Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
TASSE

Evasori perché tartassati, non perché cattolici

La Orlandi ritiene che siamo evasori perché la nostra cultura cattolica è troppo perdonista. Ma i controlli fiscali, in Italia, sono già da regime totalitario. La pressione del fisco è la più alta d'Europa. E in compenso, gli italiani non sono quelli che evadono di più nell'Ue. Iniziamo a smontare qualche falso mito, numeri alla mano.

Economia 31_07_2014
Torchio fiscale

Siamo un popolo di evasori perché “siamo un paese a forte matrice cattolica”, dice la nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi. Ma “Evadere è un peccato”, come ci ricordava l’anno scorso il cardinale Angelo Bagnasco. E il cattolico italiano, a questo punto, si guarda attorno disorientato. La Chiesa predica di pagare le tasse, anche la loro pressione supera di gran lunga la media europea. E però, è per colpa della Chiesa e della sua eredità culturale che siamo spinti a non pagare. Da non capirci più nulla. Meglio fermarsi e rifletterci su.

La Orlandi, più che al sacramento della Confessione, si riferisce all’abitudine dei condoni fiscali (che le attribuisce alla cultura cattolica): «In Italia, sanatorie, scudi, condoni, sono pane quotidiano – dice lei – Siamo un paese a forte matrice cattolica, abituata a fare peccato e ad avere l’assoluzione». Il discorso è sempre quello del burocrate ligio al dovere, qualunque cosa questo dovere prescriva. Se l’ordine è spremere il cittadino, deve essere eseguito a tutti i costi, indipendentemente dalla razionalità del sistema. Da qui deriva il ragionamento seguente: «Se il cittadino che evade è convinto che la sanzione non arriverà, difficilmente si abituerà a rispettare le leggi». Quindi, l’evasione c’è perché il sistema non è ritenuto sufficientemente duro. Ci si domanda come potrebbe esserlo di più, a questo punto. L’esattore appaltato dall’Agenzia delle Entrate, Equitalia, è diventato un nome tristemente noto per gli interessi di mora altissimi, i pignoramenti e le vendite all’asta delle case dei contribuenti, per le chiusure di aziende e la fuga (o anche il suicidio) dei produttori e contribuenti. I nostri conti correnti sono già resi trasparenti agli occhi del Fisco, in barba alla privacy e al principio secondo cui si è innocenti fino a prova contraria. Gli studi di settore sono applicati in base al principio del “sei evasore fino a prova contraria”, se il proprio reddito non collima con quello stimato arbitrariamente dal fisco. In questi giorni, in un caso di cronaca che sta diventando celebre, un ingegnere di Ancona è stato costretto a pagare il 40% in più rispetto al dovuto, per un solo giorno di ritardo nel pagamento di una rata. Nel suo caso, lo Stato non ha aspettato che pagasse: ha direttamente prelevato circa 10mila euro direttamente dal suo conto. L’Agenzia delle Entrate ha messo a punto 69 metodi per controllare il contribuente. Le novità introdotte quest’estate sono «indicatori di coerenza economica basati su anomalie nei dati dichiarati»; «l’indicatore di normalità economica in assenza del valore dei beni strumentali»; «l’indicatore “Margine per addetto non dipendente”» ed infine «l’integrazione, a partire dal periodo d’imposta 2013, delle analisi territoriali a livello comunale». In sintesi: il fisco stabilisce, al posto tuo, cosa dovresti spendere, come e quando in circostanze “normali” e fa scattare accertamenti se decidi di spendere “troppo” o in modo “anomalo”. E questo sarebbe lo Stato troppo generoso con gli evasori? Alla faccia …

Il discorso della Orlandi si può comprendere solo all’interno di un determinato contesto politico: la convinzione radicata che l’evasione italiana sia la peggiore d’Europa, praticamente un caso unico. Anche questa convinzione è vera fino a un certo punto. Infatti non è corretto calcolare l'evasione in termini assoluti (miliardi di euro evasi), ma in rapporto al Prodotto Interno Lordo. Le stime variano molto a seconda delle fonti, ma in media in Italia l’evasione è stimata nel 17% del Pil. Si tratta di un dato forte, ma non troppo più alto rispetto al 14,5% della media Ue. Evadiamo certamente molto di più rispetto ai francesi (cattolici) la cui evasione è stimata al 10% del Pil, ma meno rispetto ai greci (ortodossi) con il loro 20,5%. In ambito Unione Europea, se rapportiamo l’evasione al Pil, ci battono anche gli estoni (protestanti), i lettoni (mezzi protestanti e mezzi ortodossi), i ciprioti (ortodossi), i maltesi e i polacchi (altri cattolici). "Strano" come l’evasione sia così interconfessionale. E soprattutto, è "strano" come il nostro non sia affatto un caso unico, anomalo, o da primi della classifica d’infamia.

C’è un’altra convinzione radicata, assimilata da quasi tutti i politici e funzionari, espressa anche da uno spot di pubblicità progresso: se tutti pagassero le tasse, ne pagheremmo meno. Si tratta, semplicemente, di un falso matematico. Le serie storiche dimostrano che è sempre avvenuto il contrario: il recupero dell’evasione registra un trend crescente e costante, dai 2,1 miliardi nel 2004 ai 13,1 miliardi di euro nel 2013. Eppure, la pressione fiscale, dal 2004 ad oggi, è aumentata con analoga costanza: dal 40,5% del Pil del 2004 si è arrivati al 44% attuale. E si parla solo di pressione nominale, perché quella reale è ancora superiore. Insomma, più soldi vengono recuperati all’evasione, più italiani pagano tasse, più le tasse aumentano.

Si può pensare, in tutta buona fede, che se recuperassimo quei 90 miliardi di evasione che ancora mancano all’appello, potremmo ripianare il buco dei nostri conti pubblici, ridurre il debito, tornare a spendere per strade, scuole, ospedali. È così? Non proprio. Perché la spesa pubblica non è costante, non si riduce, ma aumenta inesorabilmente. Gli ultimi tagli, che già sollevano così tante proteste nel settore pubblico, sono solo una goccia nel mare, considerando che dal 2001 al 2012, secondo i calcoli dell’ex viceministro dell’Economia Mario Baldassarri, la spesa è aumentata 536 a 805 miliardi di euro. Un aumento del 50,1% in termini monetari, del 15,9% in termini reali (tenendo conto dell’inflazione).

Di conseguenza, l’evasione fiscale italiana non è causata da un’assenza di controlli, non è un’eccezione negativa in Europa, non è la causa dell’aumento delle tasse ed evidentemente non è neppure la causa prima del dissesto dei nostri conti pubblici, che registrano il debito pubblico più alto d’Europa e uno dei più alti del mondo (132,6%). Resta da capire come mai vi sia una forte evasione in Italia. Perché siamo cattolici, ma non tanto evasori quanto gli ortodossi greci o i protestanti estoni? Un’altra cifra ci potrebbe aiutare: la pressione fiscale nominale, in Italia, è del 44%, la terza più alta d’Europa dopo Danimarca e Svezia. Ma la pressione reale (tenendo conto anche dell’economia sommersa che non è tassata … maledetti evasori) è pari al 53% del Pil, secondo la stima pubblicata ieri da Confcommercio, proprio mentre la Orlandi parlava nella sua sede. Ed è, in questo caso, il 53% di tasse è la pressione fiscale più alta in assoluto, in tutta Europa. Battiamo anche Danimarca e Svezia, senza avere i loro servizi pubblici. Il 53% vuol dire che tutti noi, mediamente, passiamo più della metà del tempo a lavorare per lo Stato e non per noi stessi. È chiaro che, in queste condizioni, persino un insospettabile uomo di sinistra, quale Stefano Fassina è giunto a parlare di “evasione di sopravvivenza”.