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LA LECTIO DI GRYGIEL/3

Europa salva se uscirà dalla caverna delle opinioni

L'ultima parte della lectio magistralis di Grygiel alla Giornata della Dottrina sociale: "Il Principe nega le due differenze che non gli permettono di pensare l’uomo come egli vorrebbe e di formarlo secondo le proprie opinioni: la differenza ontologica che unisce l’uomo con il Creatore e la differenza sessuale. Ecco perché per salvarsi l'uomo europeo deve uscire dalla caverna delle opinioni, come disse Platone". 

Documenti 18_04_2019

La terza e ultima parte della lectio magistralis del professor Stanislaw Grygiel pronunciata a Milano il 6 aprile in occasione della II Giornata della Dottrina sociale promossa da Nuova BQ e Osservatorio Van Thuan. Le altre due puntate sono QUI e QUI

Il Principe il cui potere è limitato dalla libertà che si manifesta e si realizza nell’appartenenza delle persone l’una all’altra, impone alla società l’uguaglianza che cancella tutte le differenze tra gli uomini, ad eccezione di quelle determinate dai calcoli matematici. Prima di tutto egli nega le due differenze che non gli permettono di pensare l’uomo come egli vorrebbe e di formarlo secondo le proprie “principesche” opinioni. L’una di queste è la differenza ontologica che divide e allo stesso tempo unisce l’uomo con il Creatore, l’altra è la differenza sessuale che anche divide e allo stesso tempo unisce l’uomo con la donna in modo che l’uomo conosca chi egli sia guardando se stesso alla luce della donna - e così la donna alla luce dell’uomo. Il loro comune guardare al cielo ritrova la via che conduce all’ultima, Divina, risposta alla domanda di entrambi: “Chi sono?”.

La negazione di queste due differenze dà mano libera al Principe della modernità nell’imporre agli uomini le identità costruite dai numeri che si trovano nel suo cogito-volo. Il Principe non sa e non vuole sapere che l’uomo è simbolo dell’Uomo[1], cioè che l’uomo è simbolo dell’Alterità nella quale trova la casa familiare che lo definisce e con la quale egli si presenta agli altri. L’uomo porta l’Alterità davanti a sé, come sul palcoscenico l’antico attore portava sul volto una maschera (persona) che rappresentava il personaggio da lui interpretato. La conformità all’Alterità-Persona rende l’uomo dignità, cioè qualcuno che nel continuo conformarsi a questa Alterità ne riceve l’identità personale senza prezzo. Sono le nozze dell’uomo con l’Alterità Divina, che gli porta un nuovo cognome – l’inestimabile dignità.

La lingua latina indica la dignità con la parola dignitas, che proviene dal verbo digno(r), dignare(i), dignatum, riconoscere valore, rispettare. Nel medioevo la parola dignitas significava la persona, cosa che è rimasta fino ad oggi nel Prefatio latino della Messa, come anche la premessa dei ragionamenti. La Dignitas che è la Persona del Dio-uomo costituisce la Prima Premessa, grazie alla quale possiamo pensare sensatamente “l’universo e la storia”. Laddove invece si pensa appoggiandosi su altre premesse, si estende la indignitas, vale a dire l’impudenza ideologizzata e la licenza morale vilmente servile.

La mancanza della dignità fa sì che il Principe delle effimere opinioni non abbia più la forza interiore grazie alla quale sarebbe in grado di dire in pubblico ciò che disse Pericle nel rendere omaggio ai caduti nel primo anno della guerra del Peloponneso, che avevano tramandato ai figli i valori più grandi della vita stessa: “Senza alcuna costrizione nella vita privata, nei rapporti pubblici non trasgrediamo la legge, soprattutto per reverenza verso di essa: ubbidendo ai magistrati in carica e alle diverse leggi: specialmente a quante proteggono gli offesi e a quante, senza essere scritte, recano come universale sanzione il disonore. /…/ Amiamo il bello, ma senza sfarzo; né la cultura c’infiacchisce. La ricchezza è per noi stimolo di attività, non motivo di superbia loquace. E quanto alle ristrettezze della povertà, non il confessarle è umiliante presso di noi, ma piuttosto il non saperle superare lavorando. /…/ Riponete la felicità nella libertà, la libertà nel magnanimo coraggio, e non vi avviliscano i rischi della guerra”[2]. Con la sua impudente paura il Principe delle effimere opinioni contagia la società, sì che anche lei cessa di conquistare e di difendere la libertà contro i nemici fino a dare la vita per essa.

Il Principe del moderno nihilismo e della moderna paura trae origine da Callicle che, dopo aver separato le leggi della natura dalla natura dell’uomo[3], aveva rigettato i valori immutabili, non riconoscendo come bene comune che il benessere. Per tali politici, disse Socrate, i cittadini sono come pivieri ai quali devono essere date in cibo cose piacevoli. Tali politici si danno cura di ciò, che “se molto si versa, sia molto anche quello che se ne va, e che piuttosto grandi siano i fori per lo scolo”[4]. Il loro “populismo” che dà via libera alle voglie delle masse, fa “opposizione”[5] agli amici della saggezza che ritengono come loro primo compito “darsi da fare perché le anime dei cittadini diventino quanto è possibile migliori” e non invece perché aumentino i loro piaceri[6].

