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RIFLESSIONE

Epidemie e peccato, una triplice relazione

Peccato originale, espiazione, responsabilità personali nella diffusione delle epidemie. Certo che c'è una connessione tra epidemie e peccato. Vuol dire questo che il coronavirus è un castigo, direttamente o indirettamente voluto da Dio? Nessuno lo può dire con certezza, ma neanche lo si può escludere.

Ecclesia 20_03_2020
Adamo ed Eva

Domanda politicamente scorrettissima e assai urticante in questi giorni: è legittimo predicare una relazione tra epidemie e peccato? Sì, almeno in un triplice senso, un triplice senso che – dal momento che stiamo parlando di peccati – si articola in una prospettiva teologica. In primo luogo ogni epidemia, compresa la presente che ormai è diventata pandemia, trova la sua origine nel peccato originale. Ovviamente – lo ripetiamo – stiamo individuando una causa di natura teologica, non empirica/sanitaria: una causa non esclude l’altra, ma marciano parallele su piani diversi, dipendendo però la seconda, in ultima istanza, dalla prima.

Il peccato originale non solo ha reso l’uomo mortale, ma tutte le malattie, comprese quindi le epidemie, e tutte le imperfezioni fisiche e psicologiche in ultima istanza derivano da esso. Il Catechismo della Chiesa cattolica ci ricorda che a causa del peccato originale «la creazione è soggetta alla schiavitù della corruzione» (400) e aggiunge che «in conseguenza del peccato originale, la natura umana è indebolita nelle sue forze, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte» (418). Certamente quindi possiamo dire che anche la presente pandemia deriva in ultima istanza dal peccato originale: in Paradiso il numero di contagiati è stato e sempre sarà pari a zero.

Esiste poi un altro legame tra peccato ed epidemia. Le sofferenze fisiche e psicologiche patite dalle persone possono diventare strumento di espiazione per i peccati, dunque possono avere valenza riparatoria per i propri peccati e/o per i peccati altrui. Dunque una epidemia può avere carattere di pena. Tale pena può essere espressione diretta della volontà di Dio. Gli esempi nella Bibbia sono molteplici. Pensiamo alle piaghe di Egitto o alla distruzione di Sodoma e Gomorra. Una sottolineatura: una patologia come il coronavirus è un danno di carattere fisico. Non tutti i danni sono espressione di mali morali. Dunque Dio non può mai volere direttamente un male morale, ossia essere lui l’autore di un male morale (semmai può tollerare un male morale compiuto da terzi per un bene maggiore), ma può volere un male fisico, rectius un danno fisico per un fine buono. Così come un chirurgo quando amputa una gamba per salvare la vita del paziente.

Oppure l’epidemia può essere non direttamente voluta da Dio, ma solo permessa (ricordando però che anche la permissione è espressione della volontà di Dio). Dio dunque tollera un male/danno fisico per un bene maggiore, che può essere appunto permettere ad intere popolazioni di fare penitenza per i propri peccati. Naturalmente Dio può direttamente infliggere un male fisico oppure permetterlo non solo per finalità punitive, ma anche perfettive: potrebbe essere una prova per crescere nelle virtù. Pensiamo a tutte le virtù cardinali e teologali e alle virtù ad esse connesse. Le moltissime iniziative di volontariato che ha generato questa emergenza possono esserne una prova. Un’altra finalità plausibile potrebbe essere quella di indurre alla conversione morale e/o di fede (naturalmente tutte queste finalità possono sommarsi, anche in gradi diversi, nella medesima persona).

Un’obiezione abbastanza comune e assai comprensibile rivolta alla riflessione sin qui articolata potrebbe essere la seguente: nel caso di epidemie come la presente, il virus infetta anche persone innocenti. Si può rispondere almeno in due modi. In primo luogo nessuno di noi è perfettamente innocente agli occhi di Dio. Ciò non toglie che – se parliamo di epidemia come pena – per molti di tali “innocenti” questa sofferenza sarebbe spropositata rispetto alle loro colpe. E qui arriviamo alla seconda risposta all’obiezione prima indicata, risposta che richiama quanto detto poco prima: per gli innocenti la sofferenza imposta può avere valore riparatorio/retributivo di peccati altrui e/o valore perfettivo o indurre alla conversione.

Un nota bene importantissimo, per evitare facili fraintendimenti relativi a quanto sin qui scritto. Nessuno, dicasi nessuno, è in grado di dire che certamente il covid 19 è solo un castigo voluto, direttamente o indirettamente, da Dio. Non lo si può escludere, ma sarebbe errato assegnare ad esso questo esclusivo significato. Quindi può rappresentare solo una pena con finalità riparative, può essere solo una prova di carattere perfettivo o una occasione di conversione oppure può assumere parte o la totalità di questi significati.

Ciò che è certo sta nel fatto che, voluto direttamente o tollerato da Dio, anche questo drammatico avvenimento non esce dal piano provvidenziale di Dio e quindi ha una valenza, nella sua oggettiva tragicità, positiva, perché tutto ciò che accade, voluto direttamente da Lui o solo permesso, accade per il nostro bene perché il piano provvidenziale di Dio è sempre un piano di bontà (va da sé che le occasioni di bene interrogano la nostra coscienza e possono essere liberamente rifiutate). Ad esempio questa pandemia ha permesso a molti di discernere l’essenziale dal superfluo, di riscoprire il valore del rimanere in famiglia, della preghiera, della intimità con Cristo, dell’Eucarestia a fronte della impossibilità di partecipare alla Santa Messa, di scoprire o riscoprire Dio.

Un terzo rapporto tra pandemia e peccato si riferisce alle condotte dei singoli in riferimento proprio al virus in quanto tale ed è un rapporto possibile, ma non certo, seppur, nel caso specifico che stiamo vivendo, assai probabile. In prima battuta non si può escludere che il primo contagio sia avvenuto per inavvertenza, mancanza di prudenza, etc.. Ma è mera ipotesi teorica. Parimenti non si può escludere – ed anzi pare probabile (clicca qui) – che la sua diffusione, sia stata favorita anche da inadempienze ed errori non solo colposi, ma anche dolosi (ad esempio: voler minimizzare il fenomeno pur avendo consapevolezza della sua gravità), commessi prima in Cina e poi anche negli altri Paesi sia dai governanti che dai cittadini. Gli atti contrari al bene come, ad esempio, condotte poco diligenti, inadempienze, errori di valutazione, tentativi di coprire le curve di contagio agli occhi dei media e dell’OMS, etc. prendono il nome, sotto la prospettiva teologica, di peccati.