Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
SCENARI

Elezioni Zimbabwe, l'Africa che non cambia

Il 31 luglio lo Zimbabwe è andato al voto e l'esisto potrebbe essere tutt'altro che semplice. Politiche economiche opposte, rischio di guerra civile e brogli elettorali sono dietro l'angolo, di un paese in bancarotta totale.

Esteri 03_08_2013
elezioni Zimbabwe

Il 31 luglio lo Zimbabwe è andato al voto per rinnovare il parlamento ed eleggere il capo dello stato. Come spesso accade con le vicende africane, l’evento è stato quasi del tutto ignorato nel resto del mondo e in Italia in particolare. Merita invece la massima attenzione, e per più di una ragione. Innanzi tutto i due partiti favoriti e i loro leader hanno proposto linee di politica economica diametralmente opposte.

Lo Zanu-Pf del presidente in carica Robert Mugabe promette, per risanare l’economia, un ulteriore esproprio di quote di proprietà delle imprese straniere attive nel paese (minimo il 51%) per garantirne il controllo da parte dei cittadini zimbabwani: il che scoraggerebbe gli investitori privati stranieri. L’Mdc-T del primo ministro Morgan Tsvangirai punta invece su iniziative che attirino capitali stranieri, ritenuti indispensabili per superare la crisi economica di proporzioni apocalittiche che dall’inizio del secolo ha costretto a emigrare circa tre milioni di zimbabwani e ne ha visti altri quattro (circa un terzo della popolazione) dipendere da aiuti umanitari stranieri per sopravvivere.

Va ricordato che, a causare la crisi, una bancarotta totale, dopo decenni di progressivo declino economico dovuto a politiche economiche a dir poco inappropriate, è stata la decisione del presidente Mugabe, al volgere del secolo, di confiscare le grandi imprese agricole in gran parte di proprietà della popolazione di origine britannica: le terre fertili che avevano fatto della colonia britannica fino al 1980, anno dell’indipendenza, una delle più prospere economie del continente sono state quindi donate a personalità politiche e ad alti funzionari, che le hanno lasciate incolte, oppure sono state divise in piccoli appezzamenti affidati a famiglie incapaci di ricavarne se non raccolti di sussistenza e spesso neanche a sufficienza per sfamarsi. Si capisce quindi che il prossimo governo non può sbagliare le proprie scelte economiche: non ci sono margini d’errore.

Un secondo motivo per seguire con attenzione, e apprensione, il voto in Zimbabwe è il timore che l’esito elettorale susciti una nuova guerra civile come è avvenuto in occasione delle elezioni del 2008. Tante furono le violenze, allora, e soprattutto le intimidazioni da parte del partito al potere, lo Zanu-Pf, dopo che risultò aver perso per la prima volta la maggioranza parlamentare e dopo che al primo turno delle presidenziali il suo leader, il presidente Mugabe, non era riuscito a ottenere la maggioranza e anzi sembrava essere secondo, preceduto da Tsvangirai, da indurre quest’ultimo a rinunciare al ballottaggio… al quale perciò si presentò soltanto Mugabe, aggiudicandosi la più facile delle vittorie essendo l’unico candidato. Faticosamente rabbrecciata un’intesa tra Zanu-Pf e Mdc-T grazie a pressioni, mediazioni e interventi esterni, la pace fu poi raggiunta con la creazione di un governo di unità nazionale, con Mugabe di nuovo capo dello stato e Tsvangirai primo ministro. Questa volta, però, asserisce Mugabe, comunque vadano le cose, chi perde se ne deve andare: al potere non ci sarà spazio per gli sconfitti. Il suo rivale, dicendosi certo della vittoria, lo esorta a farsi da parte, a preparasi alla sconfitta.  “89…90, game over”, dicono gli slogan dell’Mdc-T: fine partita, dove 89 sono gli anni compiuti da Mugabe, alla guida del paese come primo ministro e poi come presidente fin dal 1980.

Ma la sicurezza ostentata da Tsvangirai e dai suoi sostenitori è più che altro una mossa politica. Il terzo fattore di interesse di queste elezioni è infatti la certezza che, come già in passato, anche questa volta Mugabe abbia approfittato della propria posizione di potere per determinare il voto: non con la violenza scatenata nel 2008, ma ricorrendo sfrontatamente al collaudato sistema dei brogli. Alla vigilia, denunciano gli osservatori internazionali inviati dall’Unione Africana, dalla Sadc (la comunità economica dei paesi dell’Africa australe) e da altri stati africani, mancava persino il registro definitivo degli aventi diritto al voto: non si sapeva  quindi chi avrebbe potuto votare e nemmeno dove e per questo l’Mdc-T  ha deciso di avviare un’azione legale. In compenso, nelle settimane precedenti, sono emerse irregolarità gravi.

Secondo l’organizzazione non governativa Research and Advocacy Unit, RAU, il registro provvisorio compilato dalla Commissione elettorale include addirittura un milione di persone decedute o stabilitesi all’estero e 100.000 persone che, in base alla data di nascita, hanno più di 100 anni: il che è del tutto inverosimile considerato che la speranza di vita alla nascita in Zimbabwe è di 52,7 anni. Se la RAU  avesse ragione, il pericolo di brogli sarebbe enorme, dato che gli aventi diritto al voto sono approssimativamente 6,4 milioni. Stando così le cose, in fin dei conti è un bene che il presidente Mugabe abbia rifiutato gli osservatori dell’Unione Europea e degli Stati Uniti di solito chiamati dai governi africani a monitorare lo svolgimento delle elezioni. Non saremo testimoni di un'altra violazione delle regole democratiche e non dovremo avallare un ennesimo esito elettorale manipolato. 

Mentre procede lo spoglio dei voti, lo Zanu-Pf già parla di vittoria schiacciante, dicendosi certo di aver conquistato i due terzi dei seggi in parlamento – “abbiamo seppellito l’Mdc-T!” – e annuncia quella di Mugabe con il 70-75% dei voti. Replica Morgan Tsvangirai, durante una conferenza stampa: “Questa elezione è nulla, è stata una grande farsa”. Lo Zimbabwe Election Support Network, con i suo 7.000 osservatori elettorali, conferma che la credibilità delle elezioni è stata sistematicamente compromessa da irregolarità clamorose che avrebbero impedito a un milione di cittadini di votare, soprattutto nei centri urbani dove notoriamente l’elettorato è più favorevole all’Mdc-T e a Morgan Tsvangirai.