Euro-islam, è la demografia a condannarci
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Gli episodi di Torino e Treviso indicano un fenomeno di islamizzazione che sta prima di tutto nei numeri, vista la forte immigrazione e il crollo demografico europeo. A questo si aggiunge una secolarizzazione radicale che prelude al crollo della nostra civiltà.
Il sermone tenuto dall’imam musulmano nell’Università di Torino occupata da studenti anti-israeliani e l’esenzione dalle lezioni di letteratura italiana concessa da una scuola di Treviso a studenti che si sentivano “offesi” dalla Divina Commedia di Dante sono soltanto gli ultimi tra gli innumerevoli, costanti episodi di sudditanza culturale e psicologica delle istituzioni culturali e formative italiane verso pretese, incompatibili con i principi fondanti della società liberale occidentale, provenienti da segmenti delle minoranze islamiche presenti nel nostro paese.
È fin troppo facile, ogni volta che si verifica una circostanza del genere, condannare l’indulgenza dilagante - in ossequio all’ideologia “diversitaria”, al politically correct e al senso di colpa occidentale verso qualsiasi cultura identificata come “vittima” di chissà quali discriminazioni – nei confronti di atteggiamenti, idee, prese di posizione, costumi, atti che sarebbero inflessibilmente condannati se i loro autori fossero connazionali autoctoni, o comunque non membri delle minoranze dichiarate a prescindere “giuste”.
È fin troppo facile additare i due pesi e le due misure adottati dalla cultura mainstream progressista rispetto al rapporto tra religione e vita civile: aggressiva e petulante intransigenza laicista contro ogni pretesa invasione “clericale” del cattolicesimo, e all’inverso “tappeto rosso” a riti, culti, interdizioni islamiche in ogni sede (per sintetizzare: presepe no, vacanze per il Ramadan sì).
È fin troppo facile, infine, persino imbarazzante, evidenziare come la irrefrenabile pulsione alla “sottomissione” houellebecquiana del progressismo italiano (e occidentale) all’islam raggiunga vette di nonsense e di corto circuito logico quando, come abbiamo visto negli ultimi mesi nelle dimostrazioni “pro-pal” negli atenei e fuori, le frange della sinistra più woke, “transfemministe” e pro-Lgbt+, convergono con la piattaforma di movimenti fondamentalisti islamici che professano le visioni più “patriarcali” e oscurantiste sui diritti delle donne e delle minoranze “di genere”, e che dovunque ne abbiano il potere praticano nei confronti di entrambe oppressione e violenza brutale.
E tuttavia, in coloro che esprimono l’una o l’altra di queste fondate considerazioni si nota spesso una certa dose di confusione o velleitarismo in merito alle risposte che sarebbe opportuno dare ai fenomeni in oggetto. In particolare, affiora spesso in commenti comprensibilmente amareggiati e scandalizzati l’accorata richiesta alle istituzioni statuali di riaffermare la vigenza dei principi costituzionali e la parità di condizione di tutti i cittadini imponendo alla minoranza musulmana il rispetto di esse, e alle agenzie più cedevoli alle loro richieste di tornare nei ranghi del diritto vigente.
Ma tali appelli, per condivisibili che siano in linea di principio, denotano una mancanza di chiarezza di fondo sul punto effettivo della questione in gioco, e una fiducia ingenua nella possibilità di ricondurre i conflitti che si manifestano nella convivenza in una società multiculturale all’interno di uno schema interculturale di astratta equivalenza tra diversi valori all’interno di ordinamenti fondati sul predominio della laicità, sul modello francese post-rivoluzionario. O, all’inverso, rivelano una altrettanto ingenua fiducia nella capacità della civiltà occidentale di affermare la priorità delle sue radici profonde rispetto a gruppi – come quelli fondamentalisti islamici – che le negano e contraddicono.
