Erdogan anticipa il voto, per prendersi tutto il potere
Elezioni anticipate in Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan si rimette in gioco con la nuova Costituzione. Sarà un unico “election day”: si voterà sia per il Parlamento che per la Presidenza. Oggi ha buona probabilità di prendere tutto il potere, perché, se dovesse attendere, già ci sono sintomi di logoramento politico ed economico.
Elezioni anticipate in Turchia. Il presidente Recep Tayyip Erdogan si rimette in gioco con la nuova Costituzione. Sarà un unico “election day”: si voterà sia per il Parlamento che per la Presidenza. Mettendo le cose in chiaro, Erdogan ha annunciato il prossimo voto anticipato per “far piazza pulita del vecchio sistema”. Se vince piglia tutto e rimarrà insediato al governo del paese, con nuovi poteri ampliati (sarà sia capo dello Stato che capo del governo), fino al 2023.
La genesi di questa scelta, tuttavia, è tutt’altro che scontata. L’iniziativa, infatti, pare non essere affatto partita dal presidente Erdogan, che fino a ieri si era detto contrario a un voto anticipato. Il pressing per andare alle urne arriva esplicitamente dall’alleato in coalizione del partito di Erdogan, il nazionalista Mhp, guidato dall’anziano leader Devlet Bahçeli. Per motivi interni, soprattutto. Nel 2015, in occasione delle elezioni di giugno, l’Mhp aveva ottenuto un discreto successo con il 16% dei voti. Tuttavia, alle successive elezioni anticipate di novembre, il partito perse significativamente consensi, attestandosi a quasi il 12% dei voti e ottenendo solo 40 seggi, la metà di quelli che aveva conquistato a giugno. Dopo il voto autunnale del 2015, la leadership di Devlet Bahceli è stata contestata da una forte opposizione interna, anche per il suo appoggio al progetto di riforma in senso presidenziale di Erdogan. Bahceli tuttavia è riuscito a rimanere in sella, rinviando il congresso del partito e conducendo una profonda purga nei vertici locali. Contrariamente a quel che ci si sarebbe potuti attendere da un partito laico e nazionalista, dopo il fallito golpe del luglio 2016 e le massicce epurazioni che ne sono seguite, Bahceli si è avvicinato sempre più a Erdogan. Poi ha stretto un patto elettorale proprio con l’Akp, il partito islamico del presidente. E’ stato soprattutto lui, in queste settimane, ad aver insistito per avere un voto anticipato a giugno e tentare il tutto e per tutto. I sondaggi non sono favorevoli, comunque. Attualmente rischia addirittura di rimanere al di sotto del 10%.
Erdogan, in compenso, pare abbia lasciato alle spalle tutta la sua precedente riluttanza e ora coglie la palla al balzo per riprendere il controllo della Turchia. Prima che sia troppo tardi. Tardi perché? E’ reduce da una grande vittoria sul campo, quella contro i curdi ad Afrin. Ma la Siria non è un fronte che promette bene: chi si impegna sul campo, sa che ne rimane invischiato a lungo. Il conflitto parallelo che la Turchia sta conducendo contro i curdi è tutt’altro che chiuso. E soprattutto deve affrontare il grande ostacolo dei curdi a Est dell’Eufrate, protetti dal corpo di spedizione statunitense. Contrariamente alle aspettative, gli Usa non vogliono ritirare i loro uomini, specie dopo l’ultima crisi. Cementare il consenso nazionale, ora, è utile anche per aver più potere in vista di un confronto sul secondo fronte, quello dell’Egeo, dove è in corso un duro braccio di ferro con la Grecia sul possesso di alcuni isolotti di confine. La tensione è talmente alta che lo stesso elicottero militare greco che ieri trasportava il premier Tsipras a Rodi, è stato sorvegliato da due caccia turchi, anche a scopo intimidatorio. L’Egeo è il fronte che, più di ogni altro, unisce nazionalisti e islamici e va sfruttato (anche elettoralmente parlando) quando è “caldo”.
Ad Erdogan conviene andare al voto prima che l’economia peggiori. Perché è vero che è ancora in crescita, ma la moneta, la lira turca, sta attraversando una crisi da inflazione. Attualmente è considerata la peggior performance valutaria nelle economie emergenti. Prima che gli effetti si percepiscano in modo diffuso e vistoso, l’attuale governo ha fretta di consolidare la sua posizione. E non è l’unico interno per avere fretta. Anche lo scenario politico è in rapido mutamento. A sinistra, l’Hdp a maggioranza curda, dopo i numerosi arresti e la campagna di Afrin, è al tappeto. Non è quello che preoccupa la leadership dell’Akp. Semmai il nemico arriva da destra. Una fuoruscita dal Mhp, Meral Akşener, ha fondato il Partito Buono (Iyi Parti) nell’ottobre del 2017. E’ sostanzialmente un partito di ex ultranazionalisti dei Lupi Grigi che hanno rotto con il partito nazionalista Mhp dopo che questo si è alleato con l’Akp di Erdogan. Ora si presentano come moderati (rispetto ai Lupi Grigi) e puntano a prendere i voti della destra contraria a Erdogan e all’islamizzazione della Turchia. Secondo i sondaggi dovrebbe superare la soglia di sbarramento del 10% ed entrare in parlamento. Correrà assieme al partito repubblicano laico, il Chp, che i sondaggi vedono in calo, ma ancora in grado di essere competitivo contro l’Akp.
Come si può vedere da questi sviluppi, il “sistema Erdogan” è ancora tutt’altro che granitico. Il presidente islamico turco deve ancora combattere per restare in sella. Sa che nel breve periodo può vincere facilmente, nel medio e lungo rischia il logoramento. Tuttavia, con le funzioni che si è ritagliato nella riforma costituzionale sa che una vittoria nel breve periodo gli conferirebbe sufficiente potere per restare in sella quanto vuole, da qui ai prossimi 5 anni, con la possibilità di ripresentarsi per i successivi 5. Ormai al governo e alla presidenza da 16 anni, sogna anch’egli, come Putin in Russia, di diventare il presidente eterno dei turchi. Sarà semmai interessante vedere come impiegherà tutto quel potere. Perché per ora il processo di islamizzazione è stato molto visibile e soprattutto metodico, ma pur sempre entro i limiti dei diritti costituzionali di una Repubblica che è ancora formalmente laica. Nei prossimi 5 anni, un presidente islamico che è sia capo dello Stato che del governo, con un partito islamico alle spalle che è maggioranza in Parlamento, con l’esercito e la magistratura sotto controllo, può essere tentato di mollare i freni, definitivamente.