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IL VENERABILE

Egidio, il marinaio e scout che amava la volontà di Dio

Oggi ricorre il 90° anniversario della nascita al Cielo di Egidio Bullesi, morto a 23 anni e di cui Giovanni Paolo II ha riconosciuto le virtù eroiche. Estroverso e ricco di fede, gli premeva di condurre le anime a Dio e fece opera di evangelizzazione ovunque, dai cantieri navali all’ospedale, convinto com’era che «l’Italia sarà grande solo quando sarà veramente cristiana!».

Ecclesia 25_04_2019

Oggi ricorre il 90° anniversario della nascita al Cielo di Egidio Bullesi (Bullessich, secondo la forma originaria del suo cognome), un giovane dal carattere estroverso che nella sua breve vita terrena è stato fondatore di un gruppo Scout, catechista, marinaio, operaio, terziario francescano e soprattutto testimone - nella gioia e nel dolore - dell’amore di Dio e della necessità di educare i fanciulli nella fede. «L’Italia sarà grande solo quando sarà veramente cristiana!», esclamava Egidio, le cui virtù eroiche sono state riconosciute nel 1997, durante il pontificato di san Giovanni Paolo II, che l’ha dichiarato quindi venerabile.

Terzo di nove figli, era nato il 24 agosto 1905 a Pola, allora appartenente all’Impero austro-ungarico. È appena un bambino quando, all’inizio della prima guerra mondiale, è costretto con la madre e i fratelli a lasciare l’ormai insicura Pola, dove rimane a lavorare il padre, un disegnatore navale impiegato nell’arsenale della città istriana. In quell'esperienza da profughi, prima a Rovigno (nell’odierna Croazia) poi in Ungheria e infine in Austria, Egidio e la sua famiglia patiranno la fame e il freddo, assieme a un gran numero di altre difficoltà. Appena tredicenne, nel settembre 1918, con la Grande Guerra alle battute finali, ritorna a Pola per lavorare accanto al padre ai cantieri navali, come apprendista carpentiere.

La città di Pola, passata alla fine del conflitto sotto la sovranità dell’Italia, è allora piena di drammi umani. Come ha scritto padre Ubertino Hohl, francescano, in una biografia sul venerabile: «Non c’era bisogno di un occhio di lince per scorgere la miseria morale e materiale della vecchia città adriatica nell’immediato dopoguerra. Le strade, i moli, le rive mostravano lo spettacolo triste di tanti poveri ragazzi abbandonati a sé stessi, bisognosi di una mano che li guidasse e di un cuore che li amasse. Bisognava avvicinarli, difenderli, educarli, prepararli alla vita». È in tale contesto che il giovanissimo Egidio svolge il suo apostolato, trasmettendo la fede in Cristo in ogni ambiente in cui si trova a passare le sue giornate, a partire da quello difficilissimo dell’arsenale.

La predicazione di un francescano, padre Tito Castagna, lo attrae spingendolo a studiare l’esempio di san Francesco e il 4 ottobre 1920 diviene terziario. L’anno seguente viene mandato a Roma per il 50° anniversario dell’Azione Cattolica: è in questa occasione che conosce la realtà dei Giovani Esploratori, adoperandosi al suo ritorno a Pola per la costituzione del gruppo Scout locale, che vedrà la luce nel 1923 e che Egidio farà sfilare, in uniforme, per la processione del Corpus Domini. Una costante della sua vita è la capacità di unire la testimonianza di fede alla giovialità, secondo un tratto che ricorda il carisma di san Giovanni Bosco: «Questa vita è tanto bella e quindi perché rattristarci? Allegria, sempre allegri, ma nel Signore. Una allegrezza cioè che derivi dalla buona coscienza, dal dovere sempre compiuto e dall’amore, dall’amicizia con il Signore. Essere sempre felici nel Signore: ecco la nostra allegrezza!», scriverà infatti Egidio, tutto proteso a compiere la volontà di Dio.

È il febbraio del 1925 quando, diciannovenne, viene chiamato per il servizio di leva nella Marina. E sulla Dante Alighieri, l’imponente nave da battaglia con 12 cannoni da 305 mm su quattro torri corazzate, Egidio continua il suo apostolato in mezzo a 1.300 commilitoni, senza timore di andare controcorrente: «Con la branda sotto braccio, in alto sulla prua della nave, guardavo il cielo, pensavo a Dio, fonte della mia gioia, della mia pace, della mia felicità». Grazie al suo spirito da camerata nasce un simpatico circolo cattolico che verrà detto «attività serali frigorifere» perché i suoi soci, che si impegnano a vivere la castità, si riuniscono vicino alle celle frigorifere della Dante Alighieri.

