Elettrosensibilità, chiarisco ma non torno indietro
La mia nota della settimana scorsa sulla cosiddetta elettrosensibilità ha suscitato una certa quantità di proteste e di critiche, sulle quali credo sia opportuno fare qualche osservazione. Innanzi tutto voglio scusarmi se i miei toni abbiano in qualche modo addolorato chi soffre di situazioni di grave malessere.
La mia nota della settimana scorsa sulla cosiddetta elettrosensibilità ha suscitato una certa quantità di proteste e di critiche, sulle quali credo sia opportuno fare qualche osservazione. Innanzi tutto voglio scusarmi se i miei toni hanno addolorato persone che vivono una situazione di malessere e di limitazioni: era assolutamente al di fuori della mia volontà il farlo, e a loro voglio significare le mie scuse, tutta la mia comprensione ed il mio affetto fraterno, sperando che costituisca per loro un sia pur piccolo conforto; li ricorderò nelle mie preghiere.
Restando nel campo dei principi, noto che diversi interlocutori credono di controbattere osservazioni non mie, ma assunte da atti ufficiali delle organizzazioni scientifiche nazionali e internazionali accreditate, portando ad argomento una presunta conoscenza generalmente diffusa nell’opinione pubblica. Ciò è inaccettabile sia nel metodo sia nel merito. La verità non è quello che crede la maggioranza, ammesso e non concesso che sull’argomento una tale maggioranza esista: a definire la verità non serve la democrazia: essa esiste per se stessa, immutabile, e conoscibile – se ne hanno le capacità – attraverso lo studio e la buona volontà. Convinzioni assolutamente erronee possono anche dominare nell’opinione pubblica: ciò non basterà a far diventare verità ciò che verità non è.
Affidandomi al parere unanime delle istituzioni scientifiche più accreditate, posso ripetere che l’elettrosensibilità esiste come situazione soggettiva di limitato disagio, non in quanto sintomo o prodromo di sindromi più gravi; che eventuali fenomeni che si verifichino trovano con le emissioni elettromagnetiche un rapporto causale estremamente incerto e comunque molto labile. E non importa se qualcuno non è d’accordo. Una delle lettere ricevute definisce questa questione «irrilevante e patetica»: autolesionismo o un soprassalto di buon senso? Parla poi della genialità italica che starebbe «nella capacità di pochi di insabbiare la verità a scapito di molti»: l’autrice della lettera e coloro che sono d’accordo con lei fanno allora il tentativo di essere italiani, perché provano a insabbiare il vero. E purtroppo devo dire che su questo argomento neanche la magistratura italiana fa una bella figura: le due sentenze che un lettore cita, e che riconoscono l’esistenza del fenomeno, costituiscono la prova che altro è il diritto, altro la giustizia; e che i giudici, nel pronunziarsi nella loro qualità di periti peritorum, dovrebbero esercitare il senso della misura; e stare attenti a verificare con attenzione le qualifiche di chi chiamano come Ctu.
C’è qualcuno che enumera tra i disagi prodotti dalla elettrosensibilità la mancanza di riconoscimento di una propria situazione, soggettivamente sentita come menomazione, da parte di chi lo circonda: ma nessuno può pretendere che i terzi adeguino il loro comportamento a una fattispecie non riconosciuta né riconoscibile, al di là della comprensione e della cristiana e umana solidarietà. Chi parla poi di «un numero considerevole di studi che dimostrano invece in modo chiara (sic!) la relazione di causa-effetto tra l’uso del telefono cellulare e l’insorgenza di tumori al cervello …» o mente o è un ignorante: la Oms parla di decine di migliaia di articoli, in nessuno dei quali è dimostrato il collegamento tra esposizione all’Emg e disturbi della salute.
Voglio però dirvi che nella stessa nota la stessa persona si riferisce con giudizi temerari e in maniera assolutamente contraria alla verità a situazioni che mi riguardano personalmente. In un altro contesto l’avrei portato in tribunale: non quando cose false e calunnie vengono trasmesse ad un periodico cattolico da (si suppone) un cattolico. Già, cattolico: cioè che fa riferimento a quella religione che considera come vertice del Creato l’uomo nella sua interezza, e che pertanto non può e non deve autolimitarsi nella scelta dei temi da trattare. Specialmente quando si tratta di orientare i lettori tra le notizie diffuse dalla stampa; e di esorcizzare un immotivato allarmismo che con le sue falsità potrebbe turbare l’opinione pubblica.