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FRANCIA/IL CASO COCQ

Eutanasia in diretta Facebook, un copione già scritto

Il caso di Alain Cocq, l'uomo francese immobilizzato a letto che non potendo ottenere l'eutanasia legalmente ha dichiarato di volersi lasciare morire in diretta Facebook, rispetta un canovaccio ben collaudato nelle battaglie ideologiche. Cocq è un militante pro-death ed è da ben 30 anni che lotta per ottenere l'eutanasia e ora rendere più permissiva la legge francese.  La sua vicenda non è dunque solo un caso di eutanasia, ma anche e soprattutto l’esecuzione di un protocollo di carattere culturale-operativo ben studiato e ben preparato al fine di raggiungere alcuni precisi obiettivi.

Vita e bioetica 07_09_2020
Alain Cocq

Storia di una nouvelle euthanasie. Alain Cocq, residente a Digione, è da anni affetto da una grave patologia assai rara che lo ha ormai immobilizzato a letto da tempo. Ora ha deciso che vuole staccare la spina. Questo suo ferale desiderio però non potrà essere soddisfatto secondo i termini di legge. Infatti la normativa Claeys-Leonetti del 2016 permette «una sedazione profonda e continua fino alla morte» ma solo se ricorrono alcuni requisiti tra cui la presenza di una patologia incurabile – e il quadro clinico di Cocq potrebbe soddisfare questo requisito – e l’imminenza della morte, requisito assente nel caso del nostro 57enne. Tra parentesi: da noi Cocq avrebbe già trovato la morte grazie all’applicazione della legge 219/17. Non potendo essere ucciso legalmente, allora Cocq ricorrerà al fai da te: si lascerà morire di fame e di sete.  

Alain Cocq è un militante pro-death. Simbolo dell’Association pour le droit de mourir dans la dignité, nel 1993 si è recato in carrozzina presso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo e ha girato in lungo e in largo la Francia per tentare di rendere ancor più permissiva la legge francese sul fine vita. In breve ha usato il suo caso pietoso come arma per incrementare gli accessi nelle camere mortuarie degli ospedali. Da qui la volontà di costruire un caso mediatico intorno alla sua persona.

Ecco allora la decisione di scrivere al presidente Emmanuel Macron affinché qualcuno potesse aiutarlo a chiudere gli occhi per sempre. Il presidente, con quella mestizia tipica di chi ha le mani legate, ha cinguettato: «Con emozione rispetto il suo approccio». Dal canto suo, Cocq ha preso la palla al balzo e da vero martire della causa eutanasica ha così commentato: «La mia condizione sta peggiorando sempre di più. Sono in una fase in cui non ho più vita». E ha aggiunto: «Voglio mostrare che in Francia non si può morire con dignità». E come vorrà mostrarlo? Mostrandosi su Facebook e trasmettendo in diretta la sua lenta agonia finché non sopraggiungerà la morte per inedia. Agli esperti la risposta al quesito se ciò sia legalmente permesso.

A noi invece preme sottolineare come la vicenda di Cocq rispetti un canovaccio ormai consolidato nelle battaglie ideologiche. In primo luogo abbiamo sempre una legge che permette di praticare l’eutanasia, l’aborto, di accedere alla fecondazione artificiale e alla maternità surrogata, di sperimentare sugli embrioni, di divorziare, di contrarre “nozze” gay, di “cambiare” sesso, di zittire chi difende la verità. Norme quindi che legittimano il male, ma non in modo assoluto. In queste leggi infatti sopravvivono alcuni vincoli di carattere giuridico, tenue vestigia di un tempo che fu in cui tutto queste condotte erano vietate. Da qui la volontà di alcuni di eliminare questi paletti dipingendo la legge – ingiusta alla luce del diritto naturale – come ingiusta alla luce dei diritti civili. Una cattiva legge perché non abbastanza cattiva.

La strategia a questo punto prevede il concorso dei giudici per permettere ciò che la legge non vuole permettere, perché le norme comandano e vietano fintantoché i magistrati non decidono il contrario. Se invece i giudici nicchiano occorre presentarsi all’opinione pubblica come vittime dell’ordinamento giuridico, martiri del sistema legislativo (paradigmatico il caso Cappato/Dj Fabo) i quali arrivano al punto di essere costretti a dare la propria vita (vedi il caso Cocq) o di rischiare la propria libertà (vedi il caso Cappato) pur di far trionfare la causa.

Il passo successivo è quello di porre in essere proprio la condotta vietata dalla legge (ad esempio il suicidio assistito) o in terra straniera o in terra natia. In entrambi i casi il reo non verrà mai perseguito perché, nel sentito popolare e in quello giurisprudenziale, ad essere iniqua non sarà la scelta del poveretto che ad esempio vorrà togliersi la vita, bensì la legge che, come già accennato, a causa delle sue lacune è ingiusta, malvagia e disumana.

A questo punto l’illecito de facto magicamente genera una condotta legittima de iure, nel senso che il caso umano diventa strumentale per orientare ideologicamente le coscienze dei politici e rendere ancor più lassista una legge che, in quanto a male morale, già largheggiava abbondantemente in precedenza.  Ecco ad esempio spiegata la spettacolarizzazione delle morte in diretta sui social, cassa di risonanza necessaria per farsi udire sin nelle aule parlamentari.

La vicenda Cocq, quindi, non è solo un caso di eutanasia, ma è anche e soprattutto l’esecuzione di un protocollo di carattere culturale-operativo ben studiato e ben preparato al fine di raggiungere alcuni precisi obiettivi.