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VITA

Eutanasia dei bambini Nosiglia scende in campo

Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, esprime, fra tutti i vescovi italiani, la posizione più chiara e più dura contro l'eutanasia sui minori in Belgio. La nuova legge affonda le sue radici nel relativismo  che relega in secondo piano il diritto alla vita.

Editoriali 23_02_2014
Mons. Cesare Nosiglia

«Da tempo non provavo un turbamento come quello di questi giorni, di fronte alla notizia proveniente da Bruxelles: una legge con cui si rende possibile l'eutanasia o il suicidio assistito anche sugli adolescenti e i bambini che si trovino in condizioni particolari di sofferenza e malattia». Lo scrive in una nota datata 23 febbraio 2014 monsignor Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, in quella che salvo errore è la presa di posizione più chiara e dura tra i nostri vescovi su un tema che non riguarda solo il Belgio è presto arriverà anche in Italia.

«Come uomo, ben prima che come prete e vescovo, sono obbligato a domande talmente inquietanti e così "ultime" da lasciarmi quasi senza fiato», prosegue l'arcivescovo. Uno Stato dovrebbe avere la difesa della vita dei suoi cittadini come primo compito. «Questa legge, invece, mi pare riveli una sostanza, una concezione della vita che non ha più alla base la vita stessa ma qualcos'altro. Qualcosa che si stenta a capire ma che – non so dirlo in altro modo - ci spinge verso il nulla».

Nosiglia racconta di essere reduce da una visita a missionari torinesi in Kenya, che si occupano tra l'altro di bambini ammalati di AIDS trasmesso loro da madri sieropositive. «I piccoli di Nairobi come quelli di Torino non chiedono e non si chiedono di morire. Vogliono vivere invece, per essere amati. Vogliono vivere – anzi – perché sentono di essere amati. Perché sono amati». E certo i missionari non propongono loro l'eutanasia. «Davvero - si chiede l'arcivescovo - sono alcune condizioni dell'esistenza a dover dettare legge sull'amore? In mezzo a quelle sofferenze ho toccato con mano tutto l'affetto profondo, la gioia che c'è nella relazione fra bambini, genitori, medici e personale sanitario, suore, volontari. Davvero tutta questa realtà d'amore è illusione del passato, è un limite non più accettabile alla libertà degli individui?».

Nosiglia risponde poi alla facile obiezione secondo cui i cattolici vorrebbero imporre la loro dottrina a chi cattolico non è. «E non mi si dica - scrive - che questo è il modo "cattolico" di impostare la questione. Anche le associazioni dei pediatri italiani e del Belgio stesso hanno espresso la loro contrarietà. L'amore non è privilegio né monopolio dei cattolici».

La radice della barbarie belga, spiega la nota, è il relativismo.  «In più occasioni la Chiesa, in particolare con Benedetto XVI e Francesco, ha denunciato i danni di un relativismo – culturale, etico  e di una "cultura dello scarto" – che tende a "giustificare" qualunque opzione, abolendo di fatto ogni valore generale di riferimento in modo che solo la "libertà individuale" sia maestra e criterio di vita». Da qui vengono eutanasia e aborto, e Nosiglia non fa sconti alla legge 194, come sembra diventato di moda in altri ambienti cattolici. «Per quanto riguarda l'aborto l'accento viene sempre posto sulla "libertà dell'individuo" senza alcun riguardo per la vita nascente e – amara ironia tutta italiana, contenuta nel titolo stesso della legge 194 – per la "tutela della maternità"».

Il Belgio, però, ci propone un ulteriore salto di qualità nel cammino verso la barbarie, «Con la legge belga, tuttavia, mi sembra che si stia andando ancora oltre. Il circuito artificiale di legislazione, consenso informato, decisori medici ed etici richiama – non so come chiamarla altrimenti – una "eugenetica soggettiva" dove si  seleziona tra vita e vita, tra persona e  persona e ci  si arroga il diritto o di decidere per altri se vale la pena vivere  o morire o si esalta come libertà assoluta  persino il diritto di una scelta così definitiva e ultima  data a un minore a cui di fatto sono esclusi molti diritti fondamentali perché ritenuto non in grado di valutarne la portata e le conseguenze». L'arcivescovo non cita solo il Vangelo e il Magistero, ma un documento molto laico di pediatri: «Il bambino e adolescente è una persona speciale anche per la sua ridotta autonomia di scelta e di giudizio che si aggrava nella malattia e proprio per questa merita il massimo rispetto e protezione maggiore».  Ai bambini malati andrebbe piuttosto «garantito l’accesso alle cure palliative alla terapia del dolore con una assistenza globale che include aspetti fisici, emozionali, sociali e spirituali».

«Da questa legge - afferma la nota - si spalancano porte inimmaginabili e se ne chiude una certa: quella sul futuro». E il documento non manca di proporre un «j'accuse» molto esplicito all'Europa e alle sue istituzioni. Perché «il contesto in cui si colloca» la legge belga «richiama gli scenari della "decadenza" che ha investito l'Europa: un continente che non riesce più a dare speranza ai suoi giovani; un'Unione (lo dico senza esprimere alcun giudizio "politico") che sembra preoccupata più di conservare il benessere presente che di inventare cammini nuovi di sviluppo». E tutto questo «dopo la tragedia immane della seconda guerra mondiale che ha seminato morte e violenza su tanti bambini e minori  anche malati e disabili uccisi per una ideologia la cui memoria pesa ancora  sulla coscienza di tutti», ma la cui lezione forse non abbiamo imparato. «Appiattiti sul presente, è di avvenire, invece, che abbiamo bisogno».

Infine, Nosiglia affronta un tema delicato. «In anni recenti - scrive - la Chiesa italiana ha giocato molto del proprio peso morale e culturale sui "valori non negoziabili"». Qualcuno dice che le cose sono cambiate con Papa Francesco. Ha ragione? La posizione dell'arcivescovo di Torino è che «Papa Francesco ci ha ricordato, in questo  suo primo anno di magistero, che tali valori vanno non solo enunciati ma umilmente proposti e testimoniati innanzitutto in prima persona con la vita e l'esempio, e hanno da essere un riflesso, visibile e credibile, della tenerezza di Dio, senza spiriti di proselitismo o tentazioni di riconquista». Ci si potrebbe chiedere - lo aggiungo io, non la nota - dove finisce la missione doverosa e dove comincia il proselitismo sbagliato, e ancor più dove finisce l'impegno richiesto dal Concilio Ecumenico Vaticano II ai cattolici di ordinare a Cristo anche l'ordine temporale e le istituzioni e dove cominciano le «tentazioni di riconquista» forse nostalgiche della Democrazia Cristiana. La nota lascia aperti questi interrogativi, non di poco conto. Testimoniare insieme la misericordia cristiana e i valori non negoziabili, afferma Nosiglia, è in ogni caso «la sfida che dobbiamo accettare e affrontare, in un contesto culturale e legislativo dove invece oggi vediamo affiorare il deserto, con tutti i suoi miraggi».