Eterologa, dove arriva la legge
La sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale, che ha introdotto la fecondazione artificiale, non ha abolito l'intera legge 40. Restano dei limiti importanti che è bene conoscere, ma la sentenza lascia anche spazio al governo o al parlamento per ulteriori precisazioni. Si può intervenire con regolamenti o con leggi: ecco pro e contro di ogni scelta.
A scanso di equivoci. La sentenza della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa – la n. 162 del 9 aprile 2014 – contiene delle affermazioni di principio culturalmente inaccettabili e giuridicamente discutibili. Su questa testata ho dedicato qualche parola a questi profili sia quando è stato reso noto il dispositivo, sia quando è stato possibile leggerne le motivazioni: contenuti sui quali nei giorni scorsi, sempre su La Nuova Bussola Quotidiana, mons. Giampaolo Crepaldi è intervenuto magistralmente (clicca qui).
Le riflessioni che seguono danno per scontata la critica ai passaggi-chiave della decisione; ma, prendendo atto degli effetti che essa ha prodotto, pongono la questione del che cosa può accadere ora, alla stregua dei limiti e delle indicazioni di prospettiva comunque enunciati dalla Corte.
Il riferimento al § 73 della Evangelium Vitae, richiamato da mons. Crepaldi, ha senso se si individua il nuovo perimetro operativo descritto dalla Corte, e quindi se si confronta la situazione che ne deriva con i parametri del Magistero ecclesiale, e del fondamentale insegnamento di S. Giovanni Paolo II. Può darsi che quelle che seguono siano delle ovvietà, ma se l’ovvio si dà troppo per acquisito capita che affievolisca e se ne perdano le tracce. Eviterò di citare articoli e commi per non appesantire una materia già complicata: assicuro il lettore che ogni affermazione è fondata sulle disposizioni della legge 40/2004 e della sentenza 162/2014.
Allo scopo di capire che cosa può accadere, proverò ad affiancare le singole voci della sentenza 162 con gli intenti manifestati dal ministro della Salute Lorenzin, nelle risposte a interrogazioni parlamentari. Mi riferisco in particolare a quelle fornite in occasione delle question time del 2 luglio: nella circostanza il ministro ha informato della costituzione di un gruppo di lavoro chiamato entro questo mese a fornire un elenco di profili critici sui quali sarà necessario intervenire.
Punto di partenza è che la Consulta non ha abolito l’intera legge 40: non vi è la prateria priva di regole nel cui contesto prima del 2004 erano ammesse le pratiche più ardite; sono caduti dei paletti importanti: ma non tutti, e comunque non l’impianto della legge nel suo insieme. La prima conseguenza è che per effetto della sentenza 162 non rivivono in alcun modo le flebili e labili circolari che dal 1985 (quando l’on. Degan era ministro della Sanità) al 1997 hanno costituito la sola disciplina, di rango non legislativo, della PMA (Procreazione Medicalmente assistita) in Italia. Al contrario, disposizioni della legge 40 in vigore permettono, col rango della norma primaria, di ritenere operanti i seguenti limiti, tutti menzionati dalla Corte:
1. l’accesso alle tecniche di PMA, adesso anche eterologa, continua a interessare “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertili, entrambi viventi”. Ne restano esclusi i single, le coppie dello stesso sesso, i soggetti che hanno oltrepassato l’età “potenzialmente fertile”. D’altra parte, se la Consulta adopera l’analogia con l’adozione – a mio avviso infondatamente – per legittimare l’eterologa, a maggior ragione non può esservi un regime differente fra i due istituti quanto ai soggetti che possono accedere all’eterologa medesima; costoro, cioè, non possono fruire di confini molto più elastici rispetto a coloro che aspirano ad adottare un bambino. In materia il ministro Lorenzin ha indicato come necessaria la fissazione di una “fascia di età in cui si può donare” e la disciplina del consenso informato di coppie e donatore;
2. il ricorso alla PMA presuppone sempre una patologia che sia causa irreversibile di sterilità/infertilità. Il che vuol dire escludere tale ricorso quando la patologia non sia medicalmente documentata e quando sia superabile con cure adeguate; ma soprattutto vuol dire escluderlo quando l’obiettivo è la selezione genetica del figlio;
