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TURCHIA

Erdogan vince ancora. La seconda presa di Costantinopoli

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Erdogan dà inizio al suo terzo decennio alla testa della Turchia. Nel ballottaggio, il 28 maggio, ha sconfitto Kemal Kilicdaroglu, conquistando il 52% dei voti. Paragona la sua vittoria, immodestamente, alla conquista turca di Costantinopoli, del 29 maggio 1453. Cosa attenderci dal rinnovato presidente islamista.

Esteri 30_05_2023
Sostenitori di Erdogan festeggiano a Istanbul di fronte a Santa Sofia

Erdogan dà inizio al suo terzo decennio alla testa della Turchia. Nel ballottaggio, il 28 maggio, ha sconfitto Kemal Kilicdaroglu, conquistando il 52% dei voti. Prima premier, poi presidente, Erdogan è al potere dal 2002. Che cosa ci dovremmo attendere nei prossimi cinque anni di comando di un presidente islamista?

Molto spesso si è usata per il presidente islamista la definizione di “neo ottomano”. Il discorso di ringraziamento dei suoi elettori, ieri, è stato un tripudio di riferimenti alla storia ottomana. Il 29 maggio, infatti, segna l’anniversario della conquista turca di Costantinopoli nel 1453. Erdogan, che ha voluto la trasformazione della cattedrale di Santa Sofia da museo a moschea, nella notte della sua riconferma elettorale ha dichiarato: «Domani conquisteremo Istanbul per la seconda volta. Quanto è bello il comandante e quanto sono belli i suoi soldati, come dice il proverbio. Vedo tutti voi come i figli e le figlie di quegli antenati», aggiungendo che «Queste elezioni saranno ricordate come un punto di svolta nella storia».

In campagna elettorale, Erdogan ha continuamente alimentato il risentimento contro l’Occidente, anche per combattere una guerra culturale contro il suo avversario, il laico Kemal Kilicdaroglu. Lo ha accusato di essere “occidentale” nel senso di: promotore dei nuovi diritti Lgbt e dei movimenti separatisti. Evitando accuratamente di parlare della crisi economica, Erdogan si è presentato come il candidato sicuro, stabile, difensore della Turchia e della sua identità.

Nei confronti dell’Occidente, Erdogan mantiene la sua opposizione all’ingresso della Svezia nella Nato, per l’ospitalità che ancora offre a politici e militanti curdi. La Turchia la considera come un favoreggiamento al terrorismo. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, Ankara continuerà a mantenere rapporti privilegiati con Mosca e giocare un ruolo di mediatore, nonostante sia un membro della Nato e abbia venduto all’Ucraina armi fondamentali, come i droni Bayraktar.

Il futuro della politica estera in Medio Oriente sarà probabilmente meno rivoluzionario che in passato, soprattutto a causa della crisi economica. La Turchia ha bisogno di aiuti stranieri, dunque si è riconciliata con l’Egitto con i Paesi arabi del Golfo e con l’Arabia Saudita in particolare. Finora, a dividerli, c’era l’innegabile legame dell’islam turco al potere con i Fratelli Musulmani, che nel regime militare egiziano e in tutti i regni arabi, con l’importante eccezione del Qatar, sono condannati come gruppo sovversivo. All’inizio del mese, a dimostrazione di questo riavvicinamento, Erdogan aveva ringraziato i Paesi del Golfo per un aiuto economico, la cui entità non è stata rivelata, destinata a puntellare il settore bancario in crisi.

È interessante osservare la mappa del voto turco all’estero. In tutti i Paesi mediorientali e nordafricani, le comunità turche hanno votato in massa per Erdogan, da un massimo di consensi del 95% in Libano a un minimo del 58,6% in Marocco. In tutti gli altri Paesi, in Europa, Asia e Americhe, ha vinto Kilicdaroglu. Ma con alcune importantissime eccezioni. In Belgio, Austria, Olanda, Germania, Francia, Lussemburgo, Norvegia e Danimarca, milioni di turchi hanno votato Erdogan con percentuali mediorientali. In Belgio, addirittura, Erdogan è stato votato dal 75% degli immigrati turchi, in Austria dal 74%, in Olanda dal 70%, più della media dei Paesi mediorientali musulmani. In Germania e in Francia il voto pesa anche di più, per le dimensioni delle locali comunità turche (3 milioni in Germania e 800mila in Francia) e la maggioranza è andata ad Erdogan rispettivamente con il 67% e il 66% dei voti.

La mappa del voto dei turchi all’estero indica dove sono andati maggiormente gli investimenti delle iniziative islamiche della Turchia, soprattutto quelle di Milli Gorus, un’organizzazione legata al movimento dei Fratelli Musulmani. Moschee, centri culturali e una propaganda capillare hanno creato una rete di islamisti turchi all’estero. È quello il nuovo “impero” su cui Erdogan potrà contare nel prossimo futuro, anche per consolidare il potere, suo e del suo partito. Le frange più radicali delle comunità turche all’estero, funzionano già come lunga mano della repressione: non sono rari i casi in cui curdi, armeni o oppositori politici vengono picchiati. Anche durante queste elezioni, ci sono casi documentati di intimidazione degli elettori in Germania.