Elisabetta Canori Mora, il diario di una beata
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Quasi integralmente inedito fino al 1994, il diario della beata Elisabetta Canori Mora tratta una molteplicità di temi dal grande valore letterario e spirituale. Scopriamo alcune di queste pagine, dalla misericordia di Gesù alle nozze mistiche con Lui, passando per il mistero di luce della SS. Trinità.
Un giornale dell’anima, così si potrebbe definire un diario. Date e avvenimenti che si incrociano e si dipanano nello scorrere del tempo divenendo uno scrigno della memoria. Anche la beata Elisabetta Canori Mora (Roma, 21 novembre 1774 - Roma, 5 febbraio 1825) – di cui oggi ricorre la memoria liturgica – ne aveva uno. Quando si pensa a questa sublime figura di santità di fine XVIII e inizio XIX secolo, si ha subito l’immagine di moglie e madre: i due termini sono uniti, complementari, nella beata Canori Mora, la cui vita è stata segnata fortemente dalla Santissima Trinità. Una vita che sembra un romanzo. E, come ogni romanzo che si rispetti, c’è sempre un luogo in cui si svolgono la maggior parte degli eventi: la chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane a Roma, retta – all’epoca e ancora oggi – dall’Ordine della Santissima Trinità e degli schiavi.
Una nota storica riguardo a queste pagine è necessaria: fino alla beatificazione della Canori Mora, avvenuta il 24 aprile 1994, il Diario della beata era rimasto quasi integralmente inedito. Fino ad allora ne avevamo solo qualche frammento inserito in una delle prime biografie della beata, Nota biografica della venerabile serva di Dio Elisabetta Canori Mora (1911), di don Antonio Pagani. Solo qualche altro opuscolo ne aveva fatto menzione. Quindi, parliamo di un documento abbastanza recente in quanto a pubblicazione. Dunque, il Diario della Canori Mora è un documento che ancora deve essere conosciuto dai più e sviscerato in tutte le sue componenti vista anche la molteplicità di temi che la beata ha trattato al suo interno, vista la copiosità delle pagine. L’edizione che venne pubblicata nel 1994 tenne conto di un preciso criterio redazionale: la trascrizione del manoscritto (conservato nell’Archivio storico dei Trinitari nella chiesa romana di San Carlino) prese in considerazione sia le pagine in brutta copia sia la bozza autografa di Elisabetta. Queste pagine vennero poi confrontate con le numerose citazioni riportate dalla figlia Lucina, suor Maria Giuseppina Mora della Santissima Trinità, nella sua biografia della mamma.
Di pagine ce ne sarebbero tante da citare perché sempre tutte dense, tutte bellissime sotto l’aspetto letterario e spirituale. Una di queste reca la data del 4 novembre 1814: «Assistendo alla Messa cantata in San Carlo alle Quattro Fontane, fui sopraffatta da interna quiete, quando mi furono manifestate le ingiurie, gli affronti, gli strapazzi che il nostro Signore Gesù Cristo riceve dai suoi ministri, particolarmente da quelli che amministrano la giustizia, da quelli che governano. Vidi come questi barbaramente ponevano sotto i loro piedi il crocifisso Signore, come temerariamente laceravano le sue carni verginali, quanti affronti, quante ingiurie, quanti strapazzi! Nel vedere simile nefandità, il mio spirito, pieno di un santo zelo, volevo io stessa precipitare per distruggere gli iniqui persecutori del mio crocifisso Signore. Ero sul punto di gridare giustizia sopra questi miseri, quando mi è apparso il mio caro Gesù, tutto amore verso i miseri persecutori. La sua carità ha comunicato al mio povero cuore amore e carità verso i suddetti. “Ah, figlia”, mi disse il Signore, “chiedi misericordia e non giustizia! Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. Nel dire queste parole, ha tramandato dall’amoroso Suo Cuore un raggio di splendidissima luce. “Prendi”, mi disse l’amantissimo Gesù, “prendi, o mia diletta figlia, nelle tue mani lo splendore della mia misericordia. Distendi sopra questi il forte riparo, per sostenere i fulmini dell’irritata giustizia”. A queste parole, con sommo rispetto e riverenza, ho preso nelle mie mani il raggio di splendidissima luce, che tramandava dal suo SS. Cuore, e unitamente a Gesù Cristo ho disteso questo forte riparo sopra i suddetti». Sublime è l’immagine che ci dona la beata in queste parole: il raggio dal Sacratissimo Cuore, luminoso, viene accolto da Elisabetta. Il Signore dona la sua misericordia e la beata ne diviene strumento.
