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STATO & spese

Esercito, l'Italia è un Paese per vecchi

I tagli promessi dal governo Monti
a un bilancio già magro colpiranno ammodernamento e introduzione
dei giovani. La novità sa di stantio.

Attualità 13_12_2011
Soldati italiani in Iraq

 

Se ne parla ormai da anni ma finora la politica non è mai riuscita a mettere in campo un programma di radicale ristrutturazione delle forze armate. Una riforma che imponga riduzioni degli organici (e degli sprechi) divenuta urgenti con il progressivo decrescere delle risorse finanziarie ma che neppure la pomposa  “Commissione di alta consulenza e studio per la ridefinizione complessiva del sistema di difesa e sicurezza nazionale” istituita dal ministro Ignazio La Russa nel 2009 ha mai partorito. Col governo tecnico molti nodi sono venuti al pettine: non solo perché al ministero della Difesa siede oggi l’ammiraglio Giampaolo Di Paola che per esperienza conosce benissimo tutti i meccanismi anche finanziari dell’apparato militare, ma anche perché gli ultimi tagli apportati dal governo Berlusconi (2,5 miliardi di euro nei prossimi due anni) avrebbero comunque reso inevitabile una immediata ristrutturazione del comparto.

Nella sua prima audizione parlamentare, Di Paola ha infatti dichiarato che l'attuale struttura della Difesa «ha un dimensionamento non più sostenibile». Una frase che seppellisce definitivamente l’attuale apparato militare basato su 190mila militari tra esercito, marina e aeronautica di fatto già abbandonato a causa delle difficoltà finanziarie fino a scendere agli attuali 178 mila effettivi.

Ancora troppi perché solo gli stipendi assorbono quasi il 70% del bilancio, 14,3 miliardi nel 2011 destinati a scendere a meno di 12 nel 2013. Standard virtuosi prevedono che il personale rappresenti un costo pari alla metà delle risorse mentre il restante 50% deve essere diviso tra esercizio (manutenzione, carburante, addestramento) e investimenti, cioè l’acquisizione di nuove armi, mezzi ed equipaggiamenti. Il bilancio italiano è invece fortemente sbilanciato, se perdonate il gioco di parole, e  quest’anno ha visto la suddivisione delle risorse con il 65,6 per cento al personale, appena il 10 per cento all’esercizio e il 24,2 agli investimenti.

Tenendo conto dei tagli imminenti che rappresentano quasi il 20% delle risorse disponibili il nuovo modello di Difesa dovrà attestarsi su 120/140mila militari per risultare sostenibile. Del resto non possiamo continuare ad avere più militari della Gran Bretagna che, pur tra i tagli voluti dal governo di David Cameron, spende per la Difesa il triplo dell’Italia. Quella ventilata è quindi una cura dimagrante necessaria in un Paese che investe nella Difesa meno dell’1% del Pil contro l’1,61 della Francia, l’1,28 della Germania e il 2,37 della Gran Bretagna. Con buona pace di Alex Zanotelli e della galassia dei movimenti pacifisti catto-comunisti, dati per dispersi durante la guerra in Libia e poi rianimatisi improvvisamente dopo la caduta del governo Berlusconi per chiedere a gran voce di cogliere al balzo la palla della crisi e tagliare le spese militari.

In realtà l’ammontare delle risorse destinate alla Difesa italiana è ben lontano, in termini reali, dai 27 miliardi citati dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che ogni anno realizza un annuario sulle spese militari nel mondo divenuto un po’ la bibbia dei pacifisti. Per chiarire questo aspetto esaminiamo gli stanziamenti complessivi a favore dell’apparato militare. Il bilancio della Difesa ha stanziato quest’anno 20,5 miliardi ma di questi 5,75 miliardi sono andati all’Arma dei Carabinieri che effettua per lo più compiti di sicurezza interna mentre altri 427 milioni sono stati assorbiti da funzioni interne e spese di ausiliaria, l’anacronistico trattamento che consente al personale da poco uscito dal servizio attivo di mantenere per 5 anni la pensione agganciata agli aumenti accordati a chi ancora veste l’uniforme. Di fatto alla voce “Funzione Difesa”, cioè alle forze armate, nel 2011 sono rimasti 14,3 miliardi e da questa voce verranno detratti quasi tutti i 2,5 miliardi di tagli previsti nel prossimo biennio colpendo essenzialmente le spese di gestione e l’acquisto di nuovi mezzi.

Extra bilancio sono poi disponibili 1,56 miliardi per le missioni all’estero già confermate dal governo Monti per il 2012 con una spesa di 1,4 miliardi già approvati dalla legge di stabilità. Infine il Ministero dello Sviluppo economico ha  stanziato quest’anno 2,25 miliardi per acquisire nuovi mezzi e velivoli ma questi stanziamenti probabilmente verranno ridotti o azzerati dal muovo esecutivo.

In questo contesto ridurre gli organici è quindi necessario per salvaguardare le capacità operative e l’efficienza stessa dello strumento militare ma al tempo stesso costoso. Impossibile prepensionare 40mila tra ufficiali e sottufficiali in esubero mentre anche la legge che consente di transitare volontariamente in altre amministrazioni dello Stato non sembra produrre grandi risultati. Così per ridurre progressivamente il personale in servizio le forze armate dovranno necessariamente continuare a tagliare gli arruolamenti di giovani. Cioè assumere meno persone di quante lasciano il servizio. Nel 2012 saranno arruolati 9 mila giovani a fronte dei 12 mila previsti ma così si continua a “invecchiare” le forze armate allungando la lista dei reparti di prima linea composti da fanti trentacinquenni invece che ventenni.

Anche la scelta di vendere gli immobili della Difesa per incamerare denaro fresco rischia il flop già registrato in passato poiché di dismissione di caserme, basi e centri d’addestramento divenuti superflui si parla fin dal primo governo Prodi. «Abbiamo un patrimonio immobiliare che non è più sostenibile - ha detto Di Paola - dobbiamo avere il coraggio di dismetterlo in maniera funzionale”»ma con un mercato immobiliare asfittico e gli enti locali poco inclini a sborsare denaro per mettere le mani su beni pubblici la Difesa rischia di incassare ben poco e nel migliore dei casi di dover svendere il patrimonio in aste al ribasso.

A ben vedere i margini per recuperare risorse in tempi brevi sono molto ristretti e potrebbero essere allargati eliminando i comandi territoriali (che svolgono compiti per lo più di rappresentanza e assorbono centinaia di generali e colonnelli) e gli assurdi privilegi di cui godono i militari: dai centri vacanza a prezzi stracciati alle promozioni il giorno pima della pensione alle liquidazioni d’oro per i vertici della Difesa. Tagli che aiuterebbero a mantenere decorose capacità operative perché il valore delle forze armate risiede nella loro efficienza. Impoverirle, disarmarle, privarle di risorse, come vorrebbero i pacifisti, le renderebbe inutili e quindi non all’altezza delle sfide da affrontare. Con il Mediterraneo in ebollizione e la sharia che prende piede ai nostri confini non è certo questo il momento per rinunciare a solidi strumenti di Difesa. Si potrebbe invece rivedere la partecipazione alle operazioni oltremare, specie le più costose in Afghanistan e Libano anche se con i fondi destinati alle missioni si riescono ad addestrare al combattimento almeno le unità destinate a servire oltremare perché per i reparti in Patria mancano già da tempo i denari persino per il carburante e i pezzi di ricambio dei mezzi. Una situazione paradossale. I militari dovrebbero potersi preparare per far fronte a un’eventuale guerra, non dipendere da essa per esistere.