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ASF

Esercito pan-africano, un miraggio che ci costa miliardi

L'Unione Africana, dal 2001, vuole dotarsi di una propria forza militare, da impiegare in missioni di peacekeeping e interventi umanitari in situazioni di crisi. Intento nobile, ma a carico dei contribuenti europei: oltre 1,1 miliardi già spesi o previsti. E l'esercito pan-africano non esiste ancora.

Esteri 22_10_2015
Forze dell'Unione Africana

Il 20 ottobre in Sudafrica, presso il centro di addestramento militare di Lohatla, sono iniziate le prime esercitazioni della African Standby Force, Asf, il nuovo esercito dell’Unione Africana. Fino al 5 novembre 5.000 soldati e agenti di polizia provenienti da tutto il continente simuleranno un intervento militare in un paese. L’operazione, chiamata Amani Africa Due (in lingua swahili “amani” vuol dire pace) ha lo scopo di verificare se, a partire dal prossimo gennaio, la forza internazionale sarà in grado di intervenire in caso di crisi e di intraprendere operazioni di peacekeeping.  

L’esercitazione avrebbe già dovuto svolgersi nel 2014 in Lesotho, ma è stato necessario rimandarla per l’insorgere di problemi di sicurezza nel paese, in seguito a un colpo di stato militare poi fallito. L’Asf era stato pensato fin dal 2001, anno in cui l’Unione Africana ha sostituito l’Organizzazione per l’unità africana. Mentre nell’Oua vigeva il principio di non interferenza negli affari degli stati membri, l’atto costitutivo attribuisce all’UA il diritto di intervenire anche militarmente, e senza esplicita richiesta, in uno stato membro in caso di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità. Di qui la necessità di un esercito continentale. Ma il percorso per realizzarlo è stato lungo. Prima, sempre nel 2001, è stata istituita la African Peace and Security Architecture, Apsa (Architettura per la pace e la sicurezza in Africa), corredata di strutture, organismi, protocolli, manifesti dei principi e dei valori fondanti, il tutto volto a prevenire, affrontare e risolvere crisi e conflitti e provvedere alla ricostruzione e allo sviluppo post bellici. Quindi l’Apsa è stata progressivamente dotata di cinque “pilastri” interconnessi: un Consiglio per la pace e la sicurezza, il cui protocollo è stato adottato nel 2002 ed è entrato in vigore nel 2003; un Sistema continentale di allarme rapido; un Comitato dei saggi; un Fondo per la pace e, infine, l’Asf, il braccio militare.     

L’esercito panafricano, agli ordini del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’UA, si compone di 25.000 unità suddivise in cinque brigate regionali – Africa del Nord, Orientale, Centrale, Australe e Occidentale – ma con un’unica base logistica a Duala, in Camerun, una decisione quest’ultima presa soltanto la scorsa settimana. I responsabili di ogni brigata hanno il compito di addestrare e tenere le rispettive truppe pronte all’azione in caso di necessità. La divisione regionale dovrebbe consentire, nelle intenzioni, interventi molto rapidi. Si è convenuto inoltre che ogni brigata agisca preferibilmente nell’ambito della propria regione o in paesi confinanti, al fine di garantire una buona conoscenza del contesto politico e culturale in cui il personale deve intervenire. 

Come è stato orgogliosamente ricordato il 19 ottobre, durante la cerimonia di apertura delle esercitazioni, l’Unione Africana ha voluto disporre di una propria forza forza militare anche per far sì che gli stati africani non dovessero più dipendere da paesi di altri continenti per la risoluzione dei loro conflitti. Ma è un desiderio molto costoso... a cui da oltre dieci anni provvedono in larga misura, con finanziamenti generosi e un notevole supporto tecnico, i donatori stranieri, in particolare l’Unione Europea che finora ha contribuito alla realizzazione dell’iniziativa con 1,1 miliardi di euro e ha già stanziato altri 750 milioni. “In questi anni dall’Europa i soldi non sono mancati – sostiene l’esperto di sicurezza tedesco Sebastian Grafe – caso mai a mancare è stata una discussione strategica su come usare al meglio il denaro”. 

Secondo un altro esperto di sicurezza, l’etiope Halleluja Lulie, l’Unione Africana intende chiedere ulteriori aiuti finanziari; lo scorso maggio ha annunciato di aver bisogno di almeno un miliardo di dollari per poter rendere l’Asf operativo: “la dipendenza dal denaro fornito dall’Unione Europea e dai suoi singoli stati membri è enorme – spiega Lulie – c’è molta preoccupazione a questo proposito. Da tempo la società civile e i mass media insistono perchè l’UA trovi il modo di finanziare le proprie attività”. 

L’Asf, che avrebbe dovuto essere attivo fin dal 2010, alla fine potrebbe rivelarsi un costosissimo sogno, realizzato ancora una volta con fondi internazionali, e per giunta di incerta utilità. Scettici e frustrati dalla lentezza estrema con cui sta prendendo forma, alcuni stati africani nel frattempo hanno creato meccanismi alternativi di risoluzione delle crisi come, per quel che riguarda l’Africa occidentale, la Forza africana di risposta immediata alle crisi, istituita nel 2013 e formata da truppe messe a disposizione da dieci paesi. Verrà sciolta se e quando l’Asf diventerà realmente operativo. Anche contro i jihadisti nigeriani Boko Haram è stata istituita nel 2014 una forza militare regionale con quartier generale a N’djamena, la capitale del Ciad: dispone di 8.700 militari e, oltre alla Nigeria, vede impegnati Ciad, Camerun, Niger e Benin, ma ancora non è entrata in funzione, per mancanza di fondi. Amisom, la missione di peacekeeping in Somalia affidata all’UA dalle Nazioni Unite,  da sola impiega oltre 22.000 tra personale militare e civile.