La Canori Mora fu terziaria dei Trinitari. E, proprio a lei, la Santissima Trinità si rivelò. Era il 26 giugno 1815. Queste le parole della Canori Mora: «Per mezzo di intellettuale intelligenza, volle Dio darmi in qualche maniera conoscere l’augustissimo mistero della sua Trinità Sacrosanta. Accomodandosi, per sua infinita bontà, al mio scarso talento, mi si fece vedere sotto la seguente figura. (...) Dio si manifestò sotto la figura di una immensa luce. Era questa luce immensa figurata in tre globi di una bellezza senza pari (...). Questa immensa luce generava fuori di sé cose tanto belle, che io per la mia insufficienza non so ridire; ma quello che con mio stupore osservai, era che le opere generate da questa luce tornavano alla medesima luce. Per mezzo di interna illustrazione conobbi che queste sono le opere meravigliose della sua infinita potenza, della sua infinita sapienza, della sua infinita bontà». Ancora una volta, l’elemento che la beata sottolinea è la luce del Signore, un qualcosa che è difficile immaginare: la luce che diviene potenza, sapienza e bontà soprattutto.
Altre immagini splendide sono offerte dalle pagine che vanno dal 31 luglio al 15 agosto del 1816: sono giorni intensi per la beata; giorni che la porteranno alle sue nozze mistiche con il Signore. Prima di giungere a queste, la beata venne «trasportata» (questo è il termine da lei usato) «da molti santi angeli ad adorare la Regina del cielo e della terra, la quale vedevo in magnifico trono assisa, corteggiata da immenso stuolo di santi angeli e di sacre vergini, e ossequiata dai principi degli angeli e dei santi apostoli». Era il preludio a un episodio che segnò per sempre la sua vita. Arriviamo, allora, all'ottobre 1816: «Tutto ad un tratto cinta mi vedo di celeste splendore; l’anima mia fu sopraffatta da santo timore, e piena di lacrime, diceva al Signore: “Mio Dio, non sono degna di sì alto favore”. E profondata nel proprio suo nulla, tutta tutta di amore in lacrime si disfaceva; il mio cuore in santi affetti si esercitava, per così piacere al sommo suo amore. La vita, il sangue più volte offrivo di quello che respirasse il cuore. Ebbra di amore, dicevo al Signore: «In croce per tuo amore voglio morire!». Era tanto l’amore che sentivo al patire, che non ho termini di poterlo ridire. Intanto l’amore a dismisura cresceva, che non lo potevo contenere più. Il mio Dio sommamente si compiaceva per amore suo vedermi languire. Tutto ad un tratto, vedo apparire maggiore splendore, nel mezzo del quale mi parve vedere Gesù bambino, che, dal seno della sua santissima Madre, amorosamente m’invitava ad avvicinarmi a lui, mostrandomi un prezioso anello, mi chiamava, e, con gesti i più puri e cordiali, mi significava l’infinito suo amore. Agli amorosi e replicati inviti del divin pargoletto, tutto tutto di amore si accese il cuore nel petto, profondamente mi umilio e a lui mi avvicino, non potendo più contenere il grande incendio di amore. Il caro Bambino mi dona l’anello, e di propria mano lo collocò nel mio dito».
Elisabetta, la beata che convertì il marito adultero
Oggi ricorre il dies natalis della mistica e beata Elisabetta Canori Mora, la cui santità fiorì innanzitutto nel sacramento del Matrimonio e nell’amore al marito: gli perdonò 27 anni di tradimenti fino a dare tutto per la salvezza eterna del coniuge e delle figlie. Troverà la forza nello Sposo celeste, Gesù Cristo, che le concesse innumerevoli grazie arrivando al dono immenso delle nozze mistiche.