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cardinali

Eijk: anche una piccola Chiesa può generare una nuova cultura

"L'indifferenza è letale per la fede", dice l'arcivescovo di Utrecht, che coglie un segno di speranza nei fedeli più credenti e più convinti anche se meno numerosi. Una minoranza creativa, come quella che generò la rinascita nel crollo dell'impero romano. E può ancora accadere.

Ecclesia 06_05_2025

Pubblichiamo la trascrizione e traduzione in italiano dell'intervista di Kemal Rijken al cardinale Willem (Wim) Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht, nel programma Gesprek aan de Amstel sul canale tv olandese AT5.
 

Kemal Rijken: Benvenuti a Gesprek aan de Amstel, un programma in cui io, Kemal Rijken, intervisto una figura di spicco su Amsterdam e ciò che lo muove. Oggi abbiamo un ospite speciale con noi, ed è seduto proprio di fronte a me. Sì, devo dire: sua eminenza il cardinale Wim Eijk.
Card. Eijk: È corretto. Lo dico bene così?

Kemal Rijken: Sì, certamente. È con noi il cardinale Eijk. Prima di iniziare con l’introduzione: lei non dà spesso interviste lunghe, vero? Come mai?
Card. Eijk: Beh, ci sono anche interviste un po’ più lunghe. L’ultima l’ho data a Radio Vaticana, e visto che ero a Roma avevamo preso appuntamento. È durata circa mezz’ora. Quindi, qualcosa di più lungo c’è stato. Anche i “colloqui di fede” per la KRO sono stati un po’ più lunghi, circa un quarto d’ora o venti minuti. Ma un’intervista televisiva lunga come questa? No, non di cinquanta minuti come lei ha in mente. Qui mi sento un po’ sotto il bisturi! Ma vedremo.

Kemal Rijken: Prima di tutto, per chi ci segue da casa, una breve introduzione. Wim Eijk è nato nel 1953 a Duivendrecht da un matrimonio misto dal punto di vista religioso. Ha frequentato la scuola elementare nella stessa località e successivamente il liceo Sint-Nicolaas a Amsterdam. Nel 1978 si è laureato in medicina all’Università di Amsterdam. In seguito ha scelto il sacerdozio. Con il tempo è salito nella gerarchia ecclesiastica diventando vescovo di Groningen e, dal 2007, arcivescovo di Utrecht, quindi cardinale. Il pubblico lo conosce per le sue opinioni considerate conservatrici, ma appare come una persona aperta. Questa è un po’ l’immagine che si ha di lei. È particolare che lei sia conosciuto dal grande pubblico come “conservatore”. Che cosa ne pensa?
Card. Eijk: Sa, non mi definisco né conservatore né progressista. Sono semplicemente cattolico. Mi attengo alla Scrittura, alla Tradizione della Chiesa e al suo magistero. Alcuni percepiscono questo come una posizione conservatrice. Ma conservatore e progressista sono più che altro reazioni psicologiche. Io dico: sono cattolico. Questa è la mia posizione, il mio punto di partenza. Sono un cristiano convinto e membro della Chiesa cattolica romana.

Kemal Rijken: Chiaro. Ne parleremo meglio tra poco. Ma torniamo alla sua giovinezza. Lei è qui su una rete di Amsterdam. Viene da questa zona. È cresciuto a Duivendrecht negli anni ’50, in un matrimonio misto: suo padre era mennonita, sua madre cattolica. All’epoca era insolito, vero?
Card. Eijk: Sì, anche se non sono propriamente un “Amsterdammer”, Duivendrecht è praticamente attaccata a Betondorp, quindi ad Amsterdam Est. E tutto lì era orientato verso Amsterdam. Anche il dialetto era quello di Amsterdam Est. Ci sono sette dialetti ad Amsterdam, e quello dell’est è uno di questi. Io parlavo quello. L’ho imparato per strada dai miei amici. E sì, vengo da una famiglia mista: mio padre era mennonita e mia madre cattolica. Ma nessuno dei due praticava. Mio padre non andava in chiesa, ma diceva: “Si può essere battezzati solo a 18 anni, quando si è adulti.” I mennoniti hanno il battesimo degli adulti, non quello dei bambini. Mia madre voleva che mia sorella e io fossimo battezzati, così da poter andare alla scuola parrocchiale, che era a tre case da casa nostra. Era una buona scuola, gestita ancora dalle suore. C’era anche una scuola riformata nel villaggio, ma era molto più piccola, con un insegnante ogni due classi. Quindi era chiara la preferenza per la scuola cattolica.