Gli amanti del potere che serve i loro interessi privati e le loro opinioni pensano che il governare lo Stato non sia necessità e compito, ma un elevarsi sulla massa. La loro sete di potere porta disgrazie e calamità per lo Stato[7]. Occorre allora, ammonisce Platone, che lo Stato sia governato da uomini giusti, amici della saggezza, e non invece “figli bastardi”. Sfortunatamente la stupidità, immemore della verità alla quale l’uomo appartiene, fa sì che gli uomini in quanto tali e in quanto cittadini “non si accorgono di avere a che fare in qualsiasi circostanza con persone zoppe e bastarde, nel primo caso amici, nel secondo governanti”[8].

L’uomo di Stato, cioè l’amante della saggezza, che non ha paura della morte, lotta con i cittadini, mirando “al meglio e non a ciò che è più piacevole”. Sono sue le parole di Socrate: “Credo di essere uno dei pochi Ateniesi, per non dire il solo, che tenti la vera arte politica, l’unico fra i contemporanei che la eserciti”[9].

L’uomo di Stato non si sottomette al totalitarismo della democrazia dei servili valletti che, conformemente alle procedure democratiche, possono fargli persino ciò che hanno fatto a Socrate. Egli riforma “le raccolte di numeri e di istituzioni”, ma si preoccupa molto di più della rinascita delle comunioni delle persone, come il matrimonio, la famiglia, la nazione e, last but not least, la Chiesa. L’uomo di Stato né si vergogna né ha paura di dire che l’Europa rinascerà “in Spirito e verità” (Gv 4, 23-24) oppure cesserà di essere Europa, cesserà di essere dimora della cultura nella quale si vedono e si leggono le Dieci Parole della Verità (Decalogo) incise nel cuore di ogni uomo e nella quale si sta in ascolto della voce che risuona nella venerazione ateniese del “Dio ignoto” (Ap 17, 23), nella profezia giudaica e anche nell’affidamento dell’uomo alla Persona che è “centro dell’universo e della storia”. Se cessa di essere dimora di cultura per le persone, l’Europa si trasformerà in un pascolo di civiltà tecnica per del bestiame.

L’uomo che ritorna al Principio “non è più semplicemente un civis, un cittadino dotato di privilegi da consumarsi nell’ozio; non è più un miles, combattivo servitore del potere di turno; soprattutto non è più un servus, merce di scambio priva di libertà, destinata unicamente al lavoro e alla fatica”[10]. È nell’uomo che diventa domanda fondamentale sulla verità e la cerca, che l’Europa s’integra e rinasce[11].

Parlo di qualcosa d’infinitamente più grande della cosiddetta Unione Europea. Questa non è che una fra le altre organizzazioni “di numeri e d’istituzioni” in Europa. L’Europa  è un evento spirituale.

Parlo dell’ideale dell’Europa, ideale che la trascende e in cui quelli che in essa dimorano devono crescere. Ricordo la risposta data da Platone all’accusa di parlare dello Stato ideale che “non si trova in nessuna parte al mondo”: “Ma forse se ne erge un modello su in cielo, per chi vuole vederlo e fondare se stesso su questa visione”[12].

“L’ideale /…/ non discenderà al popolo
Che non vuole o non può tendere le mani ad esso
/…/
Te lo dirò, in verità: i destini delle nazioni
E le vicende dell’umanità, e il mondo, e il cielo,
E il sole, e i cori delle stelle, e il nucleo del minerale,
E lo spirito!...
…Tutto – riceve la vita dall’Ideale”
[13]

Diventa Europeo colui che, guardando il cielo della verità bella e del bene bello, pone la domanda sulla Prima Premessa del pensare dell’“universo e della storia”, Premessa che dà forma alla sua vita. La dignità dell’Europeo, essendo in lui “immagine e somiglianza” della Prima Premessa, lo conduce fuori della caverna di Platone, dove gli schiavi delle opinioni non sono che frammenti numerati della organizzazione globale “di numeri e d’istituzioni”. Lo conduce verso la democrazia regale delle persone. Nessuna riforma salverà l’Europa. È l’Unione Europea che occorre riformare per renderla più europea. L’Europa - la comunione delle persone che la costituisce - verrà salvata dagli Europei che rinasceranno “in Spirito e in verità” (Gv 4, 23-24), cioè da quelli che desiderano essere perfetti come perfetto è il loro Padre celeste (cfr. Mt 5, 48) e come perfetta è la Santissima Trinità dell’Amore del Padre e del Figlio.

FINE - 3


[1] Cfr. Platone, “Simposio”, 191 d.
[2] Tucidide, “La guerra del Peloponneso”, libro II, 37, 40, 43.
[3] Cfr. Platone, “Gorgia”, 483 a-e, 484a-e, 492 a-d.
[4] Platone, “Gorgia”, 494 b.
[5] Platone, “Gorgia”, 513 c.
[6] Platone, “Gorgia”, 503 a.
[7] Cfr. Platone, “Repubblica”, 520, d, 521 b,
[8] Platone, “Repubblica”, 535, c, 536, a.
[9] Platone, “Gorgia”, 521 d. Cfr. anche Platone, “Apologia di Socrate”, 23 c, 30 a, 31 b.
[10] Papa Francesco, cfr. la nota 8.
[11] Cfr. Stanisław Grygiel, „Religia jako czynnik integracji społeczeństwa”, in: „W kręgu wiary i kultury”, Warszawa 1990, s. 71-93.
[12] Platone, “Repubblica”, 592 a-b.
[13] C. K. Norwid, “W pracowni Guyskiego”, in. „Pisma wszystkie”, II, Warszawa 1971, p.194.