Erri De Luca, il cattivo maestro dei No Tav
L'apologia della violenza politica, le teorie del complotto sui servizi deviati, sono tutte caratteristiche del pensiero rivoluzionario degli anni '70. È un passato che torna in maniera inquietante, in personaggi come Erri De Luca, il "cattivo maestro" dei No Tav.
«La Tav in Val di Susa va sabotata e le cesoie servono per tagliare le reti», dice lo scrittore Erri De Luca, per il quale gli “arnesi” sequestrati a due ragazzi qualche giorno fa, poi finiti in carcere - molotov, maschere antigas, fionde, cesoie, chiodi a quattro punte – sono “materiale da ferramenta”. È la risposta al Procuratore Capo della Repubblica di Torino, Giancarlo Caselli, che l’altro giorno – con prudenza, ma in modo fermo – esprimeva «un fondo di preoccupazione per il silenzio e la sottovalutazione, se non peggio, da parte di uomini della cultura, della politica, dell'amministrazione e anche dell'informazione». Aggiungeva Caselli: «Il movimento No Tav non c'entra niente con le violenze. Nel movimento c'è una maggioranza di persone per benissimo, mosse da istanze legittime, ma le manifestazioni violente non possono essere tollerate e vanno respinte radicalmente. Altrimenti si rischia di soffiare sul fuoco e di fuoco ce n’è già abbastanza». Per Caselli «ci sono dei settori che non riescono a vedere come stanno le cose e sono portati a trattare con comprensione gesti che sono di pura violenza». Del resto, maschere antigas, imbuti, torce, bombolette di spray urticante e occhiali protettivi – materiale sequestrato l’altra notte a bordo dell’auto dove c’erano 5 ragazzi, tre francesi e due russi – serviranno pure a qualcosa, per non parlare delle taniche di benzina, utili a distruggere gli impianti delle aziende impegnate nei lavori.
De Luca – che ha firmato un intervento nel volume appena uscito “Nemico pubblico. Oltre il tunnel dei media: una storia NoTav”, ebook dedicato alla lotta valligiana scritto con la giornalista Chiara Sasso, WuMing1 e Ascanio Celestini – in un’intervista all’Huffington Post, si dice sicuro che «La Tav non si farà. Non è una decisione politica, bensì una decisione presa dalle banche e da coloro che devono lucrare a danno della vita e della salute di una intera valle. La politica ha semplicemente e servilmente dato il via libera». Aggiunge: «Ora l'intera valle è militarizzata, l'esercito presidia i cantieri mentre i residenti devono esibire i documenti se vogliono andare a lavorare la vigna. Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l'unica alternativa. Serve per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile. Arriverà un governo che prenderà atto dell'evidenza: la valle non vuole i cantieri. E finalmente darà l'ordine alle truppe di tornare a casa».
Sembra di tornare agli anni ’70, quando c’era chi, con le sue dichiarazioni e con le sue prese di posizione, fiancheggiava e supportava il Movimento che poi diede vita alle organizzazioni armate, sulla scia delle già esistenti e “sé dicenti Brigate Rosse”, così come venivano chiamate per mascherare la loro appartenenza, anche biografica, al comunismo. Anche in quegli anni c’era chi, come Toni Negri, teorizzava che «L’azione popolare si concentra e si esalta dentro l’asse fondamentale di azione che è la lotta armata» o esaltava il sabotaggio, la sovversione, l’insurrezione. Sappiamo come andarono le cose. Qualcuno – e non pochi – furono attratti da questi concetti e da queste istigazioni.
C’è un punto, tra gli altri, che accomuna Toni Negri ad Erri De Luca. Per il primo – intervista a Sky TG24 del 13 novembre 2009 - «La lotta armata in Italia è stata iniziata dal potere. La prima bomba non è stata certo messa da me o dai miei compagni. Le prime bombe sono state messe dalla polizia, questa polizia sudamericana. Negli anni 70 c'è stata una congiunzione tra destra e sinistra per schiacciare il cambiamento. Un cambiamento che è avvenuto in tutta Europa. Un cambiamento della classe politica al potere». Il secondo, dice – “Otto e mezzo”, 9 aprile 2012 – «Come lo intendo io, terrorismo è quello di piazza Fontana, di piazza della Loggia a Brescia, quello che aveva collusioni con poteri dentro lo Stato e che è stato assolto». Una colossale mistificazione e, insieme, una giustificazione – seppur teorica, ma inaudita - di quella violenza diffusa che insanguinò gli anni ’70 e ’80. Sempre in quella trasmissione, De Luca, che negli anni ’70 è stato il responsabile del Servizio d’Ordine di Lotta Continua, sosteneva che «La violenza è stata lo strumento politico di un secolo di rivoluzioni. Dal punto di vista del 900, è stata una forza promotrice del miglioramento di miriadi di masse umane». Le decine di milioni di morti provocati da quella violenza? Come se non fossero mai esistite.
C’è un passato, in questi personaggi, che torna in maniera inquietante. Come se il tempo si fosse fermato. Sono attratti da quel passato e lo usano non solo per dare una chiave di lettura di quel che avviene oggi, ma lo propagandano, con una nonchalance e una superficialità disarmanti. Non sono solo dei “cattivi maestri”. Sono intellettuali che non si fanno scrupoli nel legittimare comportamenti, non solo penalmente rilevanti, ma auto-lesionistici e distruttivi. Da isolare. Prima che degenerino in maniera incontrollata e incontrollabile.