Kemal Rijken: Suo padre si oppose?
Card. Eijk: Sì, per un po’. Fui battezzato quando avevo sei mesi esatti, il 22 dicembre 1953. Era insolito, perché di solito si battezzavano i neonati lo stesso giorno della nascita o il giorno dopo. Mia sorella aveva cinque anni e si ricorda ancora del mio battesimo. Io ho pianto molto. Faceva freddo, il 22 dicembre. Oggi l’acqua battesimale è riscaldata, ma allora no. Era ghiacciata. E sì, me ne sono accorto.

Kemal Rijken: Lei è stato quindi battezzato nella chiesa di Sint Urbanus, vero?
Card. Eijk: Sì, lì ho fatto anche la Prima Comunione e la Cresima. È lì che ho scoperto la mia fede, attraverso la scuola parrocchiale. A casa non si parlava di fede e non si praticava. Ma mia madre cominciò a portarci in chiesa ogni domenica quando entrai in prima elementare. Fu nell’anno scolastico 1959-60 che mi preparai per la Prima Comunione. Avevamo una maestra che faceva catechismo con grande fervore. Era così convincente. Il mio cuore si infiammò per Cristo. Gesù mi ha rubato il cuore, e non me l’ha mai restituito. E io non l’ho mai richiesto indietro. Fu in quel momento che divenni davvero consapevole della mia fede e iniziai a pregare interiormente. Credo che già allora si sia accesa la mia vocazione al sacerdozio.

Kemal Rijken: E la Prima Comunione, per chi non lo sapesse, cos’è?
Card. Eijk: Prima c’è il battesimo, naturalmente. Poi la Prima Comunione. All’epoca si faceva a sei o sette anni. È quando si riceve il sacramento dell’Eucaristia, cioè si 3 riceve Cristo stesso sotto forma di pane. È un momento molto speciale. Ricordo ancora la data: il 26 maggio. Ho ancora una piastrella commemorativa appesa al muro.

Kemal Rijken: Poi è andato al liceo, il Sint-Nicolaaslyceum. Abbiamo anche una foto. Questo era l’edificio vecchio, che poi è stato demolito e sostituito. Era davvero una scuola cattolica?
Card. Eijk: Nei primi due anni, dal 1965 al 1967, era ancora piuttosto cattolica. Avevamo lezioni di religione tenute da preti che portavano ancora il colletto. Insegnavano bene, e ho imparato molto sulla Scrittura. Ma poi uno andò in pensione, un altro si ritirò. Dal terzo anno, sì, erano ancora preti, ma non insegnavano più religione: erano ore di discussione. Potevi parlare di tutto, tranne che di fede. Il tema della fede veniva accuratamente evitato. Credo che molti di quei preti avessero perso la fede. E chi non ha la fede non può trasmetterla. Molti di loro hanno poi lasciato il sacerdozio.

Kemal Rijken: E lei aveva già una vocazione?
Card. Eijk: Sì, fin da bambino. Ero felice della mia fede, quindi mi rattristava vedere che si stava spegnendo. Nei primi due anni del liceo avevamo ancora messe di apertura dell’anno scolastico. Tutti gli studenti, con i genitori, partecipavano. Poi è scomparso tutto.

Kemal Rijken: Ma questo era lo spirito del tempo. Bisogna adeguarsi, no?
Card. Eijk: Io non mi sono adeguato. La mia fede è rimasta. Ma tra gli studenti si sentiva una certa resistenza alla fede cattolica. Quando iniziammo il liceo nel '65, tutti andavano ancora in chiesa. All’ultimo anno, nel '70-’71, eravamo rimasti in due su venti. Lo ricordo bene perché il professore di matematica ce lo chiese. E disse anche: “Si vede a occhio nudo che ogni domenica ci sono sempre meno persone in chiesa.” A scuola non si trasmetteva più nulla, e c’erano studenti che non sapevano nemmeno cosa fosse il cattolicesimo.

Kemal Rijken: Ma lei era uno studente diligente?
Card. Eijk: Beh, sono stato punito anch’io qualche volta, anche con uno schiaffo. Ma direi che, in generale, me la cavavo. Poi ho iniziato a studiare medicina, negli anni Settanta.

Kemal Rijken: Un’epoca progressista, con una morale piuttosto libera. Lei, giovane cattolico convinto, andava un po’ controcorrente, no?
Card. Eijk: Sì, non era facile. Ma prima e dopo i pasti pregavo sempre. Alcuni lo trovavano strano, ma era tollerato. Forse qualcuno ne parlava alle spalle, ma non me ne curavo troppo.

Kemal Rijken: Lei viveva in una stanza in affitto?
Card. Eijk: No, vivevo a casa con mio padre. Mia madre era morta, e io sono rimasto con lui. Duivendrecht era vicino all’università, andavo in bici. Dopo la morte di mia madre, cucinavo anche. Lei è morta due mesi prima del mio esame finale del liceo.

