Eutanasia per depressione, la Svizzera è puntuale
Un comasco di 62 anni cede alla depressione e si fa accompagnare in clinica in Svizzera, dove senza troppi problemi e con "straordinaria" puntualità la sua richiesta viene accolta: è stato ucciso in una clinica della dolce morte.
Chiedere a una struttura in Svizzera di essere sottoposto al suicidio assistito – e ottenerlo – solo perché si è depressi. L’ha fatto una persona che abitava in provincia di Como. Raccontiamo la cronaca senza troppi commenti, quello che è accaduto si commenta da solo; sottolineiamo solo che è una riprova della pericolosità della legge sulle Dat, le Disposizioni anticipate di trattamento, delle quali si parlerà – tra l’altro – il 10 settembre a Milano alla giornata de la Nuova BQ, “Chi ricostruisce l’umano”.
Albavilla è un paesino di 6.300 abitanti alle porte di Como. Da qui sabato della scorsa settimana è partito, diretto a una struttura di Zurigo dove si pratica il suicidio assistito, un uomo di sessantadue anni. Un ingegnere. Non un caso come il dj Fabo, cieco, semiparalizzato, tetraplegico dopo un grave incidente stradale, l’ingegnere era solo in cura per una forte depressione: per questo era seguito dai servizi sociali ai quali ha lasciato una lettera-testamento per annunciare la propria decisione. Ripetiamolo: nessuna patologia grave, fisica o psichica, incurabile che gli avrebbe entro breve tolto la vita. L’uomo, che aveva chiesto a lungo di potersi uccidere in Italia, era già stato in Svizzera a febbraio: dopo aver lasciato la lettera è partito, aiutato da una nota associazione svizzera specializzata nell’accompagnamento al suicidio assistito.
La lettera, come vuole la legge, è stata inviata ai Carabinieri della stazione di Erba, che hanno aperto un’inchiesta dopo aver informato la Procura. Giovedì è arrivata la salma in Italia, accompagnata – come scrive Paolo Moretti sul quotidiano La Provincia – “da un certificato di decesso nel quale si legge: cause della morte non naturali. Da qui la decisione di mettere la salma sotto sequestro e di conferire l’incarico per l’autopsia”.
I Carabinieri stanno indagando anche sul ruolo che potrebbe avere avuto un amico dell’ingegnere: lo avrebbe accompagnato fino al confine italo-svizzero, da dove lui avrebbe proseguito in treno da solo. Sapeva delle intenzioni dell’ingegnere e si può ipotizzare il reato d’istigazione o di aiuto al suicidio? Rischia anche lui di andare a processo come Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, che ha accompagnato dj Fabo alla clinica svizzera Dignitas per essere sottoposto al suicidio assistito?
Ed è proprio la solitudine di quest’uomo, senza una famiglia, in carico per questo ai servizi sociali, l’ambiente in cui è maturata la scelta. Una solitudine che rende la sofferenza della malattia senza senso e impossibile da affrontare e vincere. E c’è da chiedersi – senza voler condannare nessuno – come abbiano fatto i servizi sociali a non comprendere le intenzioni dell’uomo.
“E’ una storia terribile che lascia senza parole – è stato il commento del sindaco di Albavilla -, ho letto la lettera che ha inviato ai servizi sociali prima di partire e sembrava completamente in grado di intendere e volere… sono rimasta colpita dalla sua prosa impeccabile. Stando alle informazioni che abbiamo fino ad ora, mi sento solo di dire che ci troviamo a poca distanza da uno Stato in cui sembra che il suicidio assistito sia lecito anche per i malati non terminali: personalmente lo trovo davvero inconcepibile”. Basta chiederlo, non importa per quale motivo, e la Svizzera ti accontenta subito.