competitività rimangono al di sotto delle potenzialità.

Tra i mille obblighi per le imprese c’è anche quello di prorogare i contratti a termine e quindi di continuare a pagare i lavoratori temporanei, anche se non lavorano e non producono. Senza dimenticare che molte imprese hanno anticipato i soldi della Cassa integrazione per i loro dipendenti, visto che lo Stato si è rivelato inefficiente anche su questo versante. Va anche ricordato che le promesse di accelerazione dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle aziende private sono state ancora una volta  disattese.

Le politiche assistenzialistiche degli aiuti a pioggia e della proroga dei sussidi equivalgono ad analgesici che fanno temporaneamente sparire il dolore senza in alcun modo curare la malattia, che anzi si aggrava nel tempo. La crisi delle imprese è destinata ad esplodere e c’è grande attesa per il piano di rinascita del Paese che la nuova Confindustria del Presidente Carlo Bonomi sta elaborando e che dovrebbe vedere la luce nel mese di settembre.

Nessuno dice che in queste condizioni in Italia risulta sospesa anche un’altra libertà: quella di iniziativa economica, sancita all’art.41 della Costituzione. Le imprese non sono libere di muoversi in un contesto di libera concorrenza. Molte di esse chiuderanno a settembre. Nel settore turistico e della ristorazione c’è già stata una moria senza precedenti e i tanti allarmi sanitari dovuti al Covid-19, spesso figli di esagerazioni e di vere e proprie campagne di terrorismo istituzionale e mediatico, rischiano di dare il colpo di grazia a ogni tentativo di ripartenza.

D’altra parte, è inutile continuare a ripetere che “bisogna far girare l’economia”, se poi si confezionano provvedimenti ad uso e consumo delle banche e degli istituti finanziari, con obbligo di utilizzo del Pos, che taglia fuori almeno un terzo della popolazione italiana. Criminalizzare l’uso dei contanti in questa fase significa ostacolare ancora di più la ripresa dei consumi e disincentivare chi è abituato ad usare le banconote con assoluta regolarità e preferisce non essere tracciato per ragioni di privacy nelle sue abitudini di consumo.

Si è evocato da più parti il “modello Genova”, che proprio ieri ha vissuto il suo giorno di gloria, con l’inaugurazione del nuovo Ponte San Giorgio. Dopo la tragedia del Ponte Morandi, ben 1037 metri di acciaio e cemento sono stati costruiti in un solo anno, grazie alla genialità del progetto di Renzo Piano, realizzato con perseveranza e senza zavorre di natura burocratica. Il Commissario straordinario per la ricostruzione nominato dal Governo ha infatti avuto carta bianca e il sindaco di Genova Marco Bucci ha potuto affidare direttamente la gara senza bando e altri vincoli amministrativi. E’ la riprova che quando la mano pubblica si ritira e si limita a un ruolo di garanzia, senza invadenza operativa, i traguardi si raggiungono in tempi brevi e con standard di efficienza non comuni. La prima riforma che andrebbe fatta nel nostro Paese è proprio quella dello snellimento delle procedure di realizzazione delle infrastrutture, vero volano per la ripartenza del Paese. Solo così il “modello Genova” risulterebbe replicabile altrove.