Kemal Rijken: È stata lei a farle cambiare idea sulla vocazione?
Card. Eijk: Sì. Negli ultimi due anni di liceo era malata di cancro. Andavo spesso a trovarla in ospedale. Fu il mio primo contatto con l’assistenza sanitaria. La medicina mi attirava, e pensai: “Prima provo medicina, poi vedrò che fare con la vocazione.”

Kemal Rijken: Anche per essere economicamente indipendente?
Card. Eijk: No, è stato soprattutto il clima scolastico. La fede non veniva più trasmessa, i preti abbandonavano il sacerdozio. Anch’io scoprivo la mia sessualità, e pensavo: “Se loro non riescono a vivere il celibato, ci riuscirò io?” Quelle erano le mie domande.

Kemal Rijken: Difficile. E lei era già contro l’aborto?
Card. Eijk: Sì, durante il mio tirocinio in medicina interna, un medico mi disse: “Sei molto cattolico, sei persino contro l’aborto. E se tua sorella restasse incinta?” Io risposi che per me i principi erano gli stessi. Lui era cattolico di origine, ma probabilmente non praticante. Per lui ero conservatore.

Kemal Rijken: Deve essere stato molto difficile, in quell’epoca, essere visto come conservatore.
Card. Eijk: Sì, la gente ti guardava come fossi strano. Ma non ho mai avuto esperienze veramente spiacevoli. Pregavo prima e dopo i pasti. Forse veniva anche visto come un atto di coraggio. All’epoca si poteva essere se stessi, e quindi anch’io.

Kemal Rijken: Ma era solo.
Card. Eijk: Completamente. Ricordo che un collega mi disse: “Tu vai ancora in chiesa? Ma non si fa più.” Ma io trovavo sostegno nella fede, nella preghiera. Andavo a messa la domenica e spesso anche durante la settimana. Avevo una relazione profonda con Cristo, anche interiore. E quella mi ha dato forza.

Kemal Rijken: Non usciva molto, immagino?
Card. Eijk: No. Non frequentavo ambienti dove si beveva tanto, si usavano droghe, o si praticava la libera sessualità. Non mi sentivo a mio agio in quegli ambienti.

Kemal Rijken: Non provava rabbia verso il mondo?
Card. Eijk: No, mai. Capivo perché la gente si fosse allontanata dalla Chiesa, avevo vissuto quel processo a scuola. Ma non era un motivo per lasciare la fede. Trovavo sostegno nella mia parrocchia. Nel 1969 arrivò un nuovo parroco, don Solaan, un prete solido. Mi ha accompagnato nella vocazione. Anche la sua governante aveva una profonda vita spirituale. Ero organista, nel coro. Avevo legami lì, non nel mondo universitario.

Kemal Rijken: Ma quando arriva la vera svolta?
Card. Eijk: Dopo un anno e mezzo come assistente in medicina interna. Avevo iniziato nel Wilhelmina Gasthuis. Dopo un anno fui confermato per tutta la durata della formazione, cinque anni. Ma a quel punto mi sono chiesto: “Che voglio fare della mia vita?” Se divento internista, devo continuare altri quattro anni. Ma se voglio diventare prete, è ora il momento. Ho fatto un ritiro con un gesuita, in silenzio, in preghiera. Alla fine della settimana era chiaro: dovevo diventare prete.

Kemal Rijken: E il suo capo?
Card. Eijk: Quando gliel’ho detto, è quasi caduto dalla sedia. Mi disse: “Se mi avessi detto neurologia, ti avrei provato a trattenere. Ma qui non ho argomenti.” Però non potevo andarmene subito. Ho completato ancora sei mesi, e poi sono entrato in seminario a gennaio 1980.

Kemal Rijken: Poi è diventato vescovo di Groningen e, nel 2007, cardinale. Ma che cosa fa un cardinale?
Card. Eijk: Il compito principale di un cardinale è eleggere un nuovo papa. Siamo un collegio di cardinali. Siamo anche un organo consultivo del papa. Ogni tanto ci convoca in concistoro per consigli su varie questioni. Quando il papa muore o si dimette, ci rechiamo a Roma per eleggere il successore. Siamo circa 200 cardinali, di cui 137 hanno meno di 80 anni e possono votare. Si può votare fino agli 80 anni. Mi restano ancora circa otto anni.

Kemal Rijken: Il papa è stato malato di recente. Lo incontra?
Card. Eijk: Sì, a volte in udienze private. Ma anche durante incontri ufficiali, ad esempio nella Pontificia Accademia per la Vita, di cui faccio parte dal 2005. Lì incontriamo il papa in udienza di gruppo, ci dà la mano e scambiamo qualche parola. Ma gli incontri più personali sono le udienze private.

