Eugenio Capozzi. La guerra perpetua e le vie della pace
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Nel video della serie "La verità ci fa liberi", Eugenio Capozzi, docente di Storia Contemporanea all'università Suor Orsola Benincasa di Napoli, parla con noi del tema fondamentale della guerra e delle possibili vie della pace. Non solo Ucraina: è un dilemma che lacera l'uomo da sempre.
“La guerra non è mai la soluzione”: il professor Eugenio Capozzi, docente di Storia Contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, firma della Nuova Bussola Quotidiana, non intende deliziarci con una predica pacifista, ma riflettere sulle cause della guerra e sulle vie che l’uomo ha da sempre cercato per porvi fine. Premette che non si parlerà solo di Ucraina, che è il conflitto che, essendo in Europa e coinvolgendoci direttamente, attira l’attenzione più di tutti gli altri. Sono molteplici gli scontri ancora in corso e soprattutto la guerra è una dimensione della vita dell’uomo che finora nessuno è mai riuscito ad eliminare.
Il modo più antico per porre fine alla guerra è l’Impero. Un’unica autorità, che è sia politica che religiosa, controlla il territorio più vasto possibile e al suo interno crea le condizioni per l’ordine, come la pax romana nei primi secoli. Il contraltare dell’Impero è la Repubblica, in cui un popolo si autogoverna in un territorio anche molto piccolo. Il problema dei territori piccoli è la possibilità che possano combattersi e dunque moltiplicare i conflitti. Il mondo, sin dall’antichità, è stato dunque contraddistinto da questa tensione fra l’ordine (dell’Impero) e la libertà (delle Repubbliche).
Nel Medio Evo si giunse, in Europa, ad una soluzione di compromesso, ad un equilibrio fra l’ordine del Sacro Romano Impero e la libertà delle molteplici entità territoriali autonome e le corporazioni che lo componevano. Lo sconvolgimento di questo equilibrio già precario, semmai, inizia con la modernità e con la comparsa dello Stato moderno, monopolista della violenza e sovrano. “Lo Stato moderno non riconosce alcuna autorità superiore e fa dell’affermazione della sua potenza il suo scopo supremo”. Dunque lo Stato diventa uno scopo fine a se stesso “come individui nello stato di natura”, come ebbe a dire Immanuel Kant. Dalle grandi rivoluzioni del 1776 in America e del 1789 in Francia si iniziò a porre il problema di come mettere assieme gli Stati, per giungere a un nuovo ordine di pace. E la risposta fu in soluzioni federali o confederali, il cui primo esempio è la fallimentare Società delle Nazioni nata dopo la Prima Guerra Mondiale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale questo tentativo è rappresentato dall’Onu, soprattutto.
La pace fra le nazioni, tuttavia, nel corso di tutta la Guerra Fredda si è mantenuta, non grazie all’Onu, ma soprattutto a causa dell’equilibrio del terrore: la minaccia reciproca di distruzione nucleare fra Usa e Urss. “Contrapposta all’equilibrio del terrore c’è di fatto solo la dottrina dei diritti naturali. E l’unica entità morale che la enuncia in modo organico è la Chiesa Cattolica, con un’idea di pace che non è mera assenza di guerra, ma una condizione di convivenza fra uomini in cui viene rispettata la dignità degli individui e dei popoli, in cui si afferma la difesa dei beni delle persone e si sviluppa una libera comunicazione fra popoli. Questa idea della pace ha il suo contraltare nella dottrina della guerra giusta”. Che può esserlo “se è difensiva, se la forza impiegata è commisurata al mantenimento della sicurezza, se viene attuata nell’aspettativa che vi siano altri strumenti migliori per assicurare gli stessi obiettivi”.
Durante la Guerra Fredda questi principi non sono stati presi in considerazione. E nel mondo globalizzato dopo la Guerra Fredda, “è andato ancora peggio”. Mentre sono “emersi non solo conflitti ideologici, ma anche etnici, religiosi, culturali e di civiltà come li ha chiamati Samuel Huntington”. Conflitti che erano rimasti congelati nella contrapposizione fra Est ed Ovest e che, a partire dalla guerra in Jugoslavia sono scoppiati improvvisamente. Più si cerca di governarli, “più ci si accorge che ad ogni toppa che si mette si aprono nuove lacerazioni”.
In concreto come si può arrivare alla pace nei nuovi conflitti di civiltà? La guerra in Jugoslavia è il tipico esempio in cui popolazioni che temono di essere sterminate, scatenano preventivamente pulizie etniche e danno adito a vendette. La soluzione per Capozzi, è quella di creare un clima di sicurezza reciproca fra popolazioni differenti sotto un comune quadro istituzionale riconosciuto, come Alcide De Gasperi (forte del suo passato austro-ungarico e della sua origine trentina) fece con l’Alto Adige. La concessione dell’autonomia, il federalismo, sono le soluzioni più stabili. Altrimenti l’unità fra culture differenti è garantita solo dalla comune adesione ad un unico principio ideologico. Ma quando questo viene meno, scoppia il conflitto. Con la fine dei regimi totalitari comunisti nell’Est Europa si sono aperti una serie di conflitti simili a quelli jugoslavi, perché tutto il territorio, per motivi storici, è un mosaico di etnie e religioni differenti.
L’Europa democratica non ha gli strumenti adatti per risolvere questi conflitti, si limita alla difesa delle vittime “del momento”, identificando un unico aggressore che funge da capro espiatorio, come la Serbia nel caso della ex Jugoslavia. Una soluzione di lungo termine invece consisterebbe nel “permettere alle minoranze di non sentirsi emarginate e impedire loro di diventare a loro volta persecutrici”.
Anche l’Ucraina è uno dei frutti di una storia dei continui scontri di etnie nell’Europa orientale. E ormai il conflitto è andato fuori controllo: “Da una parte la Russia si gioca la carta imperialista: invadere l’Ucraina per assicurare di essere ancora potente e vendicare quella che percepisce come l’umiliazione subita nella Guerra Fredda. Dall’altra parte si identifica nella Russia semplicemente l’aggressore, senza vedere il problema della convivenza dei gruppi etnici. E si finisce per recitare ancora lo stesso copione della Guerra Fredda, in un’epoca in cui quella contrapposizione ideologica non esiste più”.
Nel Medio Oriente il conflitto fra Israele e Palestina è ancora peggiore e di più difficile soluzione, perché all’elemento nazionale si è ormai sostituito quello religioso. “Lo scontro di civiltà è ingovernabile con i metodi della diplomazia di tradizione europea. Non c’è riconoscimento della dignità stessa dell’avversario. C’è un muro religioso: questa è terra santa mia contro terra santa tua, siamo noi contro voi, una religione monoteista contro l’altra”. Il conflitto mediorientale è un monito per tutti, perché rappresenta l’estrema conseguenza dei conflitti etnici, nazionali e culturali, è il “dove potremmo andare a finire” anche noi.
Il rischio per il futuro è un conflitto con la Cina, unica potenza che potrà contrapporsi agli Stati Uniti in una guerra globale. Per Capozzi, noi stiamo commettendo l’errore di sopravvalutare ancora noi stessi. Non ci siamo ancora accorti che “viviamo ormai in un mondo post-occidentale”, in cui i Paesi del Sud globale stanno iniziando a fare causa comune con la Cina e su cui noi esercitiamo sempre meno influenza. Un mondo in cui anche una democrazia, come l’India, il Paese più popoloso della terra, sta facendo blocco a sé. Il rischio vero, più che la contrapposizione con la Cina in sé, è che l’Occidente “isoli se stesso”.