Elezioni britanniche, la Brexit non interessa più
In Italia, in Europa in generale, queste elezioni anticipate britanniche vengono lette come un referendum sulla Brexit. In realtà gli interessi degli elettori che vanno oggi al voto sono ormai altri: la riforma dell'assistenza sociale agli anziani e il terrorismo. In entrambi i casi la May si è espressa male e rischia di giocarsi la maggioranza assoluta, data per certa fino a metà maggio.
Brividi di incertezza nelle elezioni britanniche che si tengono oggi. Doveva essere una vittoria assicurata di Theresa May e del suo Partito Conservatore e doveva essere una sorta di plebiscito confermativo della Brexit. Un espediente adottato dalla premier per assicurarsi una maggioranza solida e una legittimazione popolare, prima di avviare il negoziato con l’Ue. Con una serie di spettacolari colpi di scena, fra cui un clamoroso autogol di comunicazione politica, i sondaggi sono cambiati nella seconda metà di maggio, mostrando una distanza sempre più corta fra i Conservatori della May e i Laburisti di Jeremy Corbyn. Soprattutto: non si parla ormai più della Brexit.
Dal voto sull’uscita dell’Ue in poi, le elezioni britanniche sono diventate ancor di più di interesse comune in tutto il Vecchio Continente. I media, in Italia e nel resto del continente, sperano in una battuta d’arresto della May, della donna che (suo malgrado, visto che aveva fatto campagna per il Remain) deve guidare il Regno Unito fuori dall’Unione. Ma il problema, appunto, è che non si parla più della Brexit. Dal 18 maggio, quando è stato pubblicato il manifesto conservatore per la riforma dello Stato sociale, si parla soprattutto di assistenza e sanità. E dal 22 maggio, data della strage di Manchester, anche di terrorismo e sicurezza.
Il programma di riforme è stato esposto in modo molto crudo, lasciando intendere che le famiglie con anziani malati e non autosufficienti a carico, dovranno pagare le spese sanitarie. Questo se hanno un patrimonio superiore alle 100mila sterline (immobili inclusi). Lo Stato ipoteca gli immobili: le spese potranno essere dilazionate e poi riscosse sul patrimonio. Questa riforma cambia solo leggermente la condizione attuale. Col regime in vigore, gli anziani non autosufficienti sono a spese delle famiglie con un reddito superiore a 23.250 sterline (immobili esclusi, però). La dilazione del pagamento dovrebbe agevolare le famiglie che, in molti casi, sono costrette a vendere la propria abitazione per poter mantenere il nonno o il genitore anziano in una struttura adeguata. Ma la riforma è stata presentata talmente male che suona come: lo Stato ti fa pagare la malattia dei tuoi cari e ti sequestra la casa. Il Partito Laburista l’ha presentata come “dementia tax”, tassa sulla demenza. Impressionata dalla reazione di opinione pubblica, mass media e opposizioni parlamentari, la May ha fatto marcia indietro e ha finito col peggiorare ulteriormente le cose. Il messaggio è talmente confuso che il leader dell’opposizione, Corbyn, ha buon gioco nel dire che gli inglesi “non sanno più cosa attendersi” dalla politica sociale conservatrice.
A questo disastro della comunicazione se ne aggiunge un altro: quello del taglio sul riscaldamento gratuito per i pensionati nei mesi invernali. A questo regime ne subentrerà un altro, basato sulle fasce di reddito e molti pensionati dovranno pagare. Anche questa è una misura (necessaria, da un punto di vista contabile e anche giusta da quello sociale: i giovani poveri attualmente devono pagare per pensionati più ricchi di loro) è stata presentata con successo, dall’opposizione, come un’ingiustizia nei confronti degli anziani. Insomma, un bel modo per alienare l’elettorato della terza età che, stando ai sondaggi delle ultime elezioni, al 67% vota conservatore. Anche su questo punto, comunque, la May ha tentato una maldestra marcia indietro, spiegando al suo elettorato perplesso che si tratta di una misura ancora allo studio e che i contingenti (di carburante) e le fasce di reddito non sono ancora stati stabiliti.
Ma oltre agli autogol, c’è anche il colpo di scena, ormai multiplo: l’ingresso a gamba tesa del terrorismo islamico nella campagna elettorale. Il 22 maggio c’è stata la strage di Manchester e il 3 giugno quella del London Bridge. In entrambi i casi, la May ha correttamente sospeso la sua campagna elettorale e ha promesso una linea molto più dura. Si avvantaggia della sua posizione sostenendo che, senza i vincoli dell’Unione Europea sui diritti umani, il Regno Unito avrà molte più possibilità di emettere leggi efficaci contro il terrorismo. Il Partito Conservatore, in generale, è duro sull’immigrazione, tema non direttamente correlato al terrorismo, ma di sicura efficacia agli occhi dell’opinione pubblica alle prese con comunità asiatiche e mediorientali sempre più sospette. Eppure, anche in questo settore, la May e i Conservatori sono sotto accusa per i tagli alla polizia (l’attuale premier, sotto Cameron, era ministro dell’Interno) e alle forze armate. Il fatto stesso di aver subito tre attentati da quando è premier, non è un fiore all’occhiello dell’amministrazione May.
Il punto, però, è un altro. Che si parla solo della May, tuttora data come vincitrice sicura. Corbyn è scomparso dal dibattito e da questo silenzio può solo trarre vantaggio. Perché è il più estremista e impresentabile fra i candidati laburisti. E’ ambiguo sulla Brexit (in realtà vuole un altro negoziato, ma non il rientro in Europa), deciso a finanziare con soldi pubblici le banche e le aziende che ritiene strategiche e ad alzare le tasse, a pompare denaro pubblico nella sanità e a rendere la scuola ancor più statale (mentre la Gran Bretagna, con i governi conservatori, sta diventando un esempio ben riuscito di competizione fra pubblico e free schools), vuole aprire la porta agli immigrati, lanciare un nuovo programma di edilizia popolare, tagliare le emissioni di Co2 e vietare il fracking, rilanciare la via del dialogo e del negoziato per risolvere il problema del terrorismo. Tutte cose su cui difficilmente gli inglesi lo voterebbero.