Kemal Rijken: E se un giorno dovesse diventare papa?
Card. Eijk: Non ci penso. Sono tutte speculazioni. Se sapete chi sarà il prossimo papa, chiedetelo allo Spirito Santo. È lui che ispira i cardinali. Se i cardinali ti eleggono, è una chiamata dello Spirito. Sei moralmente obbligato ad accettare, a meno che tu non abbia problemi di salute gravi. Allora puoi dire di no. Altrimenti, il decano del Collegio Cardinalizio ti chiede: “Accetti?” E tu rispondi: accepto. Ma, ripeto, io non ci conto. Ai miei preti a Utrecht dico: “Dovrete sopportarmi ancora qualche anno.”

Kemal Rijken: Lei è noto come conservatore. Ma ha anche scritto un libro, De band van de liefde, sulla morale sessuale e il matrimonio.
Card. Eijk: Sì, l’ho scritto per rispondere all’incomprensione diffusa verso l’insegnamento della Chiesa su matrimonio e sessualità. Sono stato docente di teologia morale in seminario e all’università di Lugano. Ho deciso di mettere tutto per iscritto, in modo teologico, per studenti, soprattutto seminaristi. Basato sulla “teologia del corpo” di Giovanni Paolo II. Non è contro le persone omosessuali, ma la Chiesa ha una visione sulla moralità degli atti omosessuali. Non giudichiamo le persone, solo Dio può farlo. Ma la Chiesa non considera moralmente accettabili quegli atti, e ne spiega le ragioni.

Kemal Rijken: Ma in una città libera come Amsterdam, non è difficile?
Card. Eijk: In realtà non molto. Chi ancora frequenta la Chiesa è più credente e più aperto all’insegnamento della Chiesa. Un tempo c’erano chiese piene ma molto scettiche. Ora, anche se meno numerosi, i fedeli sono più motivati. E sempre più persone si avvicinano alla Chiesa. Spesso trovano la fede sui social come TikTok o YouTube.

Kemal Rijken: Abbiamo visto dei video del gruppo “Credo”, giovani cattolici olandesi.
Card. Eijk: Sì, li conosco. È un gruppo laico della parrocchia Gerardus Majella a Utrecht. Raccontano come hanno incontrato Cristo. Questi video toccano i giovani. Alcuni li contattano via WhatsApp, poi entrano nel gruppo. Sono alcune migliaia di giovani, molto motivati.

Kemal Rijken: E lei è contento anche se sono pochi?
Card. Eijk: Sì. Meglio una Chiesa piccola e convinta, che grande e indifferente. L’indifferenza è letale per la fede. Ma vediamo anche giovani che vogliono diventare cattolici. Ogni anno aumentano.

Kemal Rijken: C’è un giubileo nel 2025, e anche 750 anni di Amsterdam. Avete una nuova co-cattedrale ad Amsterdam, la basilica di San Nicola.
Card. Eijk: Sì, finalmente. È stato un desiderio del vescovo Punt. Ora è stata riconosciuta come co-cattedrale insieme a quella di Haarlem. È un bel gesto per la capitale. Il 2025 è anche anno giubilare, con una grande pellegrinaggio a Roma.

Kemal Rijken: 1100 persone andranno a Roma. Anche lei?
Card. Eijk: Sì, in aereo. Avremmo voluto andare tutti in treno, ma non è stato possibile. Ci sono anche persone da Amsterdam. Non credo incontreremo il papa: ha problemi di salute e deve riposare. Ma nel 2016 fu molto toccato dalla nostra presenza.

Kemal Rijken: Perché il papa è andato in Belgio ma non in Olanda?
Card. Eijk: È stato invitato dall’università di Lovanio per i suoi 600 anni. Avremmo potuto invitarlo anche noi, ma ormai era troppo tardi per organizzare tutto.

Kemal Rijken: E il futuro della Chiesa nei Paesi Bassi?
Card. Eijk: Mi preoccupa, ma non per me: per le persone. Non sanno cosa si perdono. Ho incontrato giovani della JOVD (giovani liberali della VVD). Erano affascinati dalla visione cattolica. Dicevano: “Non abbiamo criteri per bene e male. Non sappiamo qual è il senso della vita.” Questo dice molto. Anche tra gli ebrei si vede la stessa secolarizzazione. Ma io ho speranza.

Kemal Rijken: Com’è?
Card. Eijk: Papa Benedetto XVI parlava di “minoranza creativa”: anche una piccola Chiesa può generare una nuova cultura. Dopo la caduta dell’Impero Romano, fu la Chiesa a portare una nuova cultura cristiana. E ora può accadere di nuovo. Non ho perso la speranza.

Kemal Rijken: La ringrazio per questa lunga conversazione.
Card. Eijk: Grazie a lei. È stato un piacere.