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a cura di Andrea Zambrano

GLI INTI-ILLIMANI E REPUBBLICA

El pueblo unido... s'è imborghesido

Repubblica intervista gli Inti-Illimani sul falso golpe cileno nella speranza di trovare una legittimazione a Sinistra degli scontri e fare il paragone con i tempi di Pinochet. Ma si ritrova con un pugno di mosche e un cantante ormai comodamente imborghesito. 

Fuori schema 24_10_2019

Repubblica intervista gli Inti-Illimani sul falso golpe cileno nella speranza di trovare una legittimazione a Sinistra degli scontri e fare il paragone con i tempi di Pinochet. Ma si ritrova con un pugno di mosche e un cantante ormai comodamente imborghesito. 

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Ma io l'avevo detto solo come battuta. Non avrei immaginato che per raccontare la crisi cilena, il quotidiano Repubblica avrebbe scomodato gli Intillimani. E invece l'hanno fatto davvero. Mercoledì abbiamo intervistato sulla Bussola il professor Claudio Pierantoni, italiano, che insegna all'Universidad de Chile a Santiago. Un intellettuale che conosce bene il Paese andino. Arrivati alla domanda su come i giornali italiani vedono la crisi di questi giorni, tra incendi e coprifuoco e titoli roboanti sul ritorno di Pinochet, abbiamo chiesto al professore perché i quotidiani italiani come Repubblica raccontano la crisi del Paese con accenti "intillimanisti".

Una battuta, che il professore ha capito bene. Gli Inti-Illimani sono infatti quel gruppo musicale cileno degli anni '70 costretto all'esilio in Italia dopo il golpe del generale Pinochet. E - nella scomodità dell'esilio - fu comunque la loro fortuna perché vennero accolti a braccia aperte dalla Sinistra nostrana che, tra feste dell'Unità e ospitate varie, li foraggiò oltre i loro meriti musicali. Celebre nel loro repertorio fatto di canzoni impegnate nel solco del bolivarismo, la canzone militante El pueblo unido Jamas serà vencido, che era l'inno dell'Unidad popular di Salvador Allende quando era presidente. Insomma una canzone simbolo e decisamente comunista, di quelle da cantare col pugno chiuso. 

Ora, succede che Repubblica ieri abbia deciso di intervistare proprio il leader della formazione musicale. Che fantasia. Ma qui viene il bello. George Coulòn, 71 anni, ha parlato come un testimone diretto. Peccato che oggi abiti a Valparaiso, la seconda città cilena, che è sul Pacifico ed è lontana da Santiago. In pratica lui, a combattere col popolo non ci è proprio andato. 

Però ha spiegato a Repubblica le cause della crisi. Dicendo le stesse identiche cose che ci ha spiegato Pierantoni: un problema grave di privatizzazioni e statlizzazioni che il CIle si trascina praticamente dal ritorno alla democrazia negli anni '90. Peccato, non c'è dunque materia per inchiodare il presidente conservatore Piñera.

A quel punto l'intervistatore ha giocato la carta facile del confronto con la generazione che combattè il dittatore cileno. Ma niente da fare. Coulòn ha spiegato che il paragone è improbabile: la gente sta troppo bene oggi in Cile che è un paese in crescita ed è impossibile fare paragoni tra Piñera e Pinochet. 

Accidenti, a Rep non restava che l'ultimo disperato tentativo: e la Sinistra? Male anche qui: “Le è sfuggita la profondità del malcontento”. Chiaro riferimento alla presidenta Bachelet. Peccato. L'intervista è stata relegata a taglio basso e il titolo, triste, ha dovuto ammettere che non sono i tempi di Pinochet.  

In quanto agli Inti-Illimani, sono lontani i tempi da pugno chiuso. Coulòn appare come un simpatico e comodo borghese che cura il giardino al mattino e guarda l'oceano dopo aver sotterrato l'ascia della militanza. Torna in mente Gaber: “Qualcuno era comunista perché la rivoluzione? Oggi, no Domani forse ma dopodomani sicuramente".