La realtà effettuale nella quale ci troviamo, sfortunatamente, è molto diversa da entrambe quelle mozioni astratte. Essa, infatti, ci dice che la crescente arrendevolezza della nostra società – e delle altre società europee – all’influenza dell’islam, nella sua forma più radicale, consegue innanzitutto da un mero fattore quantitativo: la percentuale di immigrati musulmani nelle popolazioni del vecchio continente va aumentando, e corrispondentemente aumenta la loro rilevanza sociale, culturale e politica.
Il drammatico crollo del tasso di fertilità in Europa, e dall’altro lato il continuo afflusso degli immigrati extraeuropei nel continente - tra cui quelli da paesi a maggioranza islamica gioca un ruolo preminente - nonché la maggiore propensione di questi ultimi a generare prole, faranno inevitabilmente sì, a meno di una clamorosa inversione di tendenza, che entro pochi decenni le proporzioni tra residenti autoctoni ed eteroctoni si rovescino, facendo diventare realtà lo scenario dell’”Eurabia” (o sarebbe meglio dire “Euro-islam”) prefigurato più di un ventennio fa da Oriana Fallaci. Alcuni studi di demografia ipotizzano che entro la fine del secolo la maggioranza degli abitanti del continente sarà di religione musulmana.
In certi paesi e aree metropolitane quello scenario è già molto vicino a realizzarsi oggi, e si riflette nel peso sempre meno aggirabile dell’opinione dei settori islamici di società, formati dagli immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza, e dalla pressione fisicamente evidente da parte degli altri. È la legge della democrazia, e prima ancora quella dei numeri e del gioco di forze, a imporre un condizionamento rilevante, sia su temi di politica estera (si vedano le posizioni quanto meno caute dei governi britannico e francese, per non dire di altri e per non dire di peggio, sull’attuale conflitto tra Israele e Hamas) che su temi culturali (simboli religiosi, festività, programmi e indirizzi di studio nel sistema formativo).
A tale scenario, già di per sé eloquente, si aggiunge il fatto che la popolazione europea autoctona sta abbandonando a ritmi sempre più accelerati l’adesione alla fede cristiana che ne fonda la civiltà e dalla quale originano i principi di diritto e dignità dell’uomo contenuti negli ordinamenti liberali e democratici: sprofondando in un indistinto relativismo post-cristiano sensibile a ogni suggestione para-religiosa neo-pagana sostitutiva, e incapace di reggere il confronto con la compattezza dell’islam. Nessuna civiltà sopravvive senza un fondamento etico-religioso comunemente condiviso. La forza aggregativa delle comunità aborrisce il vuoto, e la secolarizzazione radicale non può che essere uno stadio transitorio tra il ripiegamento di una civiltà su se stessa e il suo collasso, sostituita da un’altra.
Lo scenario di un’Europa progressivamente, inevitabilmente islamizzata – o al massimo divisa tra aree islamizzate e aree induiste, politeiste, confuciane – potrebbe essere scongiurato soltanto dalla convergenza fra tre fattori: un “risveglio” religioso cristiano di massa, comportante un recupero integrale del patrimonio culturale ed etico-politico dell’umanesimo cristiano; una imponente ripresa demografica tra le popolazioni autoctone; una severa regolamentazione dell’immigrazione indirizzata non solo a combattere inflessibilmente, senza pietismi, quella illegale, ma anche a favorire l’afflusso da paesi e comunità a maggioranza cristiana piuttosto che islamica o di altre religioni.
Ma allo stato attuale la probabilità della realizzazione di tutti e tre i fattori sembra molto poco realistica, e anzi si può prevedere facilmente che ogni eventuale tendenza in tal senso incontrerebbe inevitabilmente opposizioni scandalizzate in nome dell’”inclusione” senza se e senza ma, del relativismo, della secolarizzazione, dei “diritti” completamente scissi dal senso comunitario, del multiculturalismo diversitario.
A maggior ragione non sarà oggi qualche circolare ministeriale, qualche provvedimento governativo, qualche legge ad arrestare la marea montante dell’Euro-islam.
Nella foto: Il sindaco di Torino Lo Russo alla festa di fine Ramadan
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