Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
MORTE VS VITA

Eutanasia, nasce il Comitato per il “no”

Ripresa alla Camera la discussione sul suicidio assistito. Intanto, ieri è stato presentato il Comitato “NO Eutanasia Legale” nell’ambito di un convegno a Roma in cui i relatori hanno sottolineato i problemi etici, medici e giuridici del Ddl Bazoli e del quesito referendario volto alla depenalizzazione parziale dell’omicidio del consenziente.

Vita e bioetica 10_02_2022

Per il mondo pro-life italiano è arrivata la prova del fuoco. Mentre alla Camera dei Deputati è ripresa la discussione del Ddl Bazoli-Provenza sul suicidio assistito, tra pochi giorni, il 15 febbraio, la Corte Costituzionale si pronuncerà riguardo all’ammissibilità del referendum dei Radicali sulla depenalizzazione parziale dell’omicidio del consenziente. In questo clima surriscaldato, le associazioni per la vita hanno sentito l’esigenza di compattarsi.

In tal senso, la formazione del Comitato “NO Eutanasia Legale” va nella direzione del contrasto alla consultazione referendaria ma, in realtà, l’impegno è a più ampio raggio. Come spiegato da Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia e membro del Comitato, il primo atto del nuovo organo sarà “quello di depositare presso la Consulta una memoria contro l’ammissibilità del quesito, chiedendo di poterla discutere oralmente nella camera di consiglio del 15 febbraio”. Il Comitato sarà presieduto da Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita & Famiglia, e vedrà tra i suoi membri il già citato Brandi, don Isidoro Mercuri Giovinazzo, presidente dell’Associazione italiana di Pastorale Sanitaria, Aldo Bova, presidente del Forum delle Associazioni Socio-Sanitarie, Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, Francesco Bellino, docente di bioetica alla Libera Università del Mediterraneo.

Buona parte dei membri del nuovo Comitato hanno animato il convegno Eutanasia: vite da scartare? Il dovere della società di fronte alla sofferenza, tenutosi ieri all’Hotel Nazionale di Roma. La tavola rotonda è stata l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte in tema di legislazione sul fine-vita e fissare i paletti della battaglia giuridico-medico-culturale che attende l’Italia nei prossimi mesi.

Il contributo della Santa Sede al dibattito si è concretizzato nell’intervento del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, che ha menzionato i tre principali documenti magisteriali che intervengono in materia: la costituzione conciliare Gaudium et Spes, l’enciclica Evangelium vitae e la più recente lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali. “L’uomo e la donna non possono arrogarsi di scegliere il momento della morte al posto di Dio”, ribadisce l’ottantottenne porporato, aggiungendo che eliminare il sofferente con la scusa di eliminare la sofferenza non potrà mai essere un “atto di carità verso il prossimo”.

Un breve intervento scritto del cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato inviato e letto al convegno. Il “cambiamento di paradigma nella cura dei malati nelle fasi terminali della vita” che si è prodotto negli ultimi anni e che ha coinciso con la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito in molti Paesi, sottolinea il cardinale Ladaria, è l’evidente espressione della “cultura dello scarto” di cui da anni parla papa Francesco.

Sul piano giuridico, le evidenti contraddizioni del referendum radicale sono state smascherate dal presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, secondo il quale l’omicidio del consenziente, che si andrebbe a depenalizzare, è qualcosa che va “molto oltre” l’eutanasia. Inoltre, se è vero che la Costituzione prevede solo referendum abrogativi, “introdurre il principio della disponibilità della vita” significherebbe introdurre un “principio nuovo” su cui soltanto il Parlamento potrebbe legiferare, non il corpo elettorale.

Da parte sua, il vicepresidente del Centro Studi “Rosario Livatino”, Alfredo Mantovano, si è soffermato sul Ddl Bazoli-Provenza che non solo si presenta come “testo eutanasico” ma stravolge il concetto etico di morte, facendone un “diritto esigibile”. Il paziente che - come previsto dalla bozza di legge - versi in condizioni di patologia irreversibile e di sofferenza percepita come insopportabile, può infatti ricorrere al tribunale, nel caso in cui il medico si rifiuti di mettere in pratica il protocollo di morte. “Il sistema sanitario sarebbe quindi tenuto a garantire il risultato”, puntualizza Mantovano.

Significativo il punto di vista di Kevin Yuill, suicidologo e lecturer presso l’Università del Sunderland. Lo studioso britannico, da “umanista” e “ateo”, denuncia il “precipizio morale” in cui è caduta buona parte dell’Occidente, a partire da Paesi come l’Olanda (dove ormai si pratica l’eutanasia ai soggetti autistici e ai malati mentali), il Belgio e il Canada.

Il punto di vista medico è stato espresso da Massimo Gandolfini, neurochirurgo e presidente del Family Day, e dai già citati Boscia e Bova. Nella sua bozza attuale, il Ddl Bazoli-Provenza si pone in contrasto con il Codice di Deontologia professionale che, all’articolo 17, afferma: “Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte”, osserva Gandolfini. Anche il concetto di patologia “irreversibile” è molto ambiguo, in quanto potrebbe includere malattie croniche come il “diabete”, che, in genere, non portano alla morte immediata. “La vita va sempre accompagnata con delicatezza, fermezza, impegno, professionalità”, sottolinea Boscia, riaffermando la necessità di una piena applicazione delle cure palliative e di una riscoperta del rapporto medico-paziente. Da parte sua, Bova pone in luce la dimensione “relazionale” che si instaura in tutti i rapporti umani, fin dall’“utero materno” e che pone un solido argine alla diffusione di una mentalità eutanasica.

Nel concludere il convegno, la presidente del Movimento per la Vita, Marina Casini, indica una serie di obiettivi che il sistema sanitario nazionale dovrebbe porsi per rilanciare una vera cultura della vita: “Ristabilire un’alleanza terapeutica, visitare a domicilio, supportare chi ha bisogno, alleggerire la burocrazia”.