3. poiché gli articoli della legge 40 che contengono divieti e sanzioni e che non sono stati censurati di incostituzionalità si estendono alla tecnica eterologa, ciò vale, oltre che per i requisiti soggettivi e per la diagnosi relativa a una patologia in atto, anche quanto alla commercializzazione dei gameti e alla maternità surrogata. Ambedue queste condotte continuano a essere vietate e punite. Né, quanto all’attuazione, ha manifestato dubbi in proposito il ministro della Salute, evitando gli aggiramenti dei compensi mascherati da “rimborsi spese”;
4. i figli di una PMA eterologa “hanno lo status di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”. Ricorda la Consulta che l’eterologa è specie del genere fecondazione artificiale, sì che le regole fissate finora per quest’ultima, avendo presente solo la specie omologa, si estendono automaticamente alla seconda specie, per l’appunto l’eterologa: e questo vale pure per la presunzione di paternità;
5. non è ammissibile per la PMA eterologa l’azione di disconoscimento della paternità. La Corte fonda tale affermazione sul confronto fra le norme della legge 40 e quelle del codice civile sul riconoscimento e sul disconoscimento di paternità: l’affermazione non è di scarso rilievo;
6. circa le donazioni di gameti, ribadito che non possono essere remunerate, la Consulta non arriva a fissare il loro tetto numerico, e però rappresenta “l’esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto”, demandando l’individuazione della cifra a un aggiornamento delle Linee-guida da parte del ministro della Salute. Sul punto il ministro Lorenzin ha introdotto il tema della selezione dei donatori sani, in attuazione di una direttiva Ue sui test di tipo infettivo e genetico, indicando in questo uno dei profili applicativi della sentenza 162, e ha annunciato l’adeguamento delle Linee-guida, all’esito dei lavori del gruppo da lei istituito. Ha rilevato inoltre l’opportunità di “disciplinare il cosiddetto egg sharing”, cioè la donazione degli ovociti soprannumerari da parte delle donne che si sottopongono a PMA;
7. sul diritto alla identità genetica, e quindi alla conoscenza del donatore da parte del nato da eterologa, la Corte ha ricordato l’elasticità esistente nella materia delle adozioni o per il caso della madre che non intende essere nominata, immaginando una disciplina simile.
Quelli fin qui riassunti sono punti fermi ricavabili dalla sentenza 162. Il quesito da porsi, per completare la ricognizione del diritto positivo, è se sia necessaria una legge, ovvero se la pronuncia della Consulta può trovare immediata applicazione, con le precisazioni derivanti dall’aggiornamento delle Linee-guida.
Come si è visto, l’esigenza di scendere nel dettaglio attiene: a) al numero massimo consentito di donazioni (il ministro Lorenzin suggerisce da 5 a 10), b) a percorsi garantiti che permettano di non privare il nato da eterologa di una anamnesi completa, che includa l’identità del soggetto da cui viene il seme che lo generato, c) a scongiurare unioni artificiali fra gameti e ovuli di persone con legami di parentela (rischio evocato pure dal ministro Lorenzin), d) a una disciplina seria, non sommaria, del consenso informato di coppie e donatore, che ovviamente comprenda la proiezione sul “dopo”.
Se per rispondere a queste necessità si ritengono sufficienti i decreti ministeriali, o comunque degli atti amministrativi, il pericolo può venir fuori da una loro eventuale impugnazione al Tar; in quest’ottica, precisare con una legge i limiti rimasti indefiniti a seguito della sentenza 162 fornirebbe maggiori garanzie. E però, la scelta del percorso legislativo impone cautela: la Corte non ha censurato di incostituzionalità i sopravviventi confini della legge 40; non ha detto, però, che sono limiti insuperabili a seguito di ulteriori modifiche legislative. Ha solo affermato che disciplinare con legge la PMA risponde a una esigenza costituzionale, essendo in gioco principi tutelati dalla Costituzione, in primis il diritto alla salute: non ha “costituzionalizzato” le norme della legge 40 rimaste in vigore.
Nessuno può escludere che riaprire oggi in Parlamento la discussione sulla materia equivalga ad aprire il vaso di Pandora: e se, a seguito del confronto nelle Commissioni e in Aula, dovessero mutare i requisiti soggettivi per l’accesso alla PMA, permettendola ai single o alle persone dello stesso sesso o alle nonne? È il caso di ricordare che Camera e Senato sono quelle che hanno licenziato la pessima legge sulla droga e stanno approvando le disastrose riforme del divorzio e delle unioni civili.
L’approfondimento di ordine etico non potrà non tenere conto di queste condizioni di fatto e di diritto positivo.