Nei 25 mesi di leva scrive diverse lettere, in cui emerge la sua eccezionale fede eucaristica e il fiducioso abbandono alla Provvidenza che lo sostiene nella sua missione evangelizzatrice, tra «ostinate ripulse, avversioni e giudizi spregiativi», come confida all’amico Amedeo in una missiva del 16 luglio 1926, aggiungendo poi: «Ma infine, ci sono le belle vittorie che il Signore concede a chi persevera senza debolezze. Veri miracoli queste vittorie, impossibili a spiegarsi per noi uomini che non con la fede, la vera, la ferma e forte fede. Ma quante fatiche, ho detto, e quanto da fare! […] e tutte le ore libere dal servizio sono con ‘essi’, con l’uno o con l’altro dei diversi amici […]. E quante volte, dopo salutati tutti, io mi intrattengo ancora con qualcuno, e questi è Gesù, al quale chiedo tutto ciò che vedo necessario per l’anima e per l’avvenire di questi miei veri amici».

In questa sua tensione verso la salvezza delle anime, Egidio è consapevole che la buona riuscita di ogni sua opera poggia sulla preghiera. Così scrive il successivo 27 luglio a don Antonio Santin, suo direttore spirituale: «Caro don Antonio, preghi tanto per me, perché sempre più mi convinco, dall’esperienza che faccio, che noi tanto possiamo, tanto otteniamo dal Signore, quando preghiamo. L’apostolato è un termometro che scende e sale in rapporto a quanto si prega. E ben lo vedo certe volte, che con le ragioni più stringenti non riesco a persuadere, ed invece con una preghiera confidente, viva, all’indomani è ottenuto».

È sempre in Marina quando, il 16 febbraio 1927, confida ancora in un’ampia lettera a don Santin come cresca la sua gioia in Dio e come questa si riversi sul prossimo: «Il mio amore per i misteri divini aumenta sempre più, sento un pieno nell’anima mia, nel mio cuore, che spesso mi sembra trabocchi; […] Oh, com’è buono Iddio! Poveri giovani, quanti non conoscono questa bella, grande fede, quanti non provano questi divini sublimi amori: quanti non amano Gesù e, al contrario, tuffandosi nel fango delle passioni e dei piaceri, ne provano le troppe amare delusioni, riportando tante gravissime, forse inguaribili ferite». Perciò, con la saggezza di un educatore provetto, scrive che «si tratta di far conoscere Gesù ai fanciulli, di formare i giovani cuori all’amore divino, d’istruire quelle giovani menti nella religione, d’avviarli alla vera vita cristiana, di formare veri apostoli. Si tratta di condurli per mano sulla via del Paradiso».

Congedato il 15 marzo dello stesso anno, Egidio va a lavorare come disegnatore tecnico al cantiere navale di Monfalcone, impegnandosi al contempo - come già nella sua città natia - a prestare servizio nell’Opera di Carità di San Vincenzo. Arriva, infine, la tubercolosi per la quale viene ricoverato nell’agosto 1928 a Pola, continuando a evangelizzare anche in ospedale, anzitutto insegnando ad accettare la malattia come mezzo per partecipare al disegno redentivo di Cristo crocifisso e risorto. «Se vivo, Gesù è la mia felicità. Se muoio, vado a godere il mio Gesù», dice con la serenità di chi gusta l’eterno già in terra, mentre offre le sue sofferenze per i missionari e il bene di tutta la Chiesa. Il 25 aprile 1929, ancora ventitreenne, Egidio entra nella gloria di Dio. Il giorno dei funerali, così dice don Santin al cimitero: «Non spargiamo lacrime, perché, più che pianto, Egidio deve essere invidiato e imitato. Non fiori, perché fiori sorgeranno spontanei sulla terra che lo ricopre e sulla via da lui percorsa…».
 

NOTE: Oggi e domani, sull’isola di Barbana - dove il venerabile Egidio Bullesi è sepolto dal 1974 - e nella natia Pola, si svolgeranno varie celebrazioni in suo ricordo (qui il programma), comprese delle Messe cantate.