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VITA

Eutanasia, l'Inghilterra ci riprova

Oggi la Camera dei Comuni è chiamata a votare un progetto di legge sul cosiddetto suicidio assistito. Ricalca quello già bocciato nella scorsa legislatura e i limiti posti sono, come al solito, vaghi o comunque soggetti ad ampie interpretazioni. Forse neanche questa volta riuscirà a passare, ma ormai sappiamo che basta ritentare...

Vita e bioetica 11_09_2015
Eutanasia

Al di là della Manica si torna a parlare di eutanasia. Oggi, 12 settembre, la Camera dei Comuni dovrà votare un disegno di legge sul cosiddetto suicidio assistito. Uno dei tanti giri di parole in bioetica per non pronunciare la parola “eutanasia” o ancor meglio “omicidio del consenziente”. Il disegno di legge è stato presentato dal laburista Rob Marris sulla bozza di un testo analogo redatto da Lord Charles Falconer, testo naufragato miseramente nella scorsa legislatura. Ma (ri)tentar non nuoce, se non ai pazienti terminali. E così l’on. Marris ripropone una legge che vorrebbe legalizzare l’eutanasia e riporre in naftalina il Suicide Act, norma del 1961 che punisce con un massimo di 14 anni di carcere chi aiuta un terzo a morire.

La struttura del disegno di legge ricalca quelle già vigenti in alcuni paesi dove l’eutanasia è legale. La ratio è sempre la stessa: una pratica illegale e immorale diventa giuridicamente valida ed eticamente lecita se vengono posti dei paletti. La legge infatti prevede che un medico possa somministrare legittimamente un cocktail letale al proprio paziente – e tecnicamente quindi si tratta di omicidio e non di suicidio - nel rispetto di alcuni vincoli. Il primo è che il paziente sia in fase terminale: sei mesi o meno di vita. Perché la persona vivente non ha valore in sé, ma solo se ha prospettive lunghe di sopravvivenza. Senza poi tener conto che il limite di sei mesi, se la legge passerà, sarà ben presto scavalcato. Vedasi Belgio dove anche l’infante può essere soppresso.

In secondo luogo la volontà di morire deve essere formulata in modo esplicito e non deve essere episodica. Nel testo di legge si spiega che ci deve essere una “intenzione chiara e costante nel tempo” da parte del malato terminale di voler morire. I problemi qui si moltiplicano. Da una parte la richiesta di morte è soggetta ad interpretazione del medico che può far dire al malato ciò che lui non vuole dire. In seconda battuta si fotograferebbe solo una volontà malata, depressa. Sotto tortura dell’angoscia di vedere il proprio tempo finire non si è davvero liberi di decidere alcunchè in modo lucido e consapevole. Sarebbe un’autodeterminazione viziata dal panico o dalla disperazione, non una reale espressione di una persona libera da condizionamenti. Oltre a questo, come ha sottolineato una lettera aperta redatta da un’ottantina di medici, si getterebbero nel baratro dell’eutanasia soprattutto gli anziani, preoccupati più che dalla loro patologia dalla sofferenza di vedersi solo come un peso per i parenti.

Inoltre il riferimento ad una volontà di morire espressa in modo costante è troppo vago: quale è l’arco temporale minimo perché si possa considerare “costante” la volontà di farla finita? E poi, chi verifica che con costanza, cioè giorno dopo giorno, Tizio non è tornato sulle sue decisioni? Particolari per nulla oziosi, visto il tema.

Infine il testo di legge sottopone la richiesta di eutanasia al vaglio di due dottori e di un giudice della Corte Suprema. Si tratta del principio di autodeterminazione del paziente temperato da un po’ di tecnocrazia. Il sigillo della scienza (i due medici) e della legge (il magistrato) nel percepito collettivo crea l’impressione che si ammazzi il prossimo secondo tutti i crismi e le regole del caso, in modo scientifico e pulito. 

Non solo l’impalcatura della legge ricalca altre simili, ma anche le motivazioni a sostegno di questa legge fanno eco ad altre analoghe spese per promuove l’eutanasia di Stato. Ad esempio il fatto che il disegno di legge trova consenso nella base. “Insieme alla stragrande maggioranza della gente, io appoggio quei malati terminali che, sani di mente, vogliono avere la possibilità di scegliere in merito al loro fine vita”, ha dichiarato Marris. Pare infatti che l’82% degli inglesi siano a favore di questa pratica. Ma, si sa, i sondaggi sono spesso pilotabili. 

Altra motivazione classica usata per iniettare l’eutanasia nelle vene dei malati terminali è quella che fa riferimento alla costrizione, per chi vuole morire anzitempo, di emigrare in cerca del boia. E così sul Guardian e sul Telegraph si legge che alcuni malati terminali sono dovuti andare in Svizzera per farsi uccidere. Perché allora lagnarsi, mutatis mutandis, che miriadi di aziende stabiliscano la loro sede, seppur fittizia, in paradisi fiscali per non pagare le tasse nei paesi di origine dove si realizza concretamente il loro business? Che si legalizzi l’evasione fiscale.

I numeri in Parlamento pare che non ci siano e che si debba chiamare il Governo in aiuto. Ma al di là dei conteggi aritmetici è risaputo che leggi come queste sono come colpi di ariete: se la porta non viene giù al primo colpo, basta ritentare una seconda o terza volta.