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MORTE ON DEMAND

Eutanasia di pazienti sani, in Belgio è dilagante

La "dolce morte" in Belgio viene sempre più richiesta. I casi di abuso, che parevano tragiche eccezioni, adesso stanno diventando la norma. Rispetto all'anno precedente, nel 2019 si contava un 12,6% di casi di eutanasia in più. Almeno un paziente su cinque non era in punto di morte. Gli abusi, eutanasia di pazienti sani, restano impuniti

Vita e bioetica 07_03_2020
Eutanasia

I tifosi dell’eutanasia in Belgio possono dormire sonni tranquilli: la «dolce morte» resta molto popolare e richiesta. Sì, perché alcuni temevano che così non fosse dopo che erano venuti a galla casi sconvolgenti come quello di Tine Nys, la donna di 38 anni a cui nel 2010 venne diagnosticato un finto autismo pur di autorizzare la morte che lei, perfettamente sana, aveva chiesto dopo essersi lasciata con il fidanzato. Il processo ai tre medici che seguirono la pratica Nys era iniziato a metà gennaio ed è terminato con l’assoluzione; ciò nonostante, c’era chi pensava che, dinnanzi a simili abusi, la tendenza mortifera nel Paese potesse arrestarsi. Non è così, purtroppo.

Nel 2019 la commissione belga per l'eutanasia ha difatti conteggiato, rispetto all’anno precedente, ben il 12,6% di casi di eutanasia in più, per un totale di 2.655 episodi. Un numero che conferma una crescita esponenziale dato che i primi 235 casi di «dolce morte» del 2003 erano lievitati ad oltre 1.000 già nel 2011, in meno di dieci anni, per poi salire fino a 2.350 e passa del 2018. La commissione preposta pubblicherà più avanti i dati completi sul 2019, ma per il momento, in aggiunta al numero totale di casi di eutanasia, ci è dato conoscere le informazioni generali del fenomeno.

Sappiamo, cioè, che il 52% di chi ha richiesto e ottenuto - dato che su 2.655 casi non risulta alcuna opposizione medica – la propria morte era di genere femminile, e solo il 67,8% superava i 70 anni di età. Al punto che il 17%, quasi uno su cinque, di quanti hanno ottenuto la «dolce morte» aveva ancora mesi o addirittura anni di vita davanti a sé. Uno scenario, questo, che fa pensare che il quadro mortifero non possa che continuare a peggiorare.

Ne è per esempio convinto il dottor Patrik Vankrunkelsven, medico componente di un forum informativo eutanasico, secondo cui oggi in Belgio il decesso on demand è qualcosa di «ampiamente supportato e accettato». L’acclarata impunità degli abusi sanitari fa poi ritenere a Vankrunkelsven che, di qui in avanti, le richieste di morte prive di requisiti saranno sempre più tollerate. Il caso Nys, insomma, farà scuola. E pensare che non è il solo episodio che, in un mondo normale, avrebbe dovuto suscitare orrore, facendo aprire gli occhi alle persone.

Basti pensare, sempre restando al Belgio, a quanto accaduto a Godelieva De Troyer, uccisa nell’aprile 2012, a 65 anni, dal dottor Wim Distelmans solamente perché depressa e senza neppure che i figli della donna ne fossero informati. Il bello, si fa per dire, è che quello stesso dottor Distelmans è oggi il responsabile della commissione belga chiamata a relazionare sui casi di eutanasia. Sarebbe come, da noi, affidare ad Emma Bonino la stesura delle relazioni sull’applicazione della legge 194 o a Marco Cappato il monitoraggio nazionale di casi di fine vita. Una follia, evidentemente, alla luce della quale le cose, in Belgio, non potranno che aggravarsi.

Del resto, gli abusi sul versante della «dolce morte», da quelle parti, hanno smesso di fare notizia già da qualche anno. A chi pensasse che si possa trattare di abusi rari ricordiamo infatti che uno studio pubblicato nel marzo 2015 su The New England Journal of Medicine, basato sui dati del 2013, aveva messo in evidenza come solo quell’anno più di 1.000 persone fossero decedute con procedure di morte assistita mai espressamente richieste in precedenza.

Tutto è insomma lì a dimostrare, anzi a ricordare dato che c’è chi lo segnala da anni, che una volta che l’eutanasia viene legalizzata non si chiude affatto una questione, anzi: la si apre. Con il risultato che, nel giro di poco tempo, perfino gli abusi più incredibili – come i ricordati casi Nys e De Troyer – smettono di scuotere le coscienze, ridisegnando in modo preoccupante, nell’opinione pubblica, il concetto di normalità. Quando cioè manca qualcuno che denunci il male, esso inevitabilmente dilaga: il sonno dei pro